HOW NEAR TO GOOD

How near to good is what is wild!
Può la vena poetica pulsare
dietro lo schermo a LED di una macchina
di Turing universale? Algoritmi,
formule, processori, software, RAM
corrompono le anime selvatiche.
L’homo sapiens sapiens, dal Pleistocene
in qua si nutre d’approssimazioni:
la macchina sola è perfetta, l’uomo
vive d’istinti bassi, sbavature.
How near to good is what is fair
cantava Jonson, due secoli prima
che il darwinismo sociale facesse
del progresso la norma universale,
del conformismo un dovere morale.

Del miele selvatico sulle labbra,
radici umide nella mano destra,
uomini nudi invocano a gran voce
I believe in the forest and in the meadow!
I believe in the night in which the corn grows!
Uomini che vivono senza nome
a definirne le identità,
liberi come bestie di giocare
al massacro innocente, con indosso
rami di mirto solamente, e frecce.
Nell’orgia primordiale della mandria
lingue dolci si congiungono, e sessi;
canti d’amore tubano i selvaggi,
succhiando il midollo di cudù.
How near to good is what is wild!

 

 

***

 

 

SU QUESTE RADICI NERE

Su queste radici nere e innevate
le lunghe notti passano in silenzio
curve le schiene sul fuoco, la fiamma
gentilmente avvolge le braccia nude

I bruni cappelli dei cacciatori
sfiorano appena le scure cortecce
non s’odono le grida del villaggio
più che il battito d’ali della rondine

Vestiti di nero, in varie figure
si pattina sopra un velo sottile
soffia il vento, s’insinua tra i denti
fumo più denso s’innalza dai tetti

 

 

***

 

 

SUL TETTO BAGNATO RIPOSA

Sul tetto bagnato riposa il corvo
l’acqua scorre lenta giù dalle tegole
sfiorando appena le sue ali scure

Tace Parigi a mezzogiorno, sotto
nuvole grigie, cariche di lampi
tacciono i fradici mattoni rossi

Lenta scorre la Senna, non si cura
dei discorsi dei mendicanti, stesi
ad asciugare gli stracci bagnati

 

 

***

 

 

MECCANICAMENTE GIRA SUL PIATTO

Meccanicamente gira sul piatto
del giradischi, gratta la puntina
gl’invisibili solchi di quel long-play
all my pictures are fallin’ from the wall where I
placed them yesterday sussurra la voce
di Neil Young sul do minore settima
ritorno al blues in la minore settima
caldo è il respiro di mio padre
sul divano, gli occhi chiusi, batte
lentamente l’unghia sopra il cuscino
now I’m living out here on the beach, but those
seagulls are still out of reach, tengo stretta
negli occhi l’immagine della spiaggia,
del giradischi, del divano, di mio
padre che fischietta, poi mi chiede vuoi
che metta su Emerson, Lake & Palmer
sì, ma t’avviso, è un po’ rovinato
gratta più intensamente la puntina
il ruggito maestoso delle casse
l’immagine negli occhi tengo stretta
di noi seduti a fianco sul divano
prima che mi si chiudano gli occhi.

 

 

 

Marco Storni (1990) si è laureato in filosofia all’Università degli Studi di Milano (2014) e ha conseguito il dottorato di ricerca in storia e filosofia della scienza in co – tutela tra l’École normale supérieure di Parigi e l’Università di Bologna (2018). In parallelo all’attività di ricerca accademica, si interessa da sempre di musica e di poesia.

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