Alcune delle banali considerazioni che si potrebbero fare su questo libro sono già racchiuse nel titolo della raccolta, Creatura Breve (Edizioni Ensemble, 2018), a indicare una scrittura ridotta al minimo e incapace di stilare una narrazione, redatta in forma solo di abbozzo o comunque di squarcio pittorico, assimilabile alla ritrattistica. Benché i componimenti indichino una localizzazione, l’elemento geografico non ha alcuna pregnanza, non scuote per nulla la posizione del soggetto, designato al solo ruolo di ‘osservatore’; esso non è altro, nel libro, che un visitatore all’interno di un atelier all’interno del quale è in via d’allestimento la mostra di chissà quale pittore, magari l’autore stesso, colto nell’attimo prima dell’inaugurazione; il soggetto non si situerebbe in nessuno dei personaggi delineati, oppure in ognuno di essi – ma ciò equivarrebbe comunque a una sua negazione -, né si è nascosto in sagrestia a rubare le ostie mentre il sacerdote organizza sacrifici e funerali. L’autore, Galloni, è solo un’immagine allo specchio di se stesso, la sua rappresentazione in un antico affresco via via sgretolatosi col tempo o per una vocazione allo sfregio di sé; è «Narciso dentro il bagno» che si ostina a riapparire e ridarsi come immagine riprodotta ed estranea, esercitando la propria vanità e sostituendo il laghetto delle Muse al WC.

Riteniamo che sia del tutto erroneo, nel criticare negativamente un autore e la sua scrittura, rintracciare una colpa capitale nel suo ‘narcisismo’, ignorando una differenza essenziale tra l’autore-Narciso e l’autore ego-centrico: se il primo giunge a eclissare se stesso in una forma ‘riprodotta’ che testimonia una espropriazione dal ruolo di soggetto, ora immesso nell”altro’ – emblematica è l’immagine classica del proprio riflesso allo specchio, nel quale si compie la traslazione di sé in ‘oggetto’ –, esso non ha nulla a che vedere con la riproposizione in chiave egocentrica dell’Io e dei suoi intricati e sfiancanti dissidi psicologici (ciò avviene nella maggior parte della lirica odierna), a meno che tale condizione non sia riproposta in via esasperata fino a varcare il limite del ri-elaborabile e della coscienza, dunque fino alla frattura totale e alla scissione ‘ossessiva’ già testimoniata da alcuni autori che hanno sovraccaricato e oltrepassato la lirica dell’Io giungendo a una rottura insanabile, in un’esplosione liberatoria – basti pensare banalmente a Kafka, Joyce o Leopardi, per dirne alcuni, artisti di genio che hanno coraggiosamente perseguito il proprio sacrificio autoriale e (a volte) psichico. Questa implosione del soggetto, così sperimentata da questi e pochissimi altri artisti, produce uno sprigionamento di senso non dissimile dalla disseminazione di energia conseguente al collasso di un astro; lì finalmente il soggetto, come una stella decaduta ed esplosa, non più in sé, può ritrovare nuove forme di esistenza solo nell”altro’; il narcisismo – diversamente dall’egocentrismo, che è dimostrazione di sé, e senza perdite, del proprio compiacimento in forma di piagnisteo o di sollazzo stilistico – è allora una pratica d’assorbimento totale in cui tensioni e nevrosi sono riconosciute, accettate e convogliate a pressione fino alla riproposizione del Big Bang originario, in una sorta di creazione ‘prima’ e trasparente della «traccia», scevra di sovrastrutture.

Sarebbe irresponsabile accostare quest’opera di Galloni a tutto il processo qui immaginato (in forma del tutto fantasiosa), nel senso che si è ancora distanti, e chissà quanto, da quell’implosione del soggetto da noi proposta; anzi, poiché abbiamo adoperato più volte questa terminologia, è meglio specificare che se tutti gli autori fin qui analizzati su Grammofono tendono a intraprendere questo percorso, esso è appena percettibile, ancora riconducibile a un vagheggiamento, certamente a causa di un’elaborazione del vissuto che è ancora acerba – ma proprio la vita per noi, nemmeno trentenni, è ancora del tutto acerba (e non si tratta assolutamente di un discorso generazionale, ma di tempistiche delle quali la vita necessita per esprimersi); e non solo simili forzature sarebbero erronee, ma peggio lusinghiere e false, mera pratica adulatoria. Noi preferiamo affermare che Galloni si ritrova, al pari di altri poeti (una minima parte, in realtà), nella posizione appena descritta, ma che la lettura di Creatura Breve ha avuto il merito di spingere la nostra critica verso considerazioni nuove, forse più bizzarre o estreme, ma sintomatiche di un libro impreziosito da un’antitesi strutturale, ossia tra la rapidità, l’immediatezza della versificazione e la lentezza cosmica delle scene; ecco il senso della nostra proposta di un atelier in cui scorrerebbero dei ‘dipinti in-pagina’, ossia una poesia che rappresenta la vita nel suo pietrificarsi e, freudianamente, nel suo morire ogni qualvolta si attivi il processo di rappresentazione attraverso una forma d’arte, che sia la pittura o la scrittura. Ciò non esclude momenti non entusiasmanti nella raccolta, in cui il componimento appare debole per la simbologia impiegata (permangono alcuni stilemi ormai consunti), e il tentativo di produrre un’istantanea pittorica si manifesta a volte in forma di vecchia cartolina rosicchiata, a cui si aggiunge un erotismo che può decadere nell’inutile manierismo; ma concluse le nostre pratiche obbligatorie di ‘ragioneria della critica’, Galloni ci ha immersi in un bizzarro mondo liturgico, in cui la poesia si compone come cerimoniale inscenato da preti goderecci e sensuali; un infinito ed estenuante – ma fascinosissimo – allestimento del poeta per riattivare il ‘sacro’ (in senso pasoliniano; e dopotutto l’«angelo» che appare nella raccolta non è un riferimento eclatante al Teorema del Narciso di Casarsa?), disatteso sistematicamente negli scontri in camera da letto, laddove si rievocano le tensioni e i traumi cosmici di un certo decadentismo inglese, o più precisamente di quell’estetismo inaugurato dal vecchio Wilde e rinato per incanto, un secolo dopo, in Steven Patrick Morrissey, l’ultimo esteta della storia umana. I know it’s over.

– da Creatura Breve

 

Pro Verbis #4
E saremo l’Immagine dell’uomo.
Non la creatura breve, ma la traccia.

Fabula
Scopro Narciso dentro il bagno, emerso
dallo stagno del pavimento in marmo.
È un ragazzino muto. Già si è perso.

IV.
Alberto, don Alberto: un gesuita
di ferro. I muscoli tirati a lucido
con l’olio. In posa davanti ai bambini
del centro di recupero; è domenica.
Lo spettacolo dura fino a quando
Alberto, don Alberto, stramazza
al suolo. Poi risorge come sempre.

V.
Padre Bologna, figlio dell’omonimo
pittore, visse da eremita tutta
la vita. Ma vestiva solo Armani.
E adorava la seta; alla sua morte
chiese di essere avvolto nello scialle
della madre – di seta, è naturale –
e di essere mangiato da sei cani.

Fabula
Solo la terra deve farsi terra –
così spogliamo il corpo di ogni cosa.
Cuciamo i tagli, ripuliamo il viso
dal seme. Raccogliamo i pezzi sparsi
per il salone; li bruciamo insieme
tutti per il falò di fine maggio.

Fabula
In fondo al reliquiario, sigillato
in un astuccio d’oro, l’intestino
del santo. Un intestino microscopico.
A ferragosto l’organo ipotrofico
viene portato in processione. Poi
il sacerdote finge di buttarlo
in mare. Tutti possono toccarlo.

 

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