Domenica 29 settembre, presso Villa Marigola di Lerici (SP), verrà assegnato il Premio LericiPea Golfo dei Poeti alla Carriera 2019 al poeta spagnolo Antonio Colinas. In anteprima i suoi componimenti.

 

Traduzione di Roberta D’Andrea

 

Canto XXXV

Mi sono seduto in mezzo al bosco a respirare. Ho respirato accanto al mare, fuoco di luce. Lento respira il mondo nel mio respiro.
Nella notte respiro la notte della notte. Respirano l’aria innamorata le labbra nelle labbra. Bocca posizionata sulla bocca serrata da segreti, respiro con la linfa dei tronchi abbattuti,

e come roccia sto respirando il silenzio,
e come le radici nere respiro l’azzurro
sui rami di un verde assordante.
Mi sono seduto a sentire come scorre nel torrente, oscurato dai miei pensieri, tutta la luce del mondo. Ed io ero un grande sole di luce che respirava. Polmone il firmamento racchiuso nel mio petto che inspira la luce ed espira l’ombra,

che accoglie il giorno e respinge la notte,
che inspira la vita e espira la morte.
Inspirare, espirare, respirare: la fusione
degli opposti, il cerchio della perfetta coscienza. Ebbrezza di sentirsi invaso da qualcosa

senza colore né sostanza, e vedersi sconfitto
in un mondo visibile da essenza invisibile.
Mi sono seduto in mezzo al bosco a respirare.
Mi sono seduto in mezzo al mondo a respirare. Dormivo senza sognare, ma sognavo profondamente e al risveglio le mie labbra mormoravano lente
nella luce dell’aroma: “Colui che lo conosce
ha taciuto e chi parla non lo ha mai conosciuto”.

 

Canto XXXV

Me he sentado en el centro del bosque a respirar. He respirado al lado del mar fuego de luz.
Lento respira el mundo en mi respiración.
En la noche respiro la noche de la noche. Respira el labio en labio el aire enamorado.

Boca puesta en la boca cerrada de secretos, respiro con la savia de los troncos talados,
y, como roca voy respirando el silencio
y, como las raíces negras, respiro azul
arriba en los ramajes de verdor rumoroso.
Me he sentado a sentir cómo pasa en el cauce sombrío de mis venas toda la luz del mundo. Y yo era un gran sol de luz que respiraba. Pulmón el firmamento contenido en mi pecho que inspira la luz y espira la sombra,

que recibe el día y desprende la noche,
que inspira la vida y espira la muerte.
Inspirar, espirar, respirar: la fusión
de contrarios, el círculo de perfecta conciencia. Ebriedad de sentirse invadido por algo

sin color ni sustancia, y verse derrotado,
en un mundo visible, por esencia invisible.
Me he sentado en el centro del bosque a respirar. Me he sentado en el centro del mundo a respirar. Dormía sin soñar, mas soñaba profundo
y, al despertar, mis labios musitaban despacio
en la luz del aroma: “Aquel que lo conoce
se ha callado y quien habla ya no lo ha conocido”.

 

*

Traduzione di Virginia Agneto

Sotto le scure ali degli abeti

Ho visto la donna che domava i cavalli dagli occhi dorati
che si sono fermati al tramonto all’incrocio dei sentieri

sotto le scure ali degli abeti Sembra non sappia dove andare.

La donna che doma i cavalli
si è bagnata nelle acque della notte
e con l’acqua bagna le loro teste per attrarre l’alba. Lo fa come un’offerta
Loro l’accettano come una benedizione
e volgono i loro grandi occhi
per salutare la prima luce di zolfo,
quella che brucia le labbra del monte
luce che passa ai loro occhi
e da lì a quelli della donna,
che sorride in silenzio.

La donna che doma i cavalli
è Giunta da un sentiero
di limoni e arance cadute
che nessuno raccoglie.
Piccoli soli abbattuti sono i frutti
che macchiano di oro rosso i suoi piedi e gli zoccoli dei cavalli.

Non so perché, dinanzi questa scena, ricordai l’infanzia e, con difficoltà, dei versi di Puskin:
“Forse si deve al canto dell’usignolo

il tremore dell’erba dei prati.
I boschi oscuri si chinano verso la terra, ma al di sotto quanta morte giace”.

 

Bajo las alas negras de los abetos

He visto a la mujer que guía a los caballos de los ojos dorados
que se ha detenido al anochecer
en el cruce de los caminos,

bajo las alas negras de los abetos. Parece no saber a dónde ir.

La mujer que guía a los caballos
viene de bañarse en las aguas de la noche
y con agua salpica sus cabezas para atraer el alba. Ella lo hace como una ofrenda.
Ellos lo aceptan como una bendición
y vuelven sus grandes ojos
para saludar a la primera luz de azufre,
la que quema los labios del monte;
luz que pasa a sus ojos
y de ellos a los de la mujer,
que sonríe callando.

La mujer que guía a los caballos ha venido por una senda
de limones y de naranjas caídos que nadie recoge.

Pequeños soles abatidos son los frutos que manchan de oro rojo sus pies
y los cascos de los caballos.

No sé por qué, ante esta aparición, recordé mi infancia y, con dificultad, unos versos de Puskin:
“Acaso se deba al silbo del ruiseñor

el temblor de la hierba de los prados.
Los bosques oscuros se inclinan hacia la tierra, pero debajo cuánta muerte yace”.

 

*

 

Traduzione di Antonio Schiavone

La Madre di Tutte le Fosse

Raccontano che la Madre di Tutte le Fosse
si trovi dall’altra parte dell’oceano,
nei pressi di una frontiera e di un muro metallico, benché possa rivelarsi in altri luoghi,
(magari nella sima di un mare molto vicino).

Con lei dorme un sogno di speranza la disperazione di molti uomini
e donne che scappano
dalla città-inferno:

dall’abuso, lo sparo, la fame e la sete.
A volte queste portano, con la pallottola che tolse loro la vita,
un figlio nel loro ventre;
o, attraversando il deserto di notte, hanno il figlio vivo abbracciato
alla paura dei loro volti.
La morte non è la vita che sognarono.

Sono già molte le denunce, molte
quelle dichiarazioni che non portano a nulla, tante le foto, tante le parole
sull’integrazione e le ricchezze
dell’illusorio paradiso, dove
i corpi possono essere
materia di mercato,
o perdere la cosa più importante
(l’anima) mentre si abita in una baracca
con il proprio televisore, sotto un cielo grigio infestato di antenne!

Ancora non sappiamo che la soluzione può risiedere nella radice dell’essere,
lì dove l’uomo accarezzò la terra
che dava i suoi frutti,

baciò la legna che dava il fuoco, la pietra che fu altare,
e respirò la pace
nella luce.

Pertanto, smettetela
con la mercificazione umana tollerata, portate l’acqua ai loro pozzi asciutti, restituite l’acqua a ogni sorgente
dei loro villaggi,
che torni il verde ai loro raccolti
e alla montagna i loro greggi.

Offritegli il pane del loro mais o del loro grano, il vino della loro vigna,
l’ombra di quell’albero della loro casa,
il loro tavolo di legno e il riposo
del loro letto con lenzuola di stelle.

Lasciate che colui che scappa
possa continuare a seminare la sua terra, che in essa ritrovi il vero
paradiso del suo sangue.
Lasciate che questa donna
(che ha perso perfino il nome
possa portare fiori alla tomba
senza fiori di sua madre
e non che lei dorma per sempre nell’oblio
della Madre di Tutte le Fosse.

 

Las Madres de Todas Las Fosas

Dicen que la Madre de Todas las Fosas
se encuentra al otro lado del océano,
cerca de una frontera y de un muro metálico, aunque pudiera hallarse en otros sitios, (acaso en la sima de un mar muy cercano).

Junto a ella duerme un sueño de esperanza la desesperación de muchos hombres
y mujeres que huyen
de la ciudad-infierno:

del acoso, el disparo, el hambre y la sed. A veces éstas llevan, con la bala
que les quitó la vida,
un hijo en su vientre;

o, cruzando el desierto por la noche, tienen al hijo vivo abrazado
al miedo de sus rostros.
La muerte no es la vida que soñaron.

¡Son ya tantas las quejas, tantas
esas declaraciones que a nada comprometen, tantas las fotos, tantas las palabras
sobre la integración y las riquezas
del ilusorio paraíso, donde
los cuerpos pueden ser
materia de mercado,
o perder lo más grave
(el alma) habitando una chabola
con su televisor, bajo un cielo gris
plagado de antenas!

Aún no sabemos que la solución
puede hallarse en la raíz del ser,
allí donde el hombre acarició la tierra
que daba frutos,
besó la leña que le daba el fuego,
la piedra que fue ara,
y respiró la paz
en la luz.
Por ello, acabad
con la mercadería humana consentida, llevad el agua a sus pozos secos, devolvedle el agua a cada manantial
de sus aldeas,
que regrese el verdor a sus cultivos
y al monte sus rebaños.

Ofrecedles el pan de su maíz o de su trigo, el vino de su viña,
la sombra de aquel árbol de su puerta,
su mesa de madera y el descanso
de su cama con sábanas de estrellas.

Dejad que el ser que huye
pueda seguir sembrando en su tierra, que en ella reencuentre el verdadero paraíso de su sangre.
Dejad a esa mujer
(que hasta el nombre ha perdido) que pueda llevar flores a la tumba sin flores de su madre
y no que ella duerma para siempre en el olvido
de la Madre de Todas las Fosas.

 

Antonio Colinas (La Bañeza, León, Spagna, 1946) è poeta, narratore, saggista e traduttore. I suoi libri pubblicati in prima edizione sono quasi un centinaio. Di questi, più di venti sono di poesia, raccolti in Opera poetica completa (Madrid, Siruela 2011), con edizione per l’America, in Messico, da parte del Fondo de Cultura Económica. Ricordiamo tra questi libri poetici: Preludi per una notte totale, Tomba a Tarquinia (Premio nazionale della critica nel 1975), Astrolabio, Notte oltre la notte, Giardino di Orfeo, Libro della mansuetudine e Canzoni per una musica silenziosa.
La sua poesia ha ricevuto il Premio Nazionale di Letteratura (1982) e il Premio Reina Sofía de Poesía Iberoamericana (2016), così come l’assegnazione del Premio per le Lettere di Castilla y León. María Zambrano ha appena pubblicato l’ultimo dei suoi studi biografici, Misteri illuminati (2019).

 

Premio LericiPea Golfo dei Poeti

Nell’incantevole e prestigiosa sede di Villa Marigola a San Terenzo di Lerici, si consolida ogni anno una felice stagione di amicizia e di incontri, un’alta dimensione umana che si esprime, da 65 anni, nella disponibilità, nella modestia e nella personalità di tanti Grandi che nel tempo ci hanno lasciato in eredità le loro poesie: il Premio LericiPea golfo dei Poeti. Un patrimonio unico del nostro territorio e al tempo stesso internazionale.
Nato nel 1954 come premio “LERICI” per volere di Renato Righetti, Giovanni Petronilli, Marco Carpena ed Enrico Pea, diviene nel 1958 Premio LERICIPEA, in omaggio ad Enrico Pea appena scomparso.
Dal 1998 viene gestito dall’Associazione Lerici Pea, che aggiunge al Premio anche la denominazione “Golfo dei Poeti”. Il Premio, sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica, è andato attestandosi negli anni come uno dei più rappresentativi nel panorama letterario italiano ed internazionale, sotto la guida sicura di giurati di alta professionalità e della Proprietà. Fedele allo statuto che lo vuole come assolutamente libero da influenze di qualsiasi genere, obbedisce al solo scopo di promuovere, diffondere e valorizzare, l’eccellenza poetica in Italia e nel mondo.

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