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Si comincia dalla fine, in questo libro – pubblicato dalla Casa Editrice L’arcolaio di Forlì, nel 2014 – che racconta il dialogo, profondo, umanissimo nato dalla corrispondenza tra due voci poetiche del nostro tempo: Christian Tito, un giovane poeta che vive a Milano e lo scrittore ultraottantenne Luigi Di Ruscio, trasferitosi in Norvegia dal 1957.
Si comincia dagli ultimi scambi, dalle ultime battute tra i due, cari-che di un sentore di buio che lentamente silenzia ogni cosa e mette a rischio la voce di un grande poeta, di un uomo particolare, che scrive nella sua opera Memorie immaginarie e ultime volontà:

“È così che capisci di andartene, gli sguardi dei tuoi cari si
abbassano, le parole stentano ad essere pronunciate, i figli
ammutoliscono. […] Chiudo tutte le finestre, ripongo nella custo-
dia la macchina da scrivere, ritorno tranquillamente nel niente da
dove sono venuto.
Nei miei versi è la mia resurrezione.”

Tito avrebbe voluto intitolare questo libro La vita segreta dei ratti, una delle ossessioni del suo Maestro, dal momento che il suo sguardo, il suo pensiero, la sua ricerca erano rivolti agli strati più bassi dell’esistenza, verso gli esseri che vivono a margine: Di Ruscio riesce ad affiancare all’orrore, quanto di grande e buono è ancora possibile alla natura umana. Una volontà di resistenza, o meglio di resilienza a tutti i costi, per uno scrittore in grado di usare la parola come conferma dell’esistenza. Perché in questo Don Chisciotte moderno – così lo definisce Christian Tito – «esiste un’adesione così stretta tra vita e scrittura» che nelle sue opere, la sua carne e il suo spirito risultano totalmente scoperti.
Nel libro la poesia trasuda da ogni pagina, da ogni parola, da ogni silenzio, e assolve il compito di aumentare il valore della realtà, in ogni gesto, immagine, situazione… E questo, Luigi, sapeva farlo bene: al termine della lettura, viene spontanea la ricerca furiosa delle opere di Di Ruscio, poiché si ha la sensazione di aver lasciato indietro una parte importante della nostra letteratura contemporanea.
Christian Tito scopre Di Ruscio casualmente alla Libreria del mondo offeso di Milano, dove i gestori gli consigliano la lettura di questo notevole poeta, ingiustamente trascurato. Christian lo apprezza moltissimo e cerca subito un contatto con lui: perché è questo ciò che accade quando un libro ci entra dentro, ci segna (o ci in-segna)… Desideriamo incontrare il maestro, per avere le sue parole e per ‘sentirlo’ come persona e non solo attraverso la pagina.
Piano piano, fra loro, si intesse un dialogo sempre più fitto e attento a scoprire, con attenzione e una sorta di pudore, le vite reciproche attraverso i versi, i racconti e le fotografie. Di Ruscio non nasconde le diverse problematiche, anche gravi, legate alla salute, alla solitudine e le sue difficoltà economiche. Non nasconde il suo profondo disagio, la mancata comprensione che il mondo ha avuto verso la sua persona e verso la sua arte. Christian, dotato di grande sensibilità, sa usare le parole giuste per trasmettere a Luigi un raggio di luce e di speranza in quel frangente doloroso (e finale) della sua esistenza. E soprattutto sa raccogliere quella che è l’urgenza di Luigi: fare sopravvivere la sua scrittura, portarla nel mondo per farla vivere, oltre la sua esistenza terrena. Si legge infatti nelle Mitologie di Mary:

“La mia paura della morte riguarda solo la paura che tutto
quello che scrivo vada perduto.”

Dalle lettere emergono frammenti, ricordi, confidenze sulla quotidianità familiare, così che la poesia si viene a collocare in una dimensione domestica e faticosa, dentro le pieghe dei giorni, quando il lavoro speso sulla tastiera, avverte del pericolo vicino.

da L’Iddio ridente

Nessuna strada sembra più strada
del vicolo in cui sono nato
in giù per la discesa precipitavo
mentre le madri urlavano
fuggivo da loro
le ultime radici troncate
ero finalmente vivo
e in salvo
con le poesie scritte
presso l’ultimo precipizio.

Tito entra nella scrittura di colui che riconosce come Maestro, scoprendone una forza epica accanto a una profondissima ironia. Ne valorizza i lapsus, le sgrammaticature, le invenzioni linguistiche, a volte ironiche, a volte tragiche… Lui, che sembrava poter scrivere in preda a furiosi rapimenti creativi, in realtà era un attento scultore, che lavorava finemente sui dettagli. La stessa vita di Di Ruscio è stata epica, considerando la misera della sua infanzia, la guerra, il trasferimento in Norvegia e i numerosi lavori che si trovò a svolgere tra Italia ed estero, e il pessimo rapporto con i suoi connazionali («con gli italiani che occasionalmente incontro sono trattato da pezza da piedi. Invece con i norvegesi spesso incontro cordialità».)
Le lettere dal mondo offeso scivolano veloci, come i mesi e gli anni, tra i versi bellissimi dei due, che si confrontano sulle loro creazioni, sulle citazioni copiose e necessarie che Tito fa della poesia e della prosa di Di Ruscio, tra scorci di quotidianità, stima reciproca e una fiducia che cresce ad ogni nuova mail ricevuta.
I vissuti, seppure così diversi, lontani geograficamente e storicamente (Di Ruscio, classe 1933, originario di Fermo, trasferito in Norvegia a 27 anni; Tito classe 1979, pugliese, trasferito a Milano) individuano radici comuni che non possono che saldare e intensificare questo rapporto di lettere che diventa inevitabilmente rapporto umano: la fabbrica, i gatti, la famiglia, la poesia, la figura del padre e del figlio.
Tutto assume una dimensione familiare ma preziosa, molto rara… perché vicina all’abisso. Ed è qui che occorre curare la parola: come racconto di sé, bisogno, necessità di dire e di ascoltare, di donare e di accogliere, di esserci… Parola che illumina quell’essere insieme, ciò che diventa il manifesto poetico e umano di Luigi Di Ruscio: «le nostre diversità contano meno di tutto quello che abbiamo in comune». Infine parola capace di resuscitare, una volta oltrepassato il varco.
Il magma di emozioni, pensieri, riflessioni che sprigiona dalle lettere dal mondo offeso rende questo libro necessario: dimostra cosa sia in grado di fare ancora la poesia, quella vera, scritta sull’orlo del precipizio, quando ci restituisce un frammento lucido e appassionato di profonda umanità.

“Scriviamolo sui muri, la resistenza è ancora possibile, l’urgenza delle parole si frapponga fra noi e il resto. La sconfitta non è definitiva, la speranza è tutta nella nostra capacità di ridere.”
Luigi Di Ruscio, Memorie immaginarie e ultime volontà

“Potete anche non leggere la poesia tanto dalla poesia sarete certamente letti.”
Christian Tito, Lettere dal mondo offeso

Luigi Di Ruscio nasce a Fermo nel 1930. Emigra dalla sua città natale nel 1957, dopo l’esordio poetico nel 1953 con Non possiamo abituarci a morire, presentato da Franco Fortini. Si stabilisce a Oslo, in Norvegia, dove per trentasette anni è operaio metallurgico. In Norvegia sposa Mary Sandberg con la quale mette al mondo quattro figli. Ha pubblicato: Le streghe s’arrotano le dentiere, con la prefazione di Salvatore Quasimodo (Marotta, 1966); Apprendistati (Bagaloni, 1978); Istruzioni per l’uso della repressione, con presentazione di Giancarlo Majorino (Savelli, 1980); Epigramma, Valore d’uso (1982); il romanzo Palmiro, con postfazione di Antonio Porta (Il lavoro editoriale, 1986; poi Baldini & Castoldi, 1996); Enunciati (Stamperia dell’Arancio, 1993); Firmum (peQuod, An-cona 1999): L’ultima raccolta (Manni, San Cesario di Lecce 2002); Epigrafi (Grafiche Fioroni, 2003); Le mitologie di Mary (Lietocolle, Faloppio 2004). Tra le altre sue numerose pubblicazioni in versi, Poesie operaie (Ediesse, 2007). In prosa ricordiamo, Cristi polverizzati (Le Lettere, Roma 2009) e 50/80 (con Angelo Ferracuti, Transeuropa 2010) e La neve nera di Oslo (Ediesse, Roma 2010).
La neve nera (2013) è anche il titolo del documentario prodotto dalla Maxman di Bologna, scritto e curato da Angelo Ferracuti e diretto da Paolo Marzoni, con la la voce di Ascanio Celestini. Il documentario ricostruisce per immagini la sua storia.
Luigi Di Ruscio è morto ad Oslo il 23 Febbraio 2011.

Christian Tito è nato a Taranto e lavora a Milano come farmacista. Chitarra e voce della band Xyma attiva dal ’96 al 2001 è autore dei testi che cominciano progressivamente ad avvicinarlo alla poesia. Qualche anno dopo pubblica: Dell’essere umani (Manni, 2005) e Tutti questi ossicini nel piatto (Zona, Lavagna 2010), il carteggio con Luigi Di Ruscio, Lettere dal mondo offeso (L’arcolaio, Forlì 2014). Regista dal 2006 di numerosi cortometraggi, alcuni dei quali presenti in vari festival nazionali e internazionali: in particolare nel corto I Lavoratori Vanno Ascoltati si avvale della propria poesia edi quella di Luigi Di Ruscio per narrare le fatiche degli uomini segnati da una vita passata in fabbrica, lavoro incentrato su Taranto e sulla famigerata Ilva.

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