Esce per Amos Edizioni la nuova raccolta in versi di Roberto Cescon (friulano, classe ’78), autore, con quattro libri di poesie, di un percorso in crescita che si conferma nel 2018 con Distacco del vitreo.
Il titolo indica una patologia dell’occhio che può subentrare con l’età e ha come effetto la visione di corpi mobili quali mosche, punti in movimento, fili simili a ragnatele; prende il nome dalla terza sezione del libro, che completa le due precedenti: Dovresti e Il mio nemico. Dopo il magnifico esergo di Boris Pasternak («Non si può attraversare la strada / senza calpestare l’universo») – l’intonazione di questo lavoro è preannunciata dalla poesia che apre il libro: versi che hanno il sapore di un inferno dantesco: «Vulnerabili andiamo verso niente / esposti alla ferita della perdita. […] Tutto è già accaduto nella lingua / lo sguardo in apnea, la gola una roccia.»

È un libro in grado di sprigionare le sensazioni più diverse, ma proprio per questo scomodo, dal momento che ad ogni pagina il verso si fa più granitico, e la parola si contrae nel dolore: non ci sono vie di fuga, lo spazio e il tempo si restringono, il respiro è cortissimo. Si sta e si accoglie ciò che accade, mentre le parole ruvide e penetranti si plasmano in poesia, per lasciare ad ogni testo un segno sulla pelle, come un’unghiata, i graffi che il tempo non risparmia. È la febbre della vita, che ci fa avvertire maggiormente il nostro peso sulla terra, quella capacità di saper dire le ferite. C’è uno strappo in questi versi, al punto che spesso ricorre l’immagine del ricucire, la possibilità, la responsabilità, il «dovresti… ma la fame combatte coi fantasmi / per franare nell’abisso.» Sono tante le presenze oscure, i fantasmi che la poesia cerca di stanare, le lacerazioni che bruciano, che non si rimarginano.


Nel libro ci sono poi le tracce dei grandi viaggi della storia della letteratura, i fondamenti della nostra cultura, poetica e non solo – penso a Dante, a Ulisse –; così, quest’opera di Roberto Cescon si può leggere come una metafora del viaggio. Un viaggio nel quotidiano con tutti i suoi scogli, con la consapevolezza del male inatteso, del vuoto che ci sfiora ad ogni angolo, della luce che può insinuarsi anche negli anfratti più tenebrosi. Un viaggio -seppur condensato in trenta testi più uno- per cercare se stessi, in un cammino pieno di insidie, nutrito di richiami mitologici e letterari: «Non voltarti, primavera che infiori / sopra un campo di battaglia – non premere cieco sui remi / neppure a ritroso – nessun canto di sirene ti avvince…».

Distacco del vitreo profuma di epica, di battaglie, di sfide che si affrontano nel quotidiano, di disciplina, di nemici, di bene e di male, di lucidità e coraggio per dire, con la poesia, le profonde contraddizioni che abitano l’essere umano, le difficoltà ad accettare ciò che siamo, così complicati da riconoscere.
Questa consapevolezza si consolida nella parola poetica, che si fa dolorosa, quando ritorna più volte la colpa, la scoperta del nemico che abita noi stessi, e la forza incredibile che richiede la sua accettazione, senza un prima e un dopo. Anche questo pretende la poesia: amare l’ombra che ci vive dentro, invocando allo stesso tempo l’abisso, l’artiglio per strappare, il vomere per tranciare in profondità, lo scoglio e ancora l’abisso.
Ma incessante, in questi versi di Cescon, vibra la furia dell’esistenza, la sete inestinguibile di vita, perché la vita è sempre nel giusto e possiede una sua luce impensata, a cui non ci possiamo sottrarre: «ma da ogni punto dietro gli occhi / una luce inaudita / eri tu a vedere me -.»

 

da Dovresti

Non voltarti, primavera che infiori
Sopra un campo di battaglia,
come puoi salvare
chi dovrà spaccarsi il cuore?
Fatale è ferire senza volerlo.
Ma l’aragosta ricorda il carapace
che lascia sul fondale?
Non temere, ancora ci sarà gioia
e freddo: ricorda
che l’indaco si spegne
se pensi a misurare
dal centro gli anelli che verranno.

*

da Il mio nemico

Il mio nemico è gioia in solitudine
non di stare a riva
ma risalendo i bronchi nutrirsi
nervoso di vita
nel solo tempo che si slarga
anche se è un inferno
trovare le parole, farsi voce.

*

da Distacco del vitreo
Cose da dire a Pietro

Poche strade sono dritte, spesso solo dentro noi.
Guarda sempre l’orizzonte, ad ogni curva cambierà.
Metti nello zaino solo quello che ti serve.
Lungo la salita pensa al libro vetta.
Trova il tuo passo, importante è arrivare.
Dopo la salita, godi la discesa senza fretta.
Per conoscerti devi perdere, però non troppo.
Aggiusta i pezzi con coraggio, è la vita che ti è data.
Non temere di cadere, qualcuno ti raccoglierà.
Dopo il temporale l’aria si pulisce.
Ridi, che la vita è una.

 

Roberto Cescon (Pordenone, 1978) ha pubblicato Vicinolontano (Campanotto, 2000), Il polittico della memoria. Aspetti macrotestuali sulla poesia di Franco Buffoni (Pieraldo, 2005) e le raccolte di poesia La gravità della soglia (Samuele, 2010) e La direzione delle cose (Ladolfi, 2014). Collabora all’organizzazione del festival letterario Pordenonelegge.it. Fa parte della giuria del Premio Castello di Villalta Poesia Giovani. Insieme agli studenti del Liceo “Leopardi-Majorana” cura il blog ipoetisonovivi.com.

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