Nati negli anni Ottanta è un progetto a lungo termine che ha l’intento di riassumere e catalogare le esperienze poetiche individuali o collettive portate avanti da autori nati in Italia tra il 1980 e il 1989. Si tratta di poeti cresciuti letterariamente in ambiti e contesti diversi e dunque legati spesso a modi di intendere il discorso in versi del tutto differenti. Per segnalare i libri dei poeti nati negli Ottanta scrivete sul form di contatto.

 

Tommaso Di Dio (1982), vive e lavora a Milano. È autore della raccolta di poesie Favole, Transeuropa, 2009, con la prefazione di Mario Benedetti. È giurato, per la sezione under 40, del premio letterario Premio Castello di Villalta Poesia. Nel 2014 ha pubblicato il saggio Omologia e totalità, Un percorso sulla nozione di differenza tra la biologia e l’arte di Barnett Newman nella raccola Prospettive della differenza, Lubrina editore, a cura di Carlo Sini, insieme al quale, dal 2015, è membro del comitato scientifico della laboratorio di filosofia e cultura Mechrì (www.mechri.it). Nel 2014, esce il suo libro di poesie Tua e di tutti, Lietocolle, in collaborazione con Pordenonelegge, tradotto in francese da Joëlle Gardes per Recours au poème éditeurs. Nel 2015 pubblica la plaquette Per il lavoro del principio, nata all’interno del progetto Le parole necessarie, in collaborazione con Il Centro di Poesia Contemporanea di Bologna e l’Ospedale Sant’Orsola. Nel 2017 è stata pubblicata in tiratura limitata la plaquette Alla fine delle favole, Origini edizioni, Livorno. Nello stesso anno, pubblica il saggio Nel labirinto del ritorno. La parola poetica e il ritmo, nella rivista «Il Pensiero», a cura di Massimo Donà. È di prossima pubblicazione, per Effigie, la sua traduzione di La primavera e tutto il resto del poeta americano W.C. Williams. Nel 2018 è tra i fondatori della progetto di poesia e arte Ultima, per cui ha pubblicato la breve raccolta World Wide Whatsapp crash (www.ultimaspazio.com).

 

Poesia tratta da Favole (Transeuropa, 2009)

 

Entrare. Nel petto. Nei chilometri.
La faccia muta come una terra. Questo cielo allora
di schiena attaccato durante il sonno
senza tempo, per ore. Fare l’amore senza il minimo sospetto
che vento, carezze, maremoti delle braccia incredibili
fanno l’opera, tengono
aperti i visi degli amanti, aperti al crollo degli anni
tutti gli istanti. Ti prego, tieni a mente tu
il paesaggio scavato di strade, questo volto grande.

 

 

***

 

 

Poesie tratte da Tua e di tutte (Pordenonelegge-Lietocolle, 2014)

 

Tutto questo non possiamo noi dimenticare
una volta cominciata questa impresa.
Il giovane ragazzo down
distribuisce i giornali. Tutte le mattine
non li vende non li compra
sotto la pensilina. Quando piove.
Quando c’è il sole. Tiene il conto
dei minuti che mancano, perché arrivi
perché arrivi il pullman che ti scacci nella città
verso un lavoro altrove. Ha trovato
il suo compito; la sua fatica, il suo posto
senza prezzo né guadagno. Prendi
il giornale che ti porge; guardalo.
Anche lui, mentre mette in opera il mondo
sorride
in nome di nessuno.

 

 

***

 

 

Con gli anni la vita si complica
si confonde si immischia
la certezza non si dà
nelle mani mai. Le persone dilatano
s’allargano rughe pance
gli anni sono ricordi nel parco
la stessa strada
che continui a fare e rifare
e gli alberi. Dentro il ventre di una donna
a godere steso con la faccia sporca
sulla terra; nella montagna
fragile delle paure che dilava
cancella
amici case paesi. E ogni mondo
a cui hai creduto come cosa salda e vera
è già di altri negli altri corpi
come una bufera che non riconosci più; che non riesci
ad amare di più.

 

 

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Poesie tratte da Davanti agli occhi c’è un ponte (Alla chiara fonte, 2015)

 

Dentro camminano; e fanno chilometri.
Scartano strade e bivi, procedono
a testa bassa a lato delle metropolitane.
Spostano mucchi di terra
di idee e ideologie e poi vanno
dentro aree popolate, supermercati
strade, scuole e spiazzi. Sopra scale di condomini
aprono piccole
porte di ferro grigio; e si incontrano su tetti larghi
e piani, dei più alti
edifici. Da lì s’affacciano
verso il vento, insensato e caldo.
Non si parlano. Non si toccano. Traforato
da luci che spaccano
una ad una tutte le case, guardano
l’immenso catrame e cemento umano
di cui non sanno nulla. Insieme sono
bradi, fertili e seri come gli animali inutili.
Il cielo gli lecca il volto e così li chiama
a fare da sé
qualcosa, per vivere una vita.

 

 

***

 

 

Poesie tratte da Elementi per il lavoro del principio (pubblicazione a cura dell’Ospedale Sant’Orsola, 2015)

 

Mi dicono che nascono.
Mi dicono che vivono.
Che scappano dalla pancia della madre
e crescono. Mi dicono che circa
cento su mille bambini
nascono guerrieri
prematuri lottano, devono
battere il tempo che li dava per vinti e sfuggire
alla morte che li rivuole indietro.

Maxim ha tre buchi in pancia. Nato da tre mesi
ha già volvoli nello stomaco.
Non può defecare né mangiare
è nutrito per via parenterale eppure vedi
come stringe la mano della madre, come s’agita
vuole vivere a tutti i costi
questa vita che non sa.

Ma la pelle si screpola; è membrana fragile
e grida come un’aquila. Per quanto faremo
niente e niente
fino in fondo ci protegge

dalla paura di vivere.

 

 

***

 

 

Poesie tratte da Alla fine delle favole (2017, Origini Edizioni)

 

Ci siamo svegliati; e poi
abbiamo pulito casa. Abbiamo litigato
e io sono stato solo per un’ora, al bar
pensando alla poesia e alla vita ladra che non ha
parsimonia né pazienza. Siamo usciti
e la città era brutta di pioggia e faceva freddo
non c’era niente nulla nessuna vita
per la strada affollata e superba. Abbiamo
comprato dei vestiti; inutilmente, abbiamo
speso il frutto del nostro lavoro. A casa, infine
infreddoliti, stanchi, sazi, abbiamo guardato
nel centro del cielo, a dismisura la notte
ingigantiva. E lì piegava, stordiva; e premeva
l’enorme e vana necessità
che ci dice adesso, per quanto potete
e come potete; in questo
stupido giorno uguale a tanti e a tanti altri
dissimile; apprendete
il farsi complesso di ciò che è
semplice, oscuro, silenzioso. E poi abbiamo dormito.
Come tutti dormono. Alla fine delle favole.

 

 

***

 

 

Poesie tratte da World Wide Whatsapp Crash, in Ultima Vox, 2018

 

La linea infinita degli acidi
che le mandrie di bufali
tracciarono per millenni tra le sinapsi della nostra mente.
La ragione per cui il movimento
caotico fluido di una massa di corpi o corpuscoli in uno spazio
ancora genera scarica
un godimento avvertibile. La linea invece visibile
dei palazzi lungo le strade pensate per essere strade
prima viste poi disegnate poi costruite percorse usurate
dai piedi di chi
di questo non sa, non chiede. La linea infine che va
da qui, che da qui dirama
e arriva fino al cuore nulla spazio cerchio rosso battere
che sei tu, tu
che cammini amando pensando leggendo ascoltando
che stai fermo seduto in piedi alzato protetto nudo
e hai il mondo scavato nel petto
che piange, amico mio, è un punto
che piange

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