La scrittura poetica di Silvia Rosa è attraversata da una struggente tensione, proiettata sia nel futuro come tempo di attesa (uno dei lemmi ricorrenti del suo vocabolario), sia nel passato come tempo “emotivo” ancora irrisolto. Ma, essendo il primo inconcepibile senza il secondo, in quanto tutte le aspettative sembrano derivare dai vuoti e dalle sospensioni affettive dell’età infantile, ne consegue che quest’ultima costituisca, all’interno di Tempo di riserva, il filo rosso di un percorso a ritroso, simile a quello tracciato con delle briciole su un sentiero boschivo da Hansel e Gretel, affinché il tempo e il luogo dell’infanzia non vengano smarriti.
Di fatto questa poesia, pur drammatica per temi e atteggiamenti, pur adulta nella espressione del desiderio e dei comportamenti sessuali fino a essere a tratti lessicalmente cruda, quando ritrova nell’infanzia, insieme a piccoli sorsi di luce, un’alterità innocente, o il richiamo di piccoli oggetti incantati (il pettirosso spiumato/ quello del libro dell’infanzia/ con la testina reclinata nella neve, un cavallino che dondola, una seggiolina rossa) o certi rari gesti di grazia e armonia affettiva, trascina anche con sé da quella stagione prima, come direbbe Leopardi, lacerazioni, perdite e sconfitte e, soprattutto, quel trauma dell’abbandono (non può sapere quanto è difficile/ covare una carezza lungo tutto l’abbandono/ di una vita), che si riverbera nelle relazioni amorose successive.
Da questa condizione psichica derivano la disperazione per i limiti che ha per Silvia Rosa lo stare nel mondo, quel martellante scontento della quotidianità “sperpero-battito meccanico-morte bianca muta-noia”, come l’inevitabile sfiducia nell’amore, anche se desiderato, anche se ritentato, quasi “recitato” più volte, per paura di rinnovare la delusione del rapporto madre-figlia, la stessa maledetta convinzione/ di non potere più risalire il fondo.
Quasi impossibile non pensare, mentre si leggono i versi di Silvia Rosa, a quelli, anch’essi di intensa emotività, di Anne Sexton, che dovette pure lei fare i conti con una famiglia inadeguata, in specie con la madre nella quale, nonostante tutto, la statunitense sogna di rispecchiarsi, così come fa la nostra autrice, dando voce a un sentimento che, pur avendo una sua commovente necessità, nasconde anche qualcosa di inquietante (e qui riporto le parole di Edoardo Zuccato, che ha firmato l’introduzione a L’estrosa abbondanza della Sexton per Crocetti editore): “il desiderio implicito in tutti i ritratti sarebbe ancora quello, di wildiana memoria, dell’eterna giovinezza, la cui illusorietà tuttavia non le sfugge” implicando anche un problema d’identità: il vizio mio identico/ di cercare una forma, una qualsiasi/ di assomigliarle un pochino.
In effetti, Tempo di riserva racconta una personalità complessa, irrisolta, che cerca di innestare la propria nervosa inquietudine nel suo sistema-poesia, dove parlano alternativamente (ma talvolta sovrapponendosi) l’adulta, la bambina, l’amante, la sposa, la figlia, la sorella, la poeta, attraverso un linguaggio molto sincero, ma tutto costellato di quei sortilegi nati dal piacere ambiguo di fare della propria biografia una sorta di monologo teatrale.
Eppure la scrittura di Silvia Rosa non smarrisce mai la misura ritmica, la sua coerenza nella varietà dei toni (teneri, intimi, brucianti, sconcertanti), la bellezza delle metafore, e quel sapore di nichilismo amarognolo che comunque non scardina del tutto la speranza dell’attesa di cui all’inizio si parlava, come sembrerebbe sottolineare la struttura del libro, che divide i testi in quattro sezioni corrispondenti alle stagioni, a cominciare dall’inverno quasi che l’autrice, come scrive Gabriella Montanari nell’introduzione, “abbia preferito rinascere da ceneri di neve che sbocciare da gemme figlie del tepore”.
O forse perché, a mio parere, bisogna camminare a ritroso per trovare il bandolo dei giorni, per rituffarsi nel bene dell’infanzia, per non smarrire anche l’effimero dono della bellezza, se si ha paura di affrontare la maturità, la stagione sempre più parca di doni: (…) mi accorgo di essere oltre/ gli anni di polpa rossa da mordere, sono il frutto/ per terra, ora, e osservo i fiori crescere altrove.
L’incipiente maturità è, infatti, una minaccia a quell’apparenza esteriore di bambina, con la quale l’autrice ama, arrestando il tempo, identificarsi: una bambina dagli occhi grandi/ neri e nella mano due margherite (così come la disegnò una domenica la madre su un foglio sottile) che esige ancora cura e amore.
Poiché, al di là della magica confezione dei versi, al di là delle ragioni della letteratura che poi sono quelle di saziare la fame di diversità rispetto al quotidiano e ricucire coi suoni una storia per destinarla al sempre, il desiderio più profondo di Silvia (che dice che avrebbe voluto chiamarsi con un nome diverso, magari esotico, allo scopo di restituire quello di battesimo alla madre perché almeno ne tenga il suono con sé) è simile ai finali di tutte le favole: un amore per sempre in cui rannicchiarsi, felice, come una bimba nelle braccia della madre: (…) soltanto la gioia elementare d’essere/ dentro un cuore altro, a casa.
Franca Alaimo

 

da Tempo di riserva (Giuliano Ladolfi editore 2018)

dalla sezione Inverno

CHE SPERPERO QUESTA QUOTIDIANITÀ

Che sperpero questa quotidianità
svuotata di tenerezze, nudo
sasso che ci rimbalza contro, sguardo
d’orizzonte addomesticato asciutto
(e io che costruivo
geometrie golose di parole
per rendere meno scialbo
il battito meccanico
della lingua contro i denti,
al modo dei bambini
provavo il gioco ripetuto
‒ serio ‒ di stringersi
ancora e sempre come se
non ci fosse un seguito)
che sperpero la morte bianca muta
da un giorno all’altro identico di piccole
lucciole di felicità intermittenti, schiacciate
al buio di un tempo così distratto che
persino la banalità del niente
avrebbe forse un sapore meno gretto.

 

dalla sezione Primavera

PRIMAVERA ALTRA

Il giovane corpo robusto, folto
i capelli abitati da corvi dentro un nido
di ricci: quanto tempo è passato? mi chiedo,
da quando eri un cucciolo magro, petulante,
con parole gracili invece che mani irrequiete,
quelle che adesso tieni sui fianchi della tua sposa,
giovinezza accecante che invidio – un bocciolo –,
per la prima volta vedo il segno delle stagioni
sul volto degli altri, mi accorgo di essere oltre
gli anni di polpa rossa da mordere, sono il frutto
per terra, ora, e osservo i fiori crescere altrove:
la mia primavera è una pallida offerta a un sole
indifferente, sono io adesso la donna che
non vale la pena. Meno male, mi dico,
da questa altezza non ho più le vertigini,
lascio a te e alla tua bella il vertice da cui
all’improvviso, inevitabile, arriva la resa,
la china dei giorni. Dopo è solo questione
di ombre da imparare a memoria,
da non avere paura di niente.

 

dalla sezione Estate

DATTERI A COLAZIONE

Datteri a colazione, mi dici, ogni giorno
e io immagino quei piccoli soli morbidi
dolcissimi, che vengono da un’altra terra,
in fila indiana tra le tue labbra passare al vaglio
dell’alba, mentre io li snocciolo una volta l’anno
nei giorni della festa, quando la neve mi ricorda
che sono altrove persa tra gli abeti incappucciati
di stelle in plastica e i lacci di luce sbiancata
a intermittenza. Datteri a colazione, ti dico, di rado
perché qui il sole è un ricordo rinsecchito passato
di un’altra vita che non ha conservato memoria
un’immagine sfocata che tu adesso mi porti in dono,
un Natale improvviso, d’estate, una piccola stretta al cuore.

 

Dalla sezione Autunno

SILVIA

Tamara era un nome di spezie, ambra
il colore della pelle e il corpo sodo
che non ho avuto mai, così me lo immaginavo
portando a spasso tutti gli spigoli delle mie
vocali ‒ Silvia invece è un nome docile,
pensavo, di quelli che un uomo non si azzarderebbe
a sospirare di piacere, al limite silvestre
di un verde da piantina coltivata dietro una tenda
di cotone liso, chissà come sarebbe, mi dicevo
all’improvviso, avere il nome dell’amica immaginaria
che nei giochi dell’infanzia mi teneva compagnia,
‒ Ronca un volo di immaginazione
che tra le labbra di sicuro avrebbe un punto
di domanda ‒ ma che nome buffo, da dove viene?
Silvia compare poco nelle canzoni e di poesie
ce n’è ingombrante una, che lei alla fine muore giovane,
insomma, tutta un’attesa che sa di primavere e rose
e crinolina e danze di farfalle, anche loro poverine
destinate a scomparire presto.
Io volevo un nome esotico che mi facesse il seno bello
e l’andatura da valchiria, ma mi è capitato in sorte
d’essere due occhi troppi grandi e l’insistente vocazione
al sì con tanto d’eco verso il cielo, due pini sulla via
dello stupore dove mi arrampico con questa mia paura
di cadere intera sull’ultima lettera aperta
come una bocca d’aria piena, prima dello schianto.

 

 

Silvia (Giovanna) Rosa nasce nel 1976 a Torino, dove vive e insegna. Laureata in Scienze dell’Educazione, ha frequentato il Corso di Storytelling della Scuola Holden di Torino. Per NiedernGasse cura la rubrica “L’asterisco e la Margherita”, firmandosi con il nome di Margherita M. e per Words Social Forum la rubrica “Verso||Doppio||Senso”. È tra le ideatrici di “Medicamenta- lingua di donna e altre scritture”, che propone una serie di letture, eventi e laboratori rivolti a donne italiane e straniere, lavorando in un’ottica psicopedagogica e di genere con le loro narrazioni e le loro storie di vita. Si è occupata del progetto di traduzione poetica e interviste di alcuni autori argentini, dal titolo Italia Argentina ida y vuelta: incontri poetici, pubblicato nel 2017 in e-book, a cura di Versante Ripido e La Recherche. Suoi testi poetici e in prosa sono presenti in diversi volumi antologici e sono apparsi in riviste, siti e blog letterari. Tra le sue pubblicazioni: le raccolte poetiche Genealogia imperfetta (La Vita Felice 2014), SoloMinuscolaScrittura (con prefazione di Giorgio Bàrberi Squarotti, La vita Felice 2012), Di sole voci (LietoColle Editore 2010 -II ediz. 2012); il saggio di storia contemporanea Italiane d’Argentina. Storia e memorie di un secolo d’emigrazione al femminile (1860-1960) (Ananke Edizioni 2013); il libro di racconti Del suo essere un corpo (Montedit Edizioni 2010).

(Visited 876 times, 1 visits today)