Dalla postfazione di Patrizia Sardisco

Ha una livrea biancastra con vistosi ocelli rossi, il Parnassius Apollo, l’Apollo di Sicilia, l’elegante farfalla che nella stagione estiva popola le vette più alte delle Madonie: una specie rara, sorprendentemente più simile, nell’aspetto, a sottospecie proprie dell’Europa orientale che non ad altre presenti nel resto d’Italia. Nella poesia di apertura di questa nuova raccolta di Emilio Paolo Taormina, l’identificazione tra l’io lirico e l’insetto è posta come una precisa dichiarazione di intenti, come a dare immediata conferma della suggestione e del portato evocativo del titolo, e come invitando il lettore a legare il proprio sguardo a un volo che da lì in poi si vedrà “ondeggiare/nel verde”. E davvero si offre come un sorvolare incessante e a quota variabile, il canto ininterrotto di Taormina, il disegno frattalico e mercuriale di una poesia tanto compatta nella tramatura, tanto tenace nel filo che l’ordisce, quanto leggera e ariosa come può esserlo la sopravvivenza scheletrica di una foglia spogliata di ogni caduca fragilità, nella pregnanza pre-logica dell’epigramma coniugata in modo originalissimo a una insaziata istanza poematica, a un flusso narrativo prodigo di rimandi infratestuali e intertestuali verso le immagini di un teatro interno vivissimo e che prende a prestito gli elementi del mondo naturale per dirsi e donarsi. Con nostalgica ma mansueta, socratica consapevolezza, in un continuum  dialogico con i propri morti e con le proprie piccole morti, con un Tu mutevole e sfuggente ma presente e vivo, l’Apollo ci rappresenta la propria traiettoria esistenziale con versi nitidi, votati alla trasparenza e alla ricerca di una verticalità ascendente, da un’interiorità minimale ai rami più alti e più su, fino all’afasia desiderante di un pianeta lontano, da un Io bambino alle universali inquietudini dell’Uomo, funambolo sulla propria fatale finitezza.

 

Da Parnassius Apollo (L’arciere del dissenso, 2018)

ognuno
di questi
uomini
ha una storia
scaviamo
e tiriamo fuori
i morti
ma nessuno
sappia
che quando
cade la notte
le poesie
si illuminano
come lanterne
e le statue
aprono gli occhi

*

la morte
è un’acqua
dura
che nessuna
lama taglia
sulle mie colline
arriva già
l’autunno
con le mandrie
mansuete
e i cani neri
ho nascosto
gli usignoli
nel pugno
presto
avrò dimenticato
cos’è la pioggia

*

dove sono
le colombe
che becchettavano
la dolcezza
della domenica
in quell’aria mite
le ragazze
che andavano
a messa
diventavano belle
con un giro
di valzer
trattenuto
tra le ciglia
dell’ultimo sogno
la trota della luce
saltava ai fianchi
dell’inquietudine
l’uomo
delle tre carte
barava il tempo
arrivava la sera

*

la sera
sopra i tetti
ha un occhio
di vetro
spande
pece calda
sul fasciame
delle barche
i sogni
come semi
penetrano
radici nei muri
delle case
in attesa
di partire
con valigie
e armadi
con la carovana
per il nord ovest

 

 

Emilio Paolo Taormina (Palermo, 1938), scrittore e poeta indipendente, è tradotto in spagnolo, portoghese, francese inglese, russo, albanese, croato e tedesco. Il suo linguaggio raffinato e malinconico affronta, con elevata sensibilità creativa, la parola della narrazione moderna e innovativa. Sue poesie sono presenti in antologie, riviste italiane e internazionali. Pubblicazioni recenti: Archipiélago, traduzione in spagnolo di Carlos Vitale (Plaza&JanesEditores, Barcelona 2002); Magnolie, traduzione in armeno di HakobSimonyan (Erevan 2007); Lo sposalizio del tempo (Edizioni del foglio clandestino, Sesto San Giovanni 2009, ristampa ampliata 2011); Inchiostro (Edizioni del foglio clandestino, Sesto San Giovanni 2011); Le regole della rosa (Edizioni del foglio clandestino, Sesto San Giovanni, 2014). Su quest’ultima opera poetica Massimo Barbaro ha scritto una breve nota dal titolo Il bordo tagliente del silenzio.

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