Poesia del nostro tempo pubblica i testi della scrittrice francese Victoria Xardel, che compongono l’opera Un movimento, nella traduzione di Domenico Brancale, apparsa in 33 esemplari numerati e firmati per le edizioni Prova d’artista/Galerie Bordas, 2011.

Le cinque poesie di Victoria Xardel, compongono un movimento che si svolge tra materialità ed evanescenza, gesto e immobilità, il dato concreto e l’astratto. La dimensione della poesia è qui indefinita, irregolare, enigmatica: un magma che riconduce al ricordo, all’inconscio o alla sfera metafisica. Il silenzio si pone come regola, il bianco prevale e avvolge, il movimento non genera.
I versi si dispongono come frammenti disarticolati e suggeriscono il rischio di perdersi tra la durezza, lo scarto, una prospettiva occultata dove le finestre basse che diremmo chiuse non permettono di guardare i contorni.
Con la necessaria lentezza, l’attesa, il tempo, affiorano sulla pagina attimi luminosi, più consistenti e misurati. Il senso di spaesamento e di sgretolamento si mescola così a qualche frammento più limpido, che ha la minuzia del dire, la misura giusta delle cose: «Finalmente il semplice ascolto della sera. La posa di un gesto.»

Un movimento, traduzione di Domenico Brancale

Si scrollano le carni; i viottoli, il bianco
– e tutte le cose bianche uguali.
A stesse leggi e decreti si assorbe la strategia dei numeri
Non testimoniando le linee le terrazze
Dall’inseguimento in scarti introdursi al riposo
e mollezza di una mano cadente. Di lentezza loro non sanno
altro che lo scoglio in cui gli oggetti si fondono ai corpi;
dove sono minuzia e altri stati, tutt’altri.

*

Non dimorerebbero che i fatti i più semplici
e di spazio gli scarti sottratti all’affondamento dei gesti.
Nessuno ci si confonde e ogni frammento di somiglianza
si fa corteo. Tu ne esigi il ritiro. Da cui niente si smarrisce;
ma a mente, e la storia della similitudine si elabora.
Finalmente il semplice ascolto della sera. La posa di un gesto.
Inseguendo le bianche figure temute che vanno –
di qui l’attenzione, il cerimoniale, ripetizioni e cose,
mai cose, le articolazioni.

*

Questo potrebbe perdersi. Delle finestre basse che diremmo chiuse
lei non distingueva i contorni. È che il silenzio
ha innalzato su di noi la sua regolarità e non so più cosa fare.
Le durezze del resto. Sotto il prato illividito, l’acqua.
La bocca pronuncia la cosa dimenticata.
Preme le sue mani contro la pietra calda
mantenendo neutra ogni reciprocità; si china.
Il polso s’incava in supplica; dei veli: dei canti.
Al muro si aggrappa, cercando di vedere.

*

Nella circolazione della parola – ciò che è tuttavia ripreso
a strappi – e di questo stesso strappo diviene possibile.
La lotta all’ombra delle foreste, sotto le viole.
Né confessione né enigma. Lei precisa il suo pensiero per enumerazione
piuttosto che per disposizione delle cose. Quello che si ripete
nel rallentamento delle conseguenze infine si assottiglia o si disfa.
Ma di frattura non si sa nulla. E di perseguire
in vissuti cosparsi in modo che nessuna forma sia nuova
né bella né materia, né rinuncia o tace.

*

«Restiamo ancora un po’» come tu me lo comandi.
Ai nostri piedi le lastre bagnate da una pioggia di temporale.
Ogni spazio è quadrato nel suo sdoppiamento.
Nell’approssimazione della sera guardare
la polvere alzarsi e ridiscendere mentre ti parlo
e tu osservi le passanti senza rispondere, e la parola si riassorbe.
Si esaurisce in dolcezza tale minaccia. In qualche modo ogni movimento
ha smesso di toccarci. Solo il suo nome pronunciato
si lancia e ricade recinto della sua propria scomparsa.

Victoria Xardel è una scrittrice francese nata nel 1987. Ha pubblicato Méthode (Éric Pesty éditeur, 2012), Précision – ne dit pas non (Napoli, 2013). Ha diretto e fondato le riviste: “Pension Victoria”, “L’Usage”. Ha tradotto in francese Rosmarie Waldrop.

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