“Ma quegli atomi lipscén, tesoro, chissà
che per loro il tempo sia ben poca cosa, almeno
a confronto del nostro. E io credo, ti aspetterò
in una sala come questa o migliore. E ci sarà un momento
in cui questi atomi si riuniranno e io sarò di nuovo qui
e anche tu lo sarai, che nel frattempo avrai fatto la tua vita”

Caratteri (Vydia 2018) di Francesco Terzago è una delle opere più interessanti tra quelle pubblicate dai poeti nati negli anni Ottanta.
La poesia torna a essere filosofia, è come se tra le righe sgorgasse il Benjamin de Sul concetto di storia; forse si riferisce a una metafisica più antica, che riflette tra Parmenide e Eraclito il senso della vita umana, ma in chiave materialista e passando attraverso la narrazione della quotidianità.
Con un parlato a tratti disarticolato, surreale, ma sempre ben orientato, Terzago porta il lettore in una “sala” dell’immaginazione, dove ognuno degli attimi vissuti dall’io narrante diventa verso – si odono parlare le persone conosciute, ad esempio la nonna, o si intravedono le epoche nei “nomadi vestiti d’azzurro” che non avanzano di un passo.
Infine ci si immedesima in sassi immersi nell’acqua che attesterebbero il cambiamento, il rinnovamento, ma non in se stessi perché l’individuo (una sorta di noi, di noi tutti, un tutt’uno, un “vita – siamo”, una “terra, e noi con essa”) viene mediato da “misure inelluttabili”, “geografie irrimediabili”.
La vita (o la realtà) è un sasso nell’acqua, dunque, su cui si fanno valere tutte le correnti, tutte le azioni, gli eventi storici, la morte e la nascita degli individui, il fatto che ognuno avrà un’esperienza di tutto questo, della sua e delle altre epoche, non ultimo il soggetto della narrazione, un cowboy in un parco di divertimenti, o il giardiniere sconosciuto delle metropoli… Un soggetto riferito come facente parte della Storia, ma anche consapevole di essere questo atomo correlato in cui il tempo è diverso fenomenologicamente.
L’io narrante che osserviamo in Caratteri, attesta nelle sue azioni la realtà umana con dei termini spesso assoluti, in contrasto con il turbinio e i cambiamenti dei costumi della nostra società quando, pure dettagliatamente e ironicamente consiglia la macelleria marocchina, i suoi prodotti e il modo di utilizzare le spezie, quando osserva una “plafoniera azzurra” su un soffitto diventato il cielo fantascientifico di Star Trek, quando la metafora investe sia la memoria del capo “Cheyenne delle Grandi Pianure”, che “slip e t-shirt e jeans” di un parco divertimenti universale… Finché questo contrasto tra soggetto e evento non arriva al paradosso, come quel sentire “il procedere di ogni cosa immobile, il suo / espandersi e l’improvviso ritrarsi” –  tra i versi più significativi dell’opera.
Lo sguardo del soggetto della narrazione costruito da Francesco Terzago si fonda su una sorta di incongruenza, un doppio legame: sembra uno storico, ma del tempo presente, che già indica il significato da attribuire ai fatti, e da un altro punto di vista è il filosofo che redarguisce che i fatti in questione sono una costellazione che si vede così solo in un particolare momento della Storia universale… Ad esempio, si veda la chiusa “Quando / mi torna in mente quel periodo della mia vita / penso che tutto stia nell’elasticità di esserci, di esserci / a metà e di non esserci del tutto, come stare in bilico sul trampolino, / da questa parte, quasi da un’altra parte, allo stesso tempo”.
Infine, attraverso questi paradossi si giunge all’escatologia, dove la morte della materia organica viene vissuta come la rinascita dell’acqua, dove fiori bellissimi che si “uccidono” rinnovano l’esistenza, pronti a diventare frutti estivi – peculiare, nella poetica di Terzago la descrizione del paesaggio e della Natura, con rimandi ai classici latini, in particolar modo a Virgilio, nonché a un classico della poesia italiana del Novecento, Attilio Bertolucci.
Un libro d’esordio – questo Caratteri di Francesco Terzago – che accompagna il lettore in una narrazione ritmata mai prolissa, ma sempre accesa dalle parole della nostra contemporaneità, che siano “linfociti T”, “Boeing 767”, “Mc Donald’s”, simboli sottratti allo “strapotere delle comunicazione” come avverte Gian Mario Villalta nell’ampia introduzione al volume, perché rielaborati non solamente in chiave mimetica e con un fare accumulativo, ma orientati all’indagine della natura umana.

 

Da Caratteri (Vydia 2018)

 

DEDICA

Mia nonna mi chiamava tesoro, lipscén
diceva e mi appoggiava una mano sulla testa
e mi diceva che era stanca. Vedi lipscén le stelle
che sono sopra di noi, il cielo – l’universo che
non ha confini pensa – a tutte le cose che ci sono
dentro pensa agli anni che ci separano e pensa
a quante persone, in questo preciso momento,
ed è possibile che sia così – tesoro, lipscén – si
staranno parlando delle stesse cose, e ci sarà una
brutta donna come me che piange dicendo al nipote
cose come queste. Lassù vorticando su delle
pietre azzurre come la terra – che è una pietra azzurra
anche se il suolo è velenoso e non devi mettertelo
in bocca quando fai i tuoi giochi, mi raccomando
lipscén, tesoro, e pensa che siamo degli atomi
tenuti assieme senza un apparente motivo, perché
siamo fatti così? Fatto sta che lo siamo. E che
questi atomi ci saranno sempre, – questi atomi
ci saranno, anche quando io non ci sarò più, –
in questo modo – e non mi potrai parlare né
ascoltare. E non ricorderai più il timbro della mia voce
che ora ti è così familiare, – né questo volto rugoso
con cui ti addormenti. Perché mi sarò fatta cremare.
E mi si potrà tenere in una scatola per le scarpe
se lo vorrai. Ma quegli atomi lipscén, tesoro, chissà
che il tempo non passi per essi a una velocità differente,
che per loro il tempo sia ben poca cosa, almeno
a confronto del nostro. E io, credo, ti aspetterò
in una sala come questa o migliore. E ci sarà un momento
in cui questi atomi si riuniranno e io sarò di nuovo qui
e anche tu lo sarai, che nel frattempo avrai fatto la tua vita,
anche tu morto, passato per la vecchiaia –. E sarai
di nuovo. E ci troveremo assieme da qualche parte,
appunto. Tu, io, tua mamma, tutti quelli che vorranno.
Tutti assieme. E capendo la cosa incredibile che ci è successa
potremo stare assieme e non incontrare più la tristezza
di questa vita o il disfacimento. Sono molto stanca lipscén,
tesoro. È tardi, sono molto stanca. O forse saremo
gli stessi. Un’altra volta come questa, ma non ci ricorderemo
nulla di quello che siamo adesso. E non avremo da passare
assieme che il tempo che già abbiamo avuto, e faremo
gli stessi discorsi rammaricandoci di avere poco tempo,
io ti parlerò per l’ennesima volta di queste cose, e questo
inverno passerà ancora. E qualcuno ti chiamerà un giorno
che sarai lontano. Ti chiamerà per dirti che sono morta.
Ma sarai abbastanza cresciuto per affrontarlo,
quella voce ti dirà che ho deciso di farmi cremare.
Prenderai questa notizia come tutte le cose inaspettate e,
arrivato a casa, ti siederai da qualche parte pensando
a queste parole che ora ti sto dicendo. Ho tanto sonno,
mio tesoro.

*

Oggi me ne sono rimasto ad ascoltare il rumore
del mio respiro e il dolore dei miei occhi.
Il contrappeso della gru era un diadema
incastonato nella fronte del cielo, un vetro
silenzioso e immobile. Mi pareva di leggere,
nella sua presenza, un senso di rimprovero.
Si trovava a una ventina di metri proprio
sopra alla mia testa. Attendeva. Ci siamo fissati
per un bel po’, lui e io. Fino a quando non ho sentito
gravare su di me le cifre, le misure ineluttabili.
Abito una pietra imbalsamata nell’acqua.
Tutto ciò che la circonda àltera, in ogni momento,
le sembianze; si rinnova ma, ai miei occhi, rimane
sempre uguale. Ciò che so di me stesso è poco,
ancora meno io conosco voi. Sto parlando
di un rapporto, il rapporto che unisce il poco
che si assomma e che, allo stesso tempo, se ne va via.
Che, in ogni momento può esserci tolto e non tornare.

*

Questo pomeriggio facevamo il gioco dei litigi
e quando lei se ne è andata nell’altra stanza
sono rimasto sdraiato sul pavimento della camera
a guardare il soffitto per un po’. Di questi tempi
teniamo le finestre di casa chiuse, tirate le tende,
le tapparelle abbassate. L’avviso di giacenza
della raccomandata attende sulla mia scrivania,
sta sotto a un mucchio di altre carte. La colpa
non è degli zombie. Il comune sta sfrondando
gli alberi del circolo ufficiali prima che ci siano foglie verdi
da ogni parte a dare ombra e freschezza. Questo rumore
non si può sopportare perché va avanti ininterrotto.
Già il rumore delle macchine ferme al semaforo se ne sta sotto
come l’elettricità che scorre nelle pareti. In più, la polvere
del legno entra dentro casa attraversando fessure
invisibili e ingiallisce ogni cosa. Ho fissato così a lungo
quel soffitto che a un certo punto ho iniziato
a vederci impresse delle stelle. Mi girava la testa
e c’era sempre quel rumore. E in mezzo alle stelle
sono comparse delle navi spaziali, l’Enterprise del capitano
Kirk e altre ancora, poi dei flash rosa e verdi
hanno mischiato tutto quanto fino a quando
non ho chiuso gli occhi. Mi sono sentito senza peso.
Come se qualcuno avesse rimosso improvvisamente
il nucleo della terra. Il rumore era ancora più forte,
più insistente, senza che per un momento un po’ di silenzio
ci galleggiasse sopra come una zattera alla quale
potermi aggrappare. Ho stretto forte le palpebre e le ho riaperte
solo dopo pochi secondi, davanti a me c’era il solito soffitto
e nel centro la plafoniera azzurra.

 

Francesco Maria Terzago è nato a Verbania nel 1986. I suoi versi sono presenti in: Nuovi Argomenti, Smerilliana, Italian Poetry Review, Nazione Indiana e ClanDestino. Ha scritto di poesia di strada e street art per Boll ’900. Fa parte del collettivo Mitilanti della Spezia e del comitato di ricerca sulla creatività urbana Inopinatum. Collabora con: Argo – di cui è responsabile creativo per l’Annuario di poesia, con Poesiadelnostrotempo.it e Midnightmagazine. Con Galerie21 ha scritto di artisti come CCH ed Elio Marchegiani. Su atelierpoesia.it sono disponibili alcune sue traduzioni, dal cinese, dei versi di Ren Hang. È presente in varie antologie, ultima delle quali è Voci di oggi (Istos). Ha pubblicato tre racconti fotografici: Euridice, su leparoleelecose.it; La mobilità del marmo, In Pensiero e, con il fotografo Jacopo Benassi, Anche loro sono riders, Riders.
Caratteri (Vydia 2018; prefazione di Gian Mario Villalta) è il suo libro d’esordio.

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