Dalla Prefazione di Maria Anna Mariani

“Non essere dunque è un desiderio, o così pare. Essere invece cos’è? Difficile dirlo, se non si riesce a capire non solo il legame che stringe il qui e ora con l’altrove (evocato nella poesia straordinaria animata dalla bambina della Cina occidentale), ma anche ciò che associa il vicino ai suoi dintorni. Tutto è beffardamente sconnesso e la sintassi riflette questi nessi saltati nel mondo, esasperando la metaforicità del dettato, unendo quel che è senza rapporto e spezzando quel che è collegato, comportandosi insomma come se fosse plasmata da «una mente che spariglia momenti».”

 

da Non essere (Vydia 2019)

Ogni maglia si macchia come mai prima.
Il pieno di un corpo nello spazio rifà il timido salvarsi
il passato di sole nei panni il lustro di lenti: questo
davanti alla finestra di ogni pioggia manca al segreto
di chi sta disteso. In piedi una presa a sorpresa da dietro
in una musica fina di una festa che non si deve vedere,
la voglia, i denti che hanno sputato una rosa: lo stesso
gran daffare per sbiadire le ombre brevi dei colli.

***

A questo serve alito: dirci di noi ci separiamo e mangiare
poi, lontani ormai dallo zero delle gocce e dal frenare
del torrente, a seguirci un odore salato di fonderia
che scende per valle. Sbianca neve nella lastra
e la pietra è freddo di sonni sotto pelle.
A discendere gli Spalti di Toro sono corde vocali
lingua orizzonte per parlare di più di quando
nemmeno saremo nati, però vivi di un tempo cascato
che è quello del Cadore un pomeriggio un sabato:
campetti di pallacanestro e calcetto deserti e palestre
chiuse, la stazione dove treni non passano
e lo stesso rimanda il divieto di oltrepassare i binari.

***

Le ore sono quelle dovunque, prima e poi il sole
ci passa per chi guarda su o giù, chi legge o aspetta
sodo soffre il peso sugli arti. E poi c’è l’altro, esiste
sempre altro se guardi, appena fuori da un muro bagnato
e chino come il lampo sotto il vento. I colori non sono tanti,
si schianteranno nell’arco. Potrei dirla in molti modi
l’attenzione, un disprezzo di me o questo gran calore
che ci chiede il viso, ma il retro del pensiero è solo stanco
di restare, di mimare il sogno vuoto delle braccia
che sfarfallano qualcosa che non è ritorno non è inizio
e quando si spezza il nodo d’esserci va così, a stelle:
tutto pizzica in un grado di forbici, sempre le mani
a tradirci come il chiodo l’esodo e avere lode del duro.

 

Alberto Cellotto è nato a Treviso nel 1978. Ha pubblicato i libri di poesia Vicine scadenze (Zona, 2004, prefazione di Antonio Turolo, Premio APS di Pordenonelegge 2004), Grave (Zona, 2008, prefazione di Fabio Franzin), Pertiche (La Vita Felice, 2012, prefazione di Gian Mario Villalta), Traviso (Prufrock spa, 2014, menzione di merito Premio Achille Marazza 2015) e la plaquette illustrata da Nicolò Pellizzon I piani eterni (La collana Isola, 2014). Ha tradotto Duluth di Gore Vidal, Canzoni per la scomparsa di Stewart O’Nan (Fazi) e Una speculazione sul grano di Frank Norris (Amos Edizioni). La sua prima opera narrativa è il libro epistolare Abbiamo fatto una gran perdita (Oèdipus, 2018). Altro su www.albertocellotto.it. Non essere è uscito per Vydia nel mese di settembre 2019.

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