Dalla raccolta Poetry Is Not Dead (diversamente dal punk. A quello occorre dire addio), Edizioni La Gru, 2018.

 

Civetta

Mia figlia ha paura che muoia.
Il che forse è normale – io non ce l’ho.
Per me stessa – dico.
La teoria della gloria: il terrore di non essere ricordata –
credo.
Di non aver lasciato niente – dietro.

Che è una cagata – in fondo.
Lascerei un buco in lei – se non altro.
È una cosa che non appaga – niente.
È solo un pensiero amaro – in controluce.

A volte mi sembra di avere un coltello piantato
nell’ombelico
mi sembra di non riuscire a trattenere le viscere
al loro posto
mi sento franare fuori
come un’epistassi
addosso al mondo.

Che ciò nonostante mi è refrattario
io e le mie storie rimaniamo impresse
per il tempo di un cordoglio
sulle sponde unte dell’universo
prima di scivolare oltre i margini dell’alba.

Ho scelto le uniche scelte possibili
e non mi sono mai sentita importante per questo.
Forse un po’ più sola
mai migliore.

Ma ho ascoltato quelle degli altri
senza bilance, né giudizi.Solo un cassetto
in cui conservare i brandelli
di chi non ha spazio per sé
e lo lascia a me.

Ho un coltello nella pancia e la mia esistenza zampilla
sulle cose tutte intorno, come un disordine.
Ma i vostri pezzi sono al loro posto, al sicuro. Le vostre
paure covano con me.

Io sono un poeta

non ho sonno quando dormo

mi consola la notte
insieme ai grilli,
e il grido stanco di una civetta.

Per vivere ho sempre tempo.

 

 

Cassandra

Piove
e della notte
è rimasto soltanto il profumo,
dirimpetto
su un muro qualcuno ha dato ad Elena della troia,
intanto
affaccendate anime si affaccendano
stormendo al limitare del vacuo
come zampe di una scolopendra.

Io me ne sto
perfettamente trasparente
negli interstizi dei tagli di sguardi,
che raschiano l’aria del mio intorno
come rasoi
e penso a te
che mi hai chiesto stupita
davanti a un biglietto d’auguri
decorato con ossessiva precisione
perchè vedi tutto questo?

Non so, ma saprei riportarti il rumore
dei giorni in cui
restavo
inginocchiata e muta
sugli spilli di adamantio della mia autocoscienza
implorando l’universo
di rimuovere il peso
della mia percezione,
di accecarmi quella vista che
mostrandomi con chiarezza le trame delle cose
ne rimanda con furia la mia estraneità,
di essere asportata a me stessa
come grasso superfluo dai fianchi,
scivolare
con incurante leggerezza lungo il crinale delle
margherite,
seguire le regole senza
dover scavare le mie nei miei propri avambracci,
essermi restituita
a posto ed in linea
tagliata, lavata, centrifugata
fino a che di me
sarebbe rimasto solo
un omogeneizzato dal colore invitante
e di sicura digeribilità.

Poi, come le cose che non ti uccidono,
sono sopravvissuta a me stessa.
I giorni del dolore sono per me
al contempo presenti e lontanissimi
come giganti rosse
che quando le guardi brillare inconsistenti e mute
da milioni di anni già
non esistono più.

Questo è quello che so dirti
piccola cosa furibonda
e se potessi ascoltarmi
ti parlerei della seta che stai usando
per costruirti un bozzolo
dentro il quale sentirti autorizzata
ad essere triste e spaventata e fragile
ma le parole di un poeta raramente hanno importanza
e tu nascondi le paure sotto strati di gin tonic
contorta nel tentativo di non lasciar trapelare
neanche un pezzettino di angoscia
e sorridi
e balli
come un ramo secco di ciliegio
oltre il muro della notte
e non lo vedi
appoggiato ad una macchina
fumare stancamente ed inchinarsi un poco
per osservare
proprio te

Io invece ho visto lui
e ho visto te
e ho visto un milione di voi
e ho visto me
osservarvi
come un fantasma dall’altro lato della strada
sola enorme sfilacciata rimossa e distante eppure
a mio modo
completa

Questo è un ranuncolo,
il ranuncolo arancione del mio cuore
esploso
fra qualche mese sarà primavera
amore mio
tutto andrà bene

 

 

La noia

Potrei dirti che la noia che senti
è il frutto della tua generazione
e dei mezzi che vi abbiamo messo in mano
per ammazzarvi il tempo mentre noi leggiamo
la gazzetta in santa pace.
Che è colpa delle immagini e dei telefoni
al posto delle biglie
e delle bottiglie di spuma a girare sui pavimenti in cotto
di cantine inumidite.

Potrei prendermi la colpa, darla al sistema
o darla a voi, che non sapete trovarvi una lingua
per parlarvi,
dispersi come siete nella babele digitale.

Ma digitale è una brutta parola
e tutto il resto sarebbe una bugia.

È tutto uguale, credimi e fra vent’anni
potrai guardare occhi
come i tuoi occhi ora
di vent’anni più giovani
giganti e gorgoglianti come maelstrom
che ti chiedono saggezza,
rispondergli con nostalgia.

Ascolta: quello che conta è
il tempo che hai
quando lo hai
e come scegli di riempirlo,
senza pensare a quello che ti resta.
Vedrai, l’istante in cui riesci a viverci
vale ere, e misura tutti gli altri a seguire
pieni di prima e di poi.

Ma del resto quanto sopra lo disse e non scherzo
con parole in numero di due
uno meglio di me,
quindi dimmi, cosa mi disturbi a fare?
Leggi Orazio, Leopardi, Montale

È tutto lì, non puoi sbagliare.
Quanto a questa maledizione
da cui non sembri essere immune
(il motivo per cui anzitempo sei qui,
per cui questo mi chiedi e non
che so, se il nero ti smagrisce)
posso solo dirti di usarla meglio di me,
perché non hai idea del dolore che provo, la mattina,
nel litigarmi con le vecchie
quella gazzetta al bar.

 

Chiara Araldi vive nella piccola città di Mantova, dove è nata il giorno del suo onomastico nel 1983. Dice sempre di volersene andare, ma non si sa bene dove. È un poeta, un genitore, un avvocato. Le Edizioni La Gru hanno pubblicato a Febbraio 2018 la sua prima raccolta di poesia: Poetry Is Not Dead (diversamente dal punk. A quello occorre dire addio).

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