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Il titolo dell’ultima fatica di Salvatore Ritrovato, L’angolo ospitale (La vita felice, Milano 2013), contiene un ossimoro che è necessario disinnescare per entrare all’interno della sua poesia. Correttamente Gabriela Fantato, nella nota critica che introduce il volume, parla di «un senso di perdita e di esilio, vissuti come status permanente dell’e-sistere», che si colgono compiutamente man mano che ci si avventura tra le pagine del testo, e che a parere di chi scrive è rinvenibile fin dal titolo, all’apparenza votato a evocare un luogo di serenità, ma che in realtà conduce in un territorio disertato. L’angolo, infatti, non è solo quello del caminetto e della poltrona dove il poeta potrebbe raggomitolarsi la sera a leggere nella sua casa di Urbino, ma è quel luogo, quel ridotto lembo di una realtà slabbrata – viene alla mente la locuzione “essere messi all’angolo” – nel quale si può venir costretti, per vicende emotive, familiari, esistenziali. Anzi, quello di Ritrovato non è affatto caminetto e poltrona, ma un angolo improvvisamente stralunato, una casa che una mattina, di punto in bianco, è altra cosa, collassata sulla sua capacità di essere «ospitale» per diventare un luogo alieno, non più domestico. Si leggano i testi Solitudini e Fuoriuscito nei quali il tempo sembra sospendersi e improvvisamente far intendere la realtà in modo completamente diverso, quasi rivoltandola come un guanto: «Va così. Che un giorno come tanti / torni a casa, dal lavoro, e le pareti / il soffitto, ogni stanza, le vecchie / tende, le ciminiere, l’ombra incerta / del ficus, nel corridoio, la finestra / da cui entra parte di mondo / o quel che avanza, la porta/ che porta fuori e dentro / ovunque entriamo e usciamo / altrove, è un mucchio di macerie.». In questi versi, tratti da Solitudini, si respira l’aria dell’incertezza e della vaghezza del tempo alla quale fa da contraltare la precisione di una consapevolezza: l’ospitalità domestica all’improvviso diventa «un mucchio di macerie». Il testo ha un andamento cinematografico, da un interno immobile e crepuscolare (quello casalingo) si esce nelle strade e nelle piazze di Urbino, si tratta di un passaggio («certe mattine sono uno che entra e esce/ dalla vita» dalla poesia Fuoriuscito) che si sostanzia in un continuo modificare del punto di osservazione: è l’angolo di visuale che si slarga e si restringe di volta in volta, ci fa osservare le strade e le piazze di Urbino battute dal vento, i binari del treno, Venezia, la Puglia, Berlino, il passato, il futuro di una prole che scalda il cuore ma già si percepisce come distante. Si leggano i testi dedicati ai figli, al rapporto con un padre che già osserva l’ineluttabilità di una crescita e di un distacco, per gettarsi a vele spiegate in un mondo che non è più il suo (dalle poesie Dietro il cancello e Volatività): «un giorno li vedrò tornare grandi / e domandarsi quale traccia / die-tro il cancello che ci separa di trent’anni / fra il giardino e la strada, di ieri resti.» La dimensione dell’elegia, che è una caratteristica assodata in Ritrovato, qui si spezza, si rompe in una malinconia prospettica, prendendo vie di fuga che contrappongono (ancora l’ossimoro) la saldezza dell’io lirico con la prospettiva di un tu distante che è amore perduto, treno in viaggio, incontro, scontro, assenza. Si situano su questa linea emozionale i testi Elegia piccola e Il trasloco, carichi d’ormbre lunghe, di giorni interminabili che non fanno altro che accrescere il languore del distacco: «ogni giorno è il primo e l’ultimo / se dietro cessa di esistere / fitto e solido il tuo futuro. / Temi di sorridere e da tempo lasci / frusciando come un’ombra leggera / e impertinente questa corte».
Questi punti di vista, che si intrecciano e spesso si contrappongono, assumono un tratto essenziale in Paradosso, una sezione costituita da un racconto in prosa poetica, che si svolge nell’arco di un viaggio in treno, dove un uomo e una donna si incontrano brevemente per lasciarsi alla stazione ferroviaria. Appare evidente la tensione “esiliante” di potenzialità disinnescate: emotive, sensuali, semplicemente umane, che nella dimensione del viaggio trovano una loro improvvisa giustificazione.
Il paradosso di una realtà mutata e straniante percorre tutta la raccolta. In la domestica alle prese con le faccende di casa chiede a quale film appartengano le immagini che scorrono sul televisore, nelle quali un aereo colpisce un grattacielo di una città americana. In questo testo la dimensione paradossale e assurda si scioglie quando la vicenda delle torri gemelle, il cui attacco ha cambiato il mondo, viene messa in relazione con il matrimonio (al quale fa riferimento il sì del titolo), quella sicurezza fatta di mura casalinghe e figli, quell’angolo ospitale che può essere improvvisamente messo a repentaglio e cambiare segno, farsi cioè terra d’esilio, intercapedine di un palazzo di vetro e cartongesso che si sbriciola, bruciato, vaporizzato. La vicenda domestica e familiare è forma di un’ospitalità insidiosa, e al poeta non rimane che mettersi alla ricerca di un angolo dove si possa sentire di abitare il mondo, dove percepire un umanissimo senso di appartenenza. Quest’angolo (finalmente) ospitale è la poesia stessa, questa ostinazione del verso, la «distratta e poca vita di quest’ora stenta», nella quale Salvatore Ritrovato regala il meglio di sé e di una vicenda umana fatta di dolente semplicità.

Su una vecchia fotografia
Chi mi fissa di voi in questa lucida carta?
Che brusio è scomparso dallo schermo
muto di questa kodak?
Trent’anni e una parola per
tenere quelle pupille, filmarne il
verso sopito dalla pellicola
l’attimo di meraviglia, non basta. Verrò
ad abitare un giorno con voi dove non
scorre linfa, non trasuda spirito di
focolare e la pietà s’appanna. Pure finirà
tutto, in un ostensorio cesellato con
cura, o in un calice sollevato sull’altare;
cesserà l’andirivieni fra me e voi che mi
aspettate
laggiù, sulle scale, dopo un matrimonio.
Domani
Era un dicembre di tanti anni fa e u
n’alba come questa la sentivo
nascere dalla strada
quando ancora dorme la casa,
portarmi nel suo limbo
di soffi chiari e lenti,
a voci che mi accerchiano;
e nell’acqua che sale in cielo
e piove nelle ore corte del giorno
e si raccoglie nelle fogne,
si fa rugiada, imperla poi le foglie
le tegole, scorre sui vetri,
perdersi infine come l’ho lasciata.
Per te canto l’ombra all’ingresso
della magnolia e il nespolo
a ovest che prende freddo
e la grondaia che l’accarezza;
per te, quando mi chiami presto
e vorrei finire allora allora la
poesia di un solo verso,
invisibile, alla finestra.
Ma sono già le otto e piove e torno a
letto. Segue un bisbiglio dal pozzo
di luce, una hit parade
movimenti aerei di fune
nella nebbia, lo schiocco
inerte di mollette,
al tavolo che apparecchio
tra caffè e biscotti secchi.
L’anno nuovo torna nel suo
vecchio parallelo passato, ogni
ombra nell’iride di uno specchio,
queste parole in un abisso
silenzioso e domestico,
quello che nuotava dentro
nella tua pancia,
suo orizzonte segreto,
piccolo bastimento
girino da niente, batticuore;
la vita mi sorprende.
Ma t’imploro non dire altro,
ballata senza rima,
se torno in cucina e ancora dorme;
cerco le chiavi e gli occhiali
persi in un’altra casa, il tempo
manca mancando ci rimorde.
Vedrai laggiù che cieli azzurri e
mari, le dirai, domani.
Questa strana pace
Dalla bocca del mio vicino esce uno spiffero
caldo e forte rivela cose che non conosco.
Esiste un posto, e là grandi città
meravigliose, senza luce e acqua,
dove le mosche vivono meglio dei cani
dice e questi meglio degli uomini:
cataste d’immondizia sovrastano i palazzi
le macchine inciampano in carcasse di lamiere
e animali, ognuno va dove gli pare.
Da tempo non esistono strade. Ha
un muscolo semplice e onesto: si
chiama cuore, ama gli spaghetti e
il vino buono, l’ozio e il lavoro, e
qualche volta la televisione.
Ma sai quando si vive con i morti scopri
che almeno un giorno all’anno
(però non tutti gli anni) ti accolgono e
devi approfittarne, sennò muori
quel giorno, e nessuno ti aspetta, resti solo.
Ti conviene, se viene, non perderlo.
Per me quel giorno c’è stato.
Dal finestrino abbassato ora un vento si
alza freddo, vorace, e le parole strappa
dalla faccia, e le ultime alla radice. Squarcia
il mio silenzio. Questa strana pace.
Dietro il cancello
A questo paese che non è Venezia
dove i bambini giocano per strada col
pallone e sbucano da ogni angolo
oggi ho portato Giorgia e Tommaso.
Guardano di là quel movimento
e nel giardino della zia, oltre la
ringhiera, alzano un invisibile castello.
È come un sogno che ho dimenticato.
Poi stanano lucertole dalle fratte
e tartarughe con dardi d’erbaspada, montano
sul monopattino, e via d’un fiato. Quanto i
miei figli sono diversi dai bambini
che giocano per strada, e da me (fra quelli),
quanto è lontana la loro infanzia dalla mia da
quello che fui anch’io in quel regno senza
governo, di auto in sosta
e passanti increduli, molesti.
Un giorno li vedrò tornare grandi
e domandarsi quale traccia
dietro il cancello che ci separa di trent’anni
fra il giardino e la strada, di ieri resti.
San Marco in Lamis, agosto 2008

Salvatore Ritrovato (1967) ha scritto varie raccolte di versi: Quanta vita (Book, Ro Ferrarese 1997), Via della pesa (Book, 2003; n. ed., Puntoacapo, Novi Ligure 2015), Come chi non torna (Raffaelli, Rimi-ni 2008), L’angolo ospitale (La Vita Felice, Milano 2013); Asclepiade, plaquettes di traduzioni e imitazioni (Levante Editore, Bari 2000; Prévert, Cartotecnica Veneziana, Venezia 2002); il libretto in e-book Dedo («Quaderni di RebStein», XIV, 2009), per musica di Delilah Gutman, sulla vita di Amedeo Modigliani; e infine gli appunti in versi e in prosa di un viaggio in Bosnia, Cono d’ombra (con film-D-VD, regia di A. Laquidara, Transeuropa, Massa 2011). Per quanto riguarda il suo lavoro critico, ricordiamo: Dentro il paesaggio. Poeti e natura (Archinto, Milano 2006), La differenza della poesia (Puntoa-capo, Pasturana, 2009), Piccole patrie. Il Gargano e altri sud letterari (Stilo, Bari 2011), All’ombra della memoria. Studi su Paolo Volponi (Metauro, Pesaro 2014). Suoi testi sono usciti su riviste e antologie, anche all’estero; collabora a varie riviste letterarie, codirige l’annuario di poesia contemporanea internazionale «Punto» (ed. Puntoacapo). Insegna Letteratura Italiana moderna e contemporanea all’Università di Urbino, dove vive.

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