Dalle Note a margine di Caterina Serra

[…] La poesia di Fabrizio Lombardo è incline all’obliquo, quel modo di porre domande che non si accontenta di sapere una volta per tutte, quel tipo di insoddisfazione che a volte accompagna il rimpianto di non avere tagliato di netto mai nulla, quel modo di concepire sempre l’intero un po’ storto, e di amarlo così. Perché così è l’obliquità, un tipo di stortezza che diventa valore, forza. Una inclinazione che vuole dire pendere, avvicinarsi, uscire da sé. Verso cosa? Verso dove, o chi? […] C’è spesso un’auto che viaggia, che parte, si allontana. È un pendolare tra partenze che sembrano sempre definitive e non lo sono mai. La relazione è per strada, che vuole dire dentro case lasciate, abbandonate, provvisorie. Sembra sempre che basti allontanarsi per non riuscire a stare lontani. […] Il rapporto mobile, letteralmente, non è solo con se stessi ma con l’altro l’altra, con la città, il Paese. Una voce in costante relazione con un dentro personale e un fuori politico. Che ogni volta bisogna rinegoziare tutto, anche il vissuto più felice. Perché quel dentro di ogni relazione è politico, e dovremmo averlo capito. […]  Crudele è dover essere, dover rientrare, non saper prendere strade che non finiscono mai. Perché c’è sempre quell’ogni giorno che prevale, quel fare uguale di cose ogni mattina le stesse, “Nel cielo artificiale, dietro l’insegna dell’ipermercato. Alle nove gli scaffali saranno pieni”. Fine della barra, fine dell’obliquità, l’inatteso di una deviazione è di là da venire. Si torna sul rettilineo, si finisce dritti in fila, verticali, eretti, senza modo di pendere/perdersi dietro una curva.

 

 

Dalla raccolta Coordinate per la crudeltà (Edizioni Kurumuny, 2018).

Scrivo il falso – spesso – e svendo le parole
mischiando vergogna e vita vera con la sintassi
della menzogna. Non chiamarlo progetto di poetica
geometria binaria, o gioco d’ombre. Serve più coraggio
a vivere i pochi gesti possibili/ quelli rimasti.
Qualche respiro preso in prestito. La notte, nelle case.

*

Sei la terra e la morte. E forse è il nostro tempo
questo disfare/ e trattenere poi tutto
in una mano. Le case tra gli alberi
tratteggiano una linea dietro la collina.
Sono un margine qualunque d’esistenza
e basterà la prima nebbia oggi, o il fumo
delle fabbriche, a cancellarle.

*

Con l’occhio appoggiato alla fessura è restato
a fissare il buio per alcuni minuti poi è entrato
a osservare il deserto/ la devastazione.

Chirurgo del silenzio/ palombaro del vuoto ha fatto
qualche passo verso di noi.

Ha riposto il respiro in una scatola. Ci ha salutato.

*

Custodirò il tuo dolore, sino alla fine
nella penombra che rimane tra di noi, nel cielo nero
appeso fuori e scuro a ricordarmi il falso/ il vuoto
a misurarmi il tempo/ il poco che è rimasto dentro
dietro agli scuri chiusi ai groppi in gola e ai crampi.
Rimetterò a te i debiti/ gli sbagli. I troppi inciampi.

 

 

Fabrizio Lombardo, nato a Bologna nel 1968, è redattore di «Versodove – rivista di letteratura» che ha contribuito a fondare nel 1994. Ha pubblicato Carte del cielo (VersodoveTesti, 1999); Confini provvisori (Edizioni Joker, 2008) e le plaquette Il cerchio e il silenzio (Squadro Edizioni Grafiche, 1995); di quello che resta, (Quaderni di poesia, 1998). Sue raccolte su numerose antologie, tra cui Parole di passo (Nino Aragno Editore 2003); La voce che ci parla (Antologia di poesia europea contemporanea), a cura di Alberto Cappi (Edizioni Bottazzi, 2005); Trent’anni di Novecento, a cura di Alberto Bertoni (Book Editore, 2005) e Memoria mare (Edizioni Pendragon. 2009). Ha pubblicato su numerose riviste e quotidiani, tra cui: «il verri», «Poesia», «l’Unità», «Versodove»,  «Atelier», «La clessidra», «Kult», «Corriere della Sera», «Poeti e Poesia», «l’Ulisse». Ha curato le note al volume Antonio Porta, Yellow (Mondadori, 2002). Sue poesie sono tradotte in francese, inglese, slovacco, serbo croato e spagnolo.

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