La silloge poetica si presenta come un’opera artisticamente e sensorialmente completa, in quanto felice connubio di parole, musica ed immagini. Il prosimetro, alternanza di prosa e versi, produce un andamento ritmico interno, che invita all’ascolto dei testi composti al suon di arpa (“l’arpa dimenticata sui treni in partenza” “e hai accantonato l’arpeggiare di bocca sulle scritture per te”). Gli scatti fotografici di Veronica Fenga a corredo delle parole, ne materializzano e integrano i contenuti. Ad esempio, nella foto di pag.6, un passerotto in ombra colto nell’atto di percorrere l’arco è la visualizzazione dello sforzo umano/ascetico dal basso verso l’alto indicato nella poesia “Parete azzurra” di pag.7 “mentre creavi un arco che dalla schiena tende alle stelle”. L’interdipendenza tra foto e scrittura è accordata da una didascalia lapidaria “era primavera”, stagione degli amori. Proprio la delicatezza degli “Amori Sospesi”, copertina digitale di Fabio D’Angelo, apre ed avvolge tutto il libro. Su uno sfondo desertico, intimistico, solitario, dominato dai toni freddi del verde e del viola (colore assai caro all’autrice: “Venni il due novembre, domenica ricorrenza di fiori recisi in dono agghindata di viola e di crisantemi”, “E il glicine crescerà, e gli occhi avranno il viola a grappoli dei fiori”) sta – quasi in sospensione atemporale – una coppia di amanti, che si guardano occhi negli occhi. La capacità di guardarsi dentro e di guardare insieme supera la sospensione nel limbo immaginario della vita risolvendola, nella puntualità provvisoria del momento presente, in un amore perfetto, compiutamente realizzato, in grado di oltrepassare le laceranti tensioni esistenziali tra notte e giorno, buio e luce, per poi ripiombare nell’esile incertezza dell’attesa. A chiosa della raccolta, l’attesa, didascalia lapidaria dell’ultima foto, indica un finale indefinito, aperto, come il paesaggio brullo, invernale, ma luminoso, intravvisto da un interno oscuro e spettrale.

Filo conduttore di questa “lunga poesia” – quasi a conclusione del libro, l’autrice precisa che “Una poesia è una poesia. Un libro di poesie è una lunga poesia” – l’amore trapela già dal titolo Dodiciventuno che è “uscita di una autostrada senza sbocco”, un palindromo in cui il 12, giorno del primo incontro con l’amato, è unito inestricabilmente alla data delle loro nozze, il 21. La numerologia, insistente in tutta la silloge, sia nei titoli che nel corpo dei testi, risponde ad una necessità di definizione, con prevalenza di numeri scritti a parola, a significanza della lentezza della meditazione. La poetessa si premura anche a determinare le coordinate temporali (“a quale novembre ti sei rivolta per decidere questa consapevolezza di primavera?”, portami alle origini in questo mezzogiorno”).

Un misterioso personaggio, forse fittizio, tiene per mano la poetessa nel suo percorso interiore. Amélieè la bussola che segna un punto a caso tra il vino ed il sollievo. Non appartiene a nessun luogo. È fedele alla sua strada”. Quale significato ha la lettera emme? “Seconda lettera di quell’essere nome e memoria”, alla emme sono riservate una foto a pag.22, Convivio, in cui essa è richiamata graficamente dai colli di tre bottiglie, sormontate da una tenda ricamata a fiori ed una intera sezione in prosa. “Non esisti, dunque, così è deciso, ma voglio dedicarti comunque questo punto di vista tutto mio di una storia che non ho guardato fino in fondo. Abbine cura, mentre io avrò cura della m d’Amélie che mi hai regalato senza sapere, una lettera incognita tra il tuo nome e il mio, un muro che non ci farà più incontrare, la parte inabissata sotto quella pioggia che non ci ha salvati”, pag.25.

Elisa, l’autrice, sembra sdoppiarsi nel suo alter ego: Irene. Il suo secondo nome si configura in un altro da sé talmente autorevole da imporre la sua legislazione etica in modo quasi autoritario e dittatoriale. Da La legislatura di Irene a pag.30: “Forse, desideri sapermi incapace di intendere e di volerti. Ma accadi in modo imprevisto”.

Una femminilità audace e potente viene celebrata nella sua universalità, valorizzandone i ruoli di donna (Porcellana a pag.20 “Avrei voluto fare come le bambole splendono senza riserbo si sporcano non badano al trucco il mese non le insanguina”, “Mai si spazientiscono non sudano non temono l’età i distacchi”), madre (Damigella sole a pag.38 “Vedo in te ciò che non sono mai stata. Questo mi fa meno madre, forse talvolta, questo mi rende la tua bambina. Sono figlia di mia figlia, dunque. Sorgo da lei. Un verso dal suo interminabile essere”. Lemma a pag.44 “Adesso con fiuto di madre so che ritorni e non per quanto. Introducimi nel vocabolario alla voce rinascita. Poi, se vuoi, migra via da me”) e amante (Stagione solare a pag.15 “Dodici volte ti celebro, mio sposo dodici mesi per dodici anni per dodici secoli. Ti ha mai detto nessuno che hai gli occhi verdi? Sei stato il solo. Fu domenica per la seconda volta e non basta, per guardarti mentre risplendi, tutta la vista che ho e non dura che un’infinità questo esserti accanto”. Utile a pag.51 “Resta l’appartenersi muto cieco. Scriverò trentasette capitoli finché detesterò quel tuo perpetuo debordante fiorirmi in sangue”. Ventuno a pag.66 “Forse – anni fa – quando incontrai quel chitarrista trasandato me ne innamorai e non vidi più per millenni col suo cognome che dava seguito al mio notturno il grano cominciò a germinare. Betlemme, la casa del pane siamo noi da prima di concepirci, e impastarci”).

Maternità ed amore sono vissuti nella dimensione familiare della costruzione di legami, radici salde, nodi indissolubili, unico svincolo nell’autostrada senza sbocco della vita. “L’uscita paesi etnei ci ricondurrà a casa. Al primo piano nel nostro vivaio pensile”.

La poetessa è nata il 2 novembre, giorno tradizionalmente consacrato alla commemorazione dei defunti ed alla riflessione sul significato transeunte dell’esistenza umana. Il distico finale di Prima stagione di pag.14 “essere nata nel giorno di morte mi ha aperto un varco verso le stelle” rivela il carattere inevitabilmente soteriologico e salvifico di questa fortuita coincidenza. La nascita e la rinascita scaturiscono proprio dalle tenebre della morte e dalla memoria del lutto e la loro prevalenza si fa prepotente anche nel numero preponderante delle occorrenze di vita. Il giorno di morte diventa un varco, termine caro all’autrice in cerca di un’uscita dai suoi punti oscuri, richiamante, quasi per assonanza, anche quell’arco iniziale che intende garantire il suo slancio verso l’alto/la luce delle stelle. Pur colorando di viola la vita, la morte dà la possibilità di rifiorire dai fiori recisi.

Particolarmente iconica è anche la poesia Dodici di pag.57. I numeri hanno una potenza magica, come altrettanto fatata è l’atmosfera del primo incontro, alla freschezza della vita, in cui l’autrice vede per la prima volta il suo amato con cui è destinata a camminare insieme “con passi siamesi”. L’attesa incerta con cui si chiude la silloge sembra essere qui risolta nella certezza continua ed inesorabile del sorgere del sole. Così il cognome dell’amato si presta bene ad un sapiente gioco linguistico: “mi sorgi accanto”, sei il mio punto cardinale, “resti ad est”.

La riflessione sulla scrittura trova il suo locus amoenus nella lirica Dita e domani di pag.59, in cui l’autrice si riallaccia all’apertura della precedente raccolta poetica, Disordini e intolleranze mentali: “Non cercatemi tra le righe non leggetemi nei versi. Io voglio essere l’inchiostro non le parole”. Riconoscendosi nella faticosa operazione dello scrivere e quindi in un lavorìo incessante e mai definitivo, non è parola assoluta, ma inchiostro diveniente capace di imprimere nero su bianco, con un marchio a fuoco, caldo, luminescente ed eterno. “Non serve il passato di alcun verbo. Non ti accorgi, con lui è sempre oggi e dopo e ancora”, laddove “lui” è verosimilmente identificabile anche con l’amato, sempiternamente vicino in questa rinascenza della primavera interiore, frutto di un novembre cupo e meditativo che, tuttavia, contiene in sé semenza di vita.

Lo stile dell’autrice ha una grazia semplice e disarmante nella sua limpidezza, pregna di significati sovrasensibili, con predilezione di parole attinenti all’alveo semantico dell’oriente, della rinascita/vita contro la morte. Il lessico è poetico (luna, stelle…), così come poetica è la tradizione in cui intende inscriversi dando nuovamente luce alle parole dell’inquieta e sensibile Antonia Pozzi ed a quelle ricche di linearità e candore espressivo di Vivian Lamarque.

 

da Uscita dodiciventuno (Algra 2019)

 

Scirocco

Riportami alle origini in questo mezzogiorno
che mi tiene sospesa
tra l’afa e la morte
riportami alla sorte
calendari non voglio più seguirne.
Non ci sono santi che tengono
né date che vengono
non ci sono orari che segnano il tuo arrivo
mentre muoio
mi cammini a fianco
sorridi, ti sporgi.
Riflettimi ancora un po’
non ho finito di guardarci.

 

***

 

Maria e la lanterna

Sei così breve quando mi oltrepassi la soglia del sonno.
Tra poche ore dirò di sì a quegli occhi di periferia.
Sul bordo delle nuvole
saremo ragazzini
su una pozzanghera a mezz’aria
un due tre stella, tocco la Via Lattea
paese di balocchi.
Tantu idda campa di aria e d’amuri.
Chissà la nonna
sopra quale vortice si era seduta
per sapere.

 

Elisa Irene Anastasi nata nell’autunno del 1980. Ha pubblicato il romanzo Alba blu (2012) per Enjoy Edizioni. Le due raccolte di poesie, Disordini e intolleranze mentali (2014) ed Uscita dodiciventuno (2019), sono state stampate a cura di Algra Editore.

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