SIMONE SAVOGIN
Simone è pluricampione italiano di Poetry Slam. La sua forza comunicativa risiede nella completa padronanza dello strumento vocale col quale disegna immagini estremamente coinvolgenti attraverso i suoni delle parole che superano il senso delle parole stesse. Dotato di una voce potente e delicata lavora profondamente sul ritmo e sulla musica.
– Limiti
– Più o meno tutto
– Adoro l’essenza
– Pakt Ljubljana – For me
Sarà che ho mani calde
e amo accoglier freddi da cullare,
o anche che chi chiedo
s’accoccola in abbracci
che ho fortuna di dar buoni,
ma è proprio che ho sete di sentire.
Tra te e me, è meglio non avere niente,
perché se segni tuo
tutto il territorio,
finisce che la vita s’ha durina.
O forse
il mio
è solo timore di finire
davanti al grosso nulla che ho qui dentro.
E sarà giusto il prendere,
il pretendere
e il pregare,
credendo d’esser fulcro
sin da feti,
siam nati
soli
in mezzo a un universo
che ti fan pensare tuo
e a te dovuto.
È il perfetto che t’aspetti che accresce acredine,
ma credimi se dico “non esiste”,
e si sta bene, giuro, anche con poco
se poi con l’esser sé
s’è sempre onesti.
E stima bene quello che hai vissuto,
hai visto come accumuli continuo?
Se hai, hai sempre più
e poi t’annoi.
ma a noi, di ciò, che ce ne viene?
Le vene del viver bene sono altre,
e tremano soltanto
se sai riempirle di sapere.
Il sapore della vita è nel mangiarla
e sorridere del gusto inaspettato che si scopre,
e uniti e non disgiunti si giunge al nuovo,
o voi credete d’aver tutto e che vi basti?
Pasti a base d’astinenza e sbagli
m’han reso abbastanza saggio da capire
che valgo solo se ti dono ore
e che il migliore me
è noi.
È sano che un umano abbia segreti
son vie che prendi tu, e tu soltanto,
per viverti e saperti un po’ più saggio,
quando ogni cosa dice il contrario.
I sogni sono tuoi come il sapere
e nessuno sarà mai come sei
l’empatia è irreale
come l’amore
che salva, sì, ma come dio, perché inventato.
Ma è giusto tuffarsi in illusioni
aiuta a sentirsi parte
e l’arte di mentirsi è una salvezza,
forse l’unica speranza di galleggiare.
Aversi salva vite,
ma l’equilibrio
non va cercato in altri, né mutuato,
è forza viva che va costruita,
senza la pretesa sia dovuto.
E a nudo, guardati e scandaglia,
gli scandali son tali per pudori
indotti dal crederci migliori
di chi ci vuole forti
o ci fa creder principesse.
Se fosse il vero anelito il sapere,
e il merito, com’è, non esistesse,
conoscersi sarebbe l’oro puro
e non ci s’aspetterebbe ciò che non può.
Siamo fatti per deludere,
e ognuno ha il suo nero nel profondo,
onde di scelte e lasciar correre,
navighiamo correnti che viriamo a scuse.
Accoglierci tra braccia e petto e mani,
come incastri di risuono ed eco e cresta,
è il bene più grande che ci resta
in questa nostra storta coincidenza.
Le gocce dei secondi arrotondano ogni cosa,
anche la più forte e proprio quella che “…non avresti mai dimenticato”,
l’accettarsi è il fondamento in tutti i passi,
non: piacersi, amarsi, avere oppure credersi;
sedersi ad ammirare il male,
capire che giustizia non immane
perché nella gabbia aperta del dovere
siam noi che decidiamo
quanto rispetto offrire.
Ferire è inevitabile
e labile è il limite tra
imitare ed essere,
e se restar se stessi
è il cammino,
il traguardo è sempre
l’imparare.
Tu sei tuo e nessun altro,
come niente
se non i tuoi pensieri,
e dirli li cambia già,
ché condividere
è crescere e modificarsi.
Che i modi non sian morsi, ma carezze,
ché essersi è il vero dono
di bellezza.
che ancora non sognavi,
per perdermici insieme a quegli occhi
nei voli e nei pugnali.
Quando ancora i capelli eran lunghi
e avrei potuto dormirci,
respirarne il sapore di crescere
che avete voi spiriti liberi.
Avrei voluto conoscerti
per capire le scale e quei salti
che i pensieri di ieri intessono in te con certezze, momenti e poi dubbi
inferti col fuoco di mani incapaci di senso del vero e parlare con te di quei crucci
che son diventati i tuoi muri, duri, scuri e pesanti che ora ci vedon sentirci da parete a parete con mani che corron mattoni.
Avrei voluto conoscerti
ma non è stato.
Avrei voluto abbracciarti
nei vicoli che sanno di mare
quando ancora i tuoi sedici anni
davan senso a sempre e mai.
Avrei voluto conoscerti
quando s’impara il valore di tutto.
Seguire conquiste e sconfitte,
scaldare nei giorni di gelo,
trovare quel tempo speciale che ti fa danzare anche quando ti piove nel cuore.
Avrei voluto cullarti
in irlande di cieli e delfini
assentire, negare, sentire e annegare con te nei ricordi di soli migliori.
Ammirarti cantare.
Avrei voluto volare
nei baci che t’han resa speciale, nei vini che ti sanno apprezzare, nei giorni di scuola e di quiete, che hai preso per mano e posato, in lettere spedite alla te del futuro.
Avrei voluto viverti
da lontano e da sempre, come le musiche dolci dei grandi, quando ancora eri in un’altra persona.
Avrei voluto e non ho.
Come è giusto che accada nel caso.
E come nel caos ci si scontra,
è inutile tentar di fermarsi a vicenda,
il tempo è fatto per correre istanti di vetro e di giostre e dimostra la forza che ha
alleviando dolori, ma sconfitto sorride disarmato, quando stringo il ricordo di te.
Avrei voluto conoscerti
quando sbocciavi.
E scrivevi con petali dolci,
che libertà non è solo abbattere muri, ma anche costruire sorrisi.
Avrei voluto ci fossi,
quando in tutti cercavo i tuoi passi e capivo che in fondo importa solo indossare i secondi diamante, per aiutarsi in quelli di buio e se anche si è con promesse, il bastarsi non è un compromesso.
E ora che so che tu esisti
sono fiero di avere vissuto.
Perché questo è tutto quello che ho sempre voluto.
“Ehi tu questo è quello che sei
negli occhi giudici
ehi tu non vorrai tenerlo giù
puro veleno
non sei mai come vorrei
ingorda e debole
non fai che dire “potrei”
e niente regole”
fili e pelle, gocce di posso sul bianco del niente
fili e perle, divorami ancora ed esplodi nel ventre
fili e stelle su nero leggero e respiro si perde
fili e stille, condanna di garza a sentirti ora e sempre
“ehi tu, parlami ancora di noi
indivisibili
ehi tu, non lo fare mai più
scuse puerili
muoviti e fai quel che puoi
ma tanto è inutile
la forza cede a quel che vuoi
maschera in fragile”
fili e pelle, gocce di posso sul bianco del niente
fili e perle, divorami ancora ed esplodi nel ventre
non ho che te
per esser me in
fili e stelle su nero leggero e respiro si perde
fili e stille, condanna di garza a sentirti ora e sempre
ti di-strug-ge-rò con me, nella peristalsi che mente m’inverte
S I D S, ho ucciso e ora uccido il mio essere inerte
La rubrica slammer è a cura di:
Paolo Agrati è nato nel 1974 a maggio. Oltre alla scrittura e alle performance dal vivo, si dedica al canto nella Spleen Orchestra,band che ha fondato nel 2009. Numerose le sue partecipazioni a manifestazioni internazionali tra le quali il XXIV Festival della Poesia di Medéllin, il XXXIII Festival di Poesia di Barcellona, la World Slam Cup di Parigi e il IV Portugal Poetry Slam del 2017. Ha pubblicato le raccolte di poesia: Partiture per un addio (Edicola Ediciones 2017) Amore & Psycho (Miraggi Edizioni 2014), Nessuno ripara la rotta (La Vita Felice 2012), Quando l’estate crepa (Lietocolle 2010) e il libriccino piccola odissea (Pulcinoelefante 2012).