il segmento che unisce due punti è la distanza tra uno dei punti e una possibilità; l’ombra è un segmento mutevole nel tempo dalla cuspide al tallone; l’eguaglianza o la diseguaglianza dei segmenti si può stabilire attraverso l’ombra (deprivazione del sonno – A)
una porzione di spazio separata dallo spazio circostante è corpo in presenza di luce; corpo e ombra sono porzioni di spazio equipollenti; superficie linea e punto si limitano reciprocamente all’infinito senza determinare la finitudine (deprivazione del sonno – C)
la disseminazione è il processo mediante il quale i semi pervengono in un terreno adatto alla germinazione e si costituiscono in fasci di sèmi; la gravità dello stare disgrega il tempo di agglutinamento dei sèmi, oscillazioni irregolari intermittenti casuali (deprivazione del sonno – F)

Un testo non di recentissima pubblicazione quello di Ottativo, edito dai tipi di Prufrock spa nell’autunno del 2016. E tuttavia, al di là del dato speculativamente anagrafico, un testo che – pur nella sua non semplice e immediata intelligibilità – continua a offrire nuove chiavi di lettura e spunti critici.
L’ottativo è, nelle lingue indoeuropee antiche, il modo verbale del desiderio, della possibilità che si fa concretezza, di un’intenzione di realizzabilità in senso ampio. Un congiuntivo desiderativo lo definiscono, suggestivamente, alcune grammatiche.
Le due epigrafi della raccolta, l’una di Evaristo E. de Miranda (onere e onore si equivalgono) e l’altra di Geremia (ognuno morirà per la propria iniquità: chiunque mangerà l’uva acerba ne avrà i denti allegati), unitamente alle nove deprivazioni del sonno di cui tre citate in apertura d’articolo  (A, C, F), sembrano essere gli elementi che meglio permettono di cogliere l’intima essenza dell’ultimo lavoro di Poletti.
Perché nei versi di Poletti l’ottativo, prima ancora di assumere forma di desiderio / e di possibilità / e di intenzione, si muove su un piano di (s)razionalizzazione individuale: l’ottativo polettiano è istanza di riconciliazione con sè (o almeno tentativo di), è urgenza di ammenda assolutoria (le mie mani di un verdetto / una sopra l’altra il dorso le cinque teste riverse / cerbero dalle cinque teste la terra pute / sudore).
Nella consapevolezza dell’assoluta imprevedibilità e fallibilità delle leggi naturali e di quelle umane (la credenza nel nesso causale è in gran parte funzione del caso; tutte le proposizioni hanno la possibilità di essere vere; la concordanza e la discordanza di due o più proposizioni non incide in alcun modo sulla verità; tutto ciò che è possibile diventa lecito), e del conseguente senso di ingiustizia e smarrimento che ne può derivare (e nonostante la cura si consumano troppo in fretta a nessuno verrà mai in mente di metterle in discussione; cause ed effetti sono assimilabili alla statistica degli strappi della carta), nei versi proposti si assiste a un progressivo disvelamento della realtà per frammenti. Il bisogno dell’autore di raccontare, annotare e divulgare sembra rispondere a una funzione terapeutica, di presa di distanza e insieme rielaborazione degli accadimenti traumatici.
Sono fotogrammi di vita privata, dai contorni evanescenti e sfumati, quelli che Poletti cristallizza in un gioco di stanze a incastro, tra parentesi grafiche di ogni forma e genere ma comunque contenitive di un dover/voler essere che sfugge a ogni possibile alea (anche solo del pensiero).
Le situazioni contingenti da cui la narrazione prende avvio non vengono mai indicate nominativamente, così come non lo sono le persone in esse coinvolte. Eppure, anche nell’astrattezza del quadro compositivo complessivo, sono intuibili luoghi e figure in una continua osmosi amniotica di sensazioni e percezioni tattili / olfattive / visive.
In Ottativo il tema è quello dell’infermità, della malattia, del disfacimento del corpo nella sua componente puramente fisica.
A essere protagoniste del narrato, nel mezzo del chiacchiericcio indistinto e vuoto dell’intorno (chiacchiere su presidenti chiacchiere su ladri chiacchiere su primi ministri / chiacchiere su eserciti chiacchiere su guerre chiacchiere sul cibo), sono due figure maschili colte in una calda sera e passi svelti in specie di notte annuvolati tintinnaboli che l’impatto e il mantenimento dei parametri a livello strutturale educa a una verità parallela al vero perché il disordine aumenta in moto coerente e ci si abitua alla debolezza della memoria come si stringe un sasso.
 Due figure in continuum l’una dell’altra (l’albero è un albero / l’albero è la sua funzione, è prima di noi e rimarrà dopo di noi; il segno dell’affinità e ciò che la rende visibile è la somiglianza) che si trovano chiamate a improvvisare un dialogo in una nuova lingua (il senso di un segno è un altro segno che sostituisce o procura), traducendo gesti prima estranei alla loro comunicazione (tutti gli oggetti e i corpi sono esche del sole; ovunque le coordinate di permanenza di un posacenere rendono incerto il dentro non dettabile).
Ed ecco allora che il dolore dell’una figura (ma si suppone che la condizione dolorosa possa essere comune a entrambe sebbene solo uno dei protagonisti sia in grado di esprimerla perché l’altro resta prigioniero delle strutture ripetitive catene (corde) di significanti non svincolate), il senso di smarrimento per la perdita che si avverte imminente (circa la parola è esatta la funzione degli inserti, il giro di chiave ha struttura fonetica / non espiatoria l’unita acustica del discorso è il dispositivo⟩),la ferita dell’abbandono che sta per farsi squarcio (sollevano entrambi le braccia è solo una concezione del tempo / non dimostra nulla contro il cielo o in favore della terra), si traducono in un linguaggio che pur anestetizzato e quasi chirurgico, non smette di essere mai partecipato e fisico (il corpo umano viene scandagliato nelle sue singole componenti, è un proliferare di occhi, bocca, piedi, fegato, ossa – descritte anche con riferimento alle sensazioni di alienazione e straniamento che la malattia procura loro).
Il libro, lo sottolinea bene Giacomo Cerrai in una sua recensione coeva all’uscita della silloge, “ha una struttura rigida che contrasta con la fluidità del materiale: sette sezioni, quasi tutte contrassegnate da testi doppi, segnati con numeri romani e qualche titolo aggiuntivo, intervallate da testi dalla connotazione prosaica identificati da lettere progressive e titolati tutti deprivazioni del sonno. Le “ripetizioni” dei brani – specifica Cerrai – sono in realtà espansioni o interpretazioni di qualcosa che si omette, si fa finta di omettere, o si dimentica. Infatti quasi tutti i testi sono “doppi”, ma nel senso, appunto, che il secondo lievita il primo, lo destruttura e lo ricompone, in uno sviluppo che è anche (e forse inevitabilmente) una mutazione o anche una catastrophè, e insieme uno scolio, una glossa, si vedano quegli apici che paiono annotare (chiarire?) certe parti delle seconde “seconde” versioni (e già con questo termine siamo in un territorio instabile, poiché non c’è nessuna certezza che versioni poi in effetti siano)”.
I secondi testi, graficamente scomposti, destrutturati, ricchi di inserti e minuterie, si presentano come una manifestazione dell’inconscio dell’autore, in aperta antitesi con la teoria del trauma di freudiana memoria secondo cui i soggetti traumatizzati sarebbero incapaci di ricordare, e richiamare alla mente i nuclei associativi (rappresentazioni e affetti) interessati dall’evento lesivo, quasi fossero esperienze non rappresentabili, o meglio ancora, non pensabili.
In Ottativo i nuclei associativi di rappresentazioni e affetti vengono pensati e rappresentati e non solo in forma di verso ma anche graficamente, e testimonianza ne è l’ingravescenza quasi onirica che ben si coglie negli ultimi testi dove i caratteri che compongono i versi si fanno non più leggibili assumendo la forma di un’enorme macchia nera da cui dovrà prendere forma una rinascita, una nuova consapevolezza di sé e del proprio ruolo.
Poletti che da sempre è attento a ogni forma di comunicazione, anche non verbale, ci propone una rielaborazione del lutto in forma grafica prima ancora che poetica: alle parole segue il silenzio, l’assenza di tonalità (cromatica e vocale), la quiete necessaria al risveglio.
Di seguito sette testi tratti dalla silloge.

da Ottatitivo (Edizioni Prufrock spa)

I.
Mura corrente aria tentennio di un non fissato bene, passo svelto in specie
di notte annuvolati tintinnaboli, il verso delle forze tra gli oggetti
: della percezione. Ceramica isolante e superconduttore a basse temperature.
Luce sequenza buio modale sequenza battito nosteoalgia in qualunque punto
dell’estensione identica ombra su macchia.
La casa, portico l’orecchio del torace camera del plesso
rimbombano amplessicaule memoria di voci
sconosciuta la tua ispessita dal callo, prece vespero
verbera verba, pregresso di fiati tra le pareti.

III.
Ti accompagnavo a comprare delle scarpe, quelle che indossavi si erano rotte tutte.
Dovevi partire dopo poche ore. Non ricordo per dove, ma sembravi
poco voglioso del viaggio o contrariato da qualcosa;
era tardi, pomeriggio tardo e sbadigliavi già. Le mie mani di un verdetto.
Una sopra l’altra il dorso le cinque teste
riverse, cerbero dalle cinque teste la terra pute
sudore. Ossigeno in latrato i capelli e le unghie
continuano a crescere una smania di denti dismessi.
Atropina da 1 a 5 mg dopo poche ore
non ricordo per dove le mani e l’arsura delle ghiandole
da qualcosa si erano rotte. Strappata invece intatte ora viso fossa.

VI.
‹un conforto› conoscere per se stesso afferrandosi ai propri capelli
‹in esso (in quello spirituale)› non vige legge di gravità gli angeli
non volano ‹in realtà increato› pregno di terra la conoscenza
che ho della mia stanza è misera [un lepisma salta veloce tra le dita; se si elimina la funzione
del referente dal processo dei segni quale portata mantiene la relazione tra parola e cosa] ovunque le coordinate
di permanenza di un posacenere [indeterminazione del segmento e della spirale]
rendono incerto il dentro non dettabile

XV.
tutto ciò che svia è il dialogo  [quattro pareti una porta; la porta è sulla parete opposta al muro crudo che dà a nord;
la stanza è sempre un parallelepipedo; sostiamo o permaniamo avvolti in parallelogrammi;
ci sono anse rientri polmoni, ma la porta sembra non mutare posizione; lo sviluppo è sempre a croce; il corpo è duale
rispetto alla stanza ma ha diversa struttura combinatoria rispetto alle seggiole]. La mela è tutto ciò che svia
 [un ramo spunta da un albero, porta nome e essenza dell’albero; ciò che esce è identico a quello che rimane all’interno;
il frutto non è espressione di se stesso].
1.9 imitazione è alla base dell’acquisizione del sistema, il principio di riferimento fonda ma anche seppellisce Se fosse soppressa ogni mediazione tra me e il muro ⟨terminazione solo
in apparenza legittima⟩.  [il bene è sconfortante quanto il male; nel dialogo tra due seggiole si sviluppano
segmenti di inappartenenza; cause ed effetti sono assimilabili alla statistica degli strappi della carta]

XVI.
Giustamente la fede opera nella congruenza dei lati in mezzo
stanno le convinzioni agli angoli le parole gli angoli
non potranno mai essere congruenti a causa della distribuzione
delle parole e della responsabilità che gli viene conferita.
La qualità della parola può essere numerale
numerabile quindi quantitativa, ciò che può dirsi è misurabile.
Seppellite disseppellite secondo le circostanze la buona fede non basta
coincidere determina la contraddizione del dire contemporaneamente altro.

XVIII.
non ci sono finestre attraverso una porta perdere la facoltà di giudicare [la serratura è un dispositivo che
assicura chiusura e apertura grazie a una chiave].
La funzione di una porta è esatta, telaio cardini serratura creano soglia
presso un muro la posizione è ingiudicabile.
Il volo di solito è veloce una rapida successione di curve cambi di traiettoria
quando predano insetti che volano veloci  [l’incastro a coda di rondine è un tipo di giunzione stringente per
la realizzazione di cassetti; fa parte delle cosiddette giunzioni multiple caratterizzate da una serie di elementi maschio
e femmina: i pieni sono detti tenoni i vuoti mortase].
Nel ⟨quarto⟩ cassetto solo federe il secondo non si apre solo due
del consiglio lo sanno e escono sempre dalla porta di centro.
Circa la parola è esatta la funzione degli inserti, il giro di chiave ha struttura fonetica
non espiratoria ⟨l’unita acustica del discorso è il dispositivo⟩

XIX.
Sollevano entrambi le braccia è solo una concezione del tempo
non dimostra nulla contro il cielo o in favore della terra, il primo attesta concordia il secondo incompatibilità di elementi
peso metri, a differenza dei corpi quantitativi
l’incongruenza del mondo sembra solo di natura quantitativa. Credere l’estasi e l’annegamento per via di braccia estolte
non si può sottrarre né aggiungere nulla il giudizio è statario
per una concezione del tempo, la via non smette la costante
il rapporto di non conflittualità tra misure diverse in uno spazio variabile.

Daniele Poletti nasce a Viareggio nel 1975. Poesia e teatro del corpo sono le attività che animano la sua ricerca.
Pubblicazioni: Dama di Muschi (1995), con i testi introduttivi del poeta visivo Arrigo Lora-Totino e dall’artista Antonino Bove, Una giornata… particolare (Mauro Baroni editore 2003) e Ipotesi per un ipofisario (Marco Del Bucchia Editore 2005).
Un’anteprima del suo prossimo lavoro I taglienti (trusioni e sfalci sull’Ordet di Dreyer) è presente nel volume collattaneo La parola informe curato da Sonia Caporossi (Marco Saya Edizioni 2018).
Tra le partecipazioni: L’ora d’aria dei cani (Mauro Baroni editore 2003), Parabol(ich)e dell’ultimo giorno. Per Emilio Villa (Dot. Com Press 2013), I racconti della metro (Aracne editore 2016).
Sue poesie e lavori concettuali sono apparsi su varie riviste e contenitori d’artista (Offerta SpecialeRisvoltiGeiger, BAU, Italian Poetry Review tra le altre e su l’immaginazione 10 poesie con una nota di Edoardo Sanguineti).
Fondatore e promotore del progetto culturale dia•foria (www.diaforia.org), che all’inizio del 2013 ha inaugurato un nuovo spazio dedicato alle scritture di ricerca: f l o e m a – esplorazioni della parola.

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