“E i due saranno una sola carne”
San Paolo

Tu sai tutte le lingue
ma parli solo la mia
me la dici nella lingua
mentre dormo e la mattina
io ti conosco a memoria.
Come un guanto, veste
la tua mano la mia
sì che il caro toccare
il capo d’un figlio,
benedirne con il dito la fronte
è un’azione moltiplicata
che esiste in due,
e per due vale,
e in uno, un solo corpo.
E se una foglia cade
dal cielo sulla mia spalla
non senti forse anche tu
tale il respiro del ramo sulla tua spalla?
che, vedi, è la mia stessa.
Così se mi vedi la pelle
al pallido sole dell’alba
io vedo e sono veduta,
in questi occhi nostri
unico potente
organo della vista,
centro
che le cose tutte accoglie
come cadono
e come sono noi siamo
un solo corpo.

La notte del Pesach

“pedem referens, omnis evaserat casus”

(Virgilio, Bucoliche)

Era la notte del Pesach,
nell’oscura sera segnata già di luce
sedevamo, attenti all’alba di là da venire
e pure quasi venuta tanto
forte, in noi, la sapienza del risorgere,
già rivolgendo indietro il passo
credemmo superato ogni Occaso.
Ma ecco le cime nere dei pini marini
convogliavano insieme in un sol punto
al centro del sentiero,
le dita nere dei neri rami
la polvere rodevano
delle zolle divelte, nel sentiero
così corrotto il cammino diviene
caduta libera
fino al centro della terra.
Io, pupa trasparente,
imitazione della vita che fui
contenitore vano,
scivolai al fondo scuro
delle forme e con me le cose tutte
al fondo del non-senso al tempo eterno
della morte all’atto
del tramontare.
E tu non puoi parlarmi più.
Eppure
il canto meridiano della cicale,
certe memori macchie di luce a lampi
tra i rami scuri, tante albe già
risorte, e noi sapevamo pure il ciclo certo
del sole che fermo sempre sorge e cade e sorge
e il tempo nelle ore correnti che sempre rinnova il giorno;
sedevamo, intenti all’alba di là da venire.

Marsiglia, il Mistral
(itinerario mistico)
Stanotte il Mistral
ha soffiato forte contro
la nostra tenda
fiaccava di fischi
le orecchie, ha bussato battuto
temevamo vuotasse
le case, invece stanotte
il Mistral è passato
e passando mi ha tutta
vuotata, erosa come le cave
dei calanchi marini.
(Sia benedetta la furia cieca del Mistral
e degli umani affetti)
Stanotte il Mistral è venuto
e io divenivo una sola
o un solo dolore cieco
e notturno, una crepa di egestas
sulla terra onesta
dei calanchi.
Tu hai tentato
di cavarmi dalla tua bocca
come un dente scavato dalla carie;
l’uomo non ama le cose vuote
e precarie:
nuocciono la bocca.
E tu sei un uomo.
(Sia benedetta la furia cieca del Mistral
e degli umani affetti)
Di mattina è sorto il sole
e il Mistral ancora soffiava.
A Marsiglia dicono
con un certo tremore del Mistral
che vuota il cielo,
il Mistral fa male al mare,
a Marsiglia dicono con pudore
che il Mistral fa bene al sole.
Così, con pudore e tremore,
di mattina sono sorta
come un sole solo
nel cielo vuotato dal Mistral.
Ogni cosa vuota va sola
nello splendore delle cose
tutte sole e vuote che il vento
soffia l’una all’altra estranea.
Chi ama la sua vita la perderà,
sia salva a chi la fa vuotare
dai venti delle cose vane
e umane.
(Sia benedetta la furia cieca del Mistral
e degli umani affetti)

Laura Marino
è nata a Roma (1986) dove vive e lavora come docente di italiano e latino nei licei. Si è laureata con una tesi su Cristina Campo e la mistica negativa (ora pubblicata su Atelier). Ha esordito con il libro di poesie Trilogie antihegeliane (Camera Verde, 2014). A quattro mani con il marito traduce in versi dal latino, per prima l’Africa di Petrarca (Testo a Fronte, 2015).

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