La luce mi taglia la faccia
intaglia il merletto
negli occhi.
È primavera e
io sono sola.
Ma ci sono.

 

Per vederti fiorire è l’opera prima della giovane poetessa siciliana Alessandra Fichera, edita da CartaCanta Editore nell’autunno scorso (e già vincitrice del Premio Le stanze del tempo 2017).
Un’opera che ha la grazia delle cose lievi e in cui la necessità della parola non è che l’esatta sintomatologia di un corpo che sente di esporsi, prendere posizione, farsi specchio, divenendo veicolo per l’altro.

La poesia è un dono fatto agli attenti, un dono che implica un destino – ha scritto Paul Celan e la Fichera sembra concordare con il grande poeta rumeno perché per lei, come mi ha scritto in un carteggio privato qualche tempo fa, fare poesia non significa imitare i sentimenti, sforzarsi di strapparli all’astratto per consegnarli alla carta, si tratta piuttosto di dare vita a un’osservazione continua, precisa. Fare poesia significa educare l’occhio a guardare attentamente, non lasciando cadere nulla per strada, perché tutto ha un senso e merita uno sguardo. Fare poesia è un chinarsi silenzioso a raccogliere ciò che spontaneamente germoglia nella quotidianità, un prendersi cura del pensiero, un continuo accarezzarlo perché dia frutti. Come a dire, Io significo se tu mi guardi, citando una poesia di Francesco Iannone, e questo deve poter valere tanto per le persone quanto per le cose.

Un’opera prima che ha negli affetti familiari dell’autrice i suoi destinatari privilegiati. Le tre sezioni di Per vederti fiorire (Gli spazi delle assenze, L’ultima volta, Le identità degli indiscernibili) sembrano essere state concepite come stanze private, quasi vasi comunicanti, in cui le persone a lei care fanno capolino riportando a galla ricordi del passato.

L’intento è quello di preservare i gesti, gli attimi che hanno abitato quelle stanze perché non appassiscano nella memoria e nel ricordo. Perchè se è vero che, come sosteneva Empedocle d’Agrigento, Nessuno e nessuna cosa muore veramente, finché c’è qualcuno che la ricorda o la rimpiange, è pur vero – ed è la stessa autrice a sottolinearlo – che ogni primavera, in quanto tale, non può che essere naturalmente sofferta: ha da vincere gli ultimi barlumi di inverno, ha da farsi strada faticosamente nel gelo, spezzando i rami vecchi, facendo fiorire i nuovi.

Il titolo della raccolta, forte di queste consapevolezze, racchiude in sé l’essenza stessa della poetica che agita questi versi: ha senso restare per vedere fiorire l’altro/ (io resto) affinchè (tu possa farti strada nel gelo) fino a (far fiorire le tue gemme). É la fioritura, quasi una forma laica di preghiera, a persuadere e abitare ogni più remoto anfratto e angolo. Una parola attenta quella della Fichera, che sa farsi espressione di bellezza senza strabordare, senza mai apparire sopra le righe. Una voce abitata da un senso sacro dell’esistenza, dei gesti, delle occasioni – si legge in quarta di copertina.

Una voce genuina che non ha timore di mostrare le proprie fragilità, le proprie derive, i propri sbandamenti. Lo dimostrano anche le epigrafi scelte dall’autrice a introduzione delle varie sezioni, tra tutte spiccano gli omaggi a Antonella Anedda e Giovanna Sicari – due delle voci che hanno elevato la poesia a arma di difesa contro la dispersione del tempo.

Dispersione del tempo contro cui è la stessa Fichera a lottare. L’autrice lotta contro quella dispersione ma riesce nonostante tutto a spuntarla: La luce mi taglia la faccia/ intaglia il merletto/ negli occhi/. È primavera e/ io sono sola/ Ma ci sono – si legge emblematicamente in chiusura di raccolta.

Lei c’è. Lei (r)esiste. E noi niene siamo grati.

dalla sezione Gli spazi delle assenze

*
Mimetizzare il chiodo

Improbabile viaggio quello di stamani
dal letto al bagno, alle sei e mezza di mattina
di un sabato qualunque di marzo.
Quando il pensiero si inchioda
e non c’è verso adatto per parlarne,
mimetizzare il chiodo
dipingendone la testa.
Il chiodo, comunque resta
Lì, fermo e sospeso al bianco.
No, non è stato necessario
affidarsi al santo di turno
il paradiso è in cielo e può attendere
la vita è fatta di piccoli frammenti di inferni
la metafisica colma solo le distanze
di chi attende le salvezze.
Io non chiedo redenzioni, mi accontento
di questo mondo, aspetto la discesa
il limbo, poi quello che verrà.
*
mi sono fatta coraggio e mi sono lasciata scorrere
ho atteso quei dieci secondi che mi dividevano
dalla verità, schiudendomi accovacciata.
Il rosa ha inondato ogni cosa, come il sangue muto.
prega che le linee non siano due,
quelle rette parallele zavorre
non si incontrino, non oggi.
Io ancora qui, sola a contare come una litania
a sincerarmi che nessuno
cerchi la vita in me –
non adesso.
Cambieranno le prospettive
l’angolo da cui oggi mi spio di lontano
volterà le ampiezze
e sarò io a cercare allora
di annidarmi la vita nel ventre
ad aspettare che il battito inizi
che il dialogo si disponga
che alla chiamata, qualcuno risponda.
 
*
Nessuno ad attenderti
E non c’è nessuno che ti attende
dietro alla porta,
nessuno al di là della luce
come una fitta nell’addome.
Nessuno che ha scaldato per te
la maniglia
il letto è ordinato
non c’è presenza che ne sgualcisca
le piaghe
che raccolga il sangue
nel cerchio.
 
dalla sezione L’ultima volta
*

                                                                         A Valentina Milluzzo.

Valentina se n’è andata
con i frutti del suo amore.
Carica come un ciliegio
in aprile, ha spiegato le braccia
e ha preso il volo, ora che
il vento le era più leggero
che i suoi fiori perdevano peso
nel suo corpo-tempio.
Valentina se n’è andata:
tutto il paese ne parla.
Le campane tremano nello
scirocco di provincia.
Valentina non si muove
dopo le ore di un travaglio
che rifiuta la luce, rinnega –
richiude le gemme all’interno
fa sfiorire.
Valentina se n’è andata –
Le hanno chiuso le braccia –
Sigillate le ferite a cielo aperto.
Valentina se n’è andata:
spenta la vita che dorme
come la neve nel campo.

 
dalla sezione L’identità degli indiscernibili
*
La cura
Il risveglio come la rigenerazione delle foglie,
il vento ne scuote le tempie – riattiva la calma
nel cerchio, una danza.
Io che tutta la notte ho disegnato le tue mani
sul ventre a sfogliarmi come pagine,
la dolcezza, la delicatezza, la cura
tanta cura – come non mai.
Non saprei dire come l’amore prese ad abitarci
s solo che fu, che niente è più stato lo stesso.
Io ti ho chiamato  – tu mi hai risposto.
*
La porta del paradiso
Il pellegrinaggio si concluse ad un portone, questo
con un gesto appena si schiuse. Il canto si sciolse nelle viti.
Ogni scalino portava alle tue labbra, al ciuffo biondo
a mescolarsi al castano nell’umida chioma araba.
Come una rivelazione le tue spalle,
il tuo voltarti al treno
tutto nello spazio di un secondo.
Il qui e l’ora, il tempo dell’addio.
 
*
Il cielo di vetro
Sotto il cielo di vetro giunse la benedizione
la tua maglietta bianca correva verso di me
e il tuo cuore sotto premeva contro la stoffa,
contro al petto, contro al mio viso poggiato
sul bianco, lo stormire del tuo odore all’avvicinarti
il ciuffo biondo che evapora al contatto con gli occhi.
Era lì ai nostri piedi, la vertigine del mondo.
 

Alessandra Fichera nasce a Caltagirone nel 1994. Si è laureata in Storia dell’Arte presso l’Università degli Studi di Siena. Ha conseguito diversi premi letterari tra cui il Premio Agostino Venanzio Reali – sezione giovani (2013), il premio Edgardo Cantone (2016,2017) e il premio Le stanze del tempo – 2017 indetto dalla Fondazione Claudi di Serrapetrona. Nel 2013 è stata inoltre pubblicata nell’Enciclopedia della Poesia Contemporanea della Fondazione Mario Luzi.

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