Benvenuti.

Questo appuntamento mensile vi permetterà di conoscere alcuni dei poeti che si dedicano al Poetry Slam e alla poesia orale, di leggere i loro testi e di vedere i loro video.
Il Poetry Slam è una disciplina che vede il poeta, lo Slammer, recitare i propri testi dal vivo avendo a disposizione un palco, il proprio corpo e tre minuti per esprimersi. Una giuria scelta a caso tra il pubblico valuta il testo e la performance e vota il vincitore. Lo spirito è quello del confronto col pubblico e con se stessi; “Il miglior poeta non è quello che vince” è il motto della coppa del mondo di Poetry Slam di Parigi.

NICOLAS  CUNIAL

La poesia di Nicolas è l’estrema sintesi di contrasti apparenti fra codici espressivi e modalità d’esecuzione: musica, teatro, poesia sono unite nel fulcro del tempo, del ritmo.

Nicolas Cunial (1989) è poeta, performer e organizzatore di eventi di poesia, nonché tra i più apprezzati slammer italiani.

Oltre a essere stato inserito in numerose antologie, ha pubblicato tre libri di poesia: Pillole di carne cruda (2012); Carie di città (2013); Il sosia zero (2015), tutti per Edizioni La Gru. Ha pubblicato il romanzo L’innocenza della fuga (2016) con David&Matthaus. Il suo ultimo libro è Black in / Black out (Interno Poesia, 2019) da cui è tratto l’omonimo spettacolo di poesia e musica elettronica. È stato fondatore e vice presidente della LIPS – Lega Italiana Poetry Slam dal 2014 al 2016. Nel 2017 fonda il collettivo Fumofonico, con cui realizza eventi e spettacoli di poesia principalmente a Firenze, dove vive. Nello stesso anno, crea il collettivo Novæquipe, con cui produce spoken music e videopoesia. Ha vinto numerosi premi e riconoscimenti. Nel 2018 è stato tra i finalisti del Premio Dubito. Tutte le sue opere sono rappresentate dall’agenzia letteraria Edelweiss. Il suo sito è: www.nicolascunial.it

– In discotesta

– Controcaccia

– Planetario

IN DISCOTESTA

la depressione è come una festa
che non ha fine. e in discotesta
va tutto bene ma fuori
fra le rovine/deserte/polari
il vento molesto non smette di dire:
«forse a te piace non stare bene»

(ma in discotesta
c’è la musica alta / spacca le orbite
che se ci parliamo non ci capiamo
ma in fondo che importa tanto qui conta
che la mia faccia dipinta a sorriso
non pianga solvente sopra la tinta
o mostrerebbe che sotto a ‘sto trucco
c’è un volto da guerra. quasi distrutto

e c’è
la spinta di testa per l’uso di droga
gocce e pasticche che pompano pace
che pompano voglia di
gioire/sudare/cardioalitare
per almeno un paio di ore
il tempo che vi è necessario
a scordarvi che muoio / pensarmi guarito
io che casco se spinto
da una parola / la forza di un dito

e c’è
la fatica per ogni mio gesto
per alzarmi dal letto / dal divanetto
per raggiungere il bagno lo sforzo
di salutare chi neanche conosco lo strazio
nel guardarmi allo specchio
e sentirmi alla vita fissato
dai soli magneti / della fame / del fiato

e c’è
il distacco dei piani
io nell’arena da solo e il mondo sul cubo
che si dimena nel buio che sputa
e vuole soltanto che io mi diverta
perché confonde l’abisso e la noia
così mi tira dentro le fila
come se questo fosse la vita
non il problema ma la porta d’uscita)

la depressione è come una festa
che non ha fine. e in discotesta
non va così male ma fuori
fra le rovine/deserte/polari
il vento molesto non smette di urlare:
«forse dovresti vedere qualcuno»
nulla è più vero
e quel qualcuno dovrei essere io
ma non mi vedo
e da qui grido che anche se esco
da questo locale / dal male
comunque sarei ostaggio del freddo
delle rovine/deserte/polari
e fra il morire sicuro di gelo
e ballare con l’aria da morto
non c’è differenza
quindi meglio far festa
aspettando che fuori l’inverno
o si consumi
o entri qui dentro

CONTROCACCIA

e l’ego mi fruga mi grida decreta
tu scrivi tu scrivi tu scrivi tu scrivi
e butta la carta se batti il tuo tempo
incidi nel metro del suono ogni canto
ma l’ansia depreda quel poco già scritto
pertanto lo straccio: mi faccio silenzio
e l’ansia mi invita mi punta sentenzia
tu studia tu studia tu studia tu studia
impala la penna dei grandi poeti
impara la forma dei versi costretti
ma l’ego s’impunta mi crede già bravo
se giunge l’applauso di poco concesso
e l’ego mi spinge mi stringe costringe
mostrati recita canta declama
indossa una trama che sappia di fumo
rivelane il senso ma a fatto compiuto
ma l’ansia sanziona l’invalido timbro
che esalo veloce che quando mi smembro
c’è l’ansia che insegue rincorre mi danna
sta’ zitto sta’ zitto sta’ zitto sta’ zitto
non senti non cogli lo stupro di ritmo?
ometti persino quel fiato dovuto
ma l’ego ricusa sostiene per certo
che il dono più mio lo faccia all’orecchio
e l’ego resiste ricalca rimbomba
performa performa performa performa
e scocca parole in forma d’ipnosi
adorna coi gesti quest’altra nevrosi
ma l’ansia mi sgrida la bocca s’allaccia
e vuole in esilio l’accento che caccia
e l’ansia precisa bisbiglia sussurra
dizione dizione dizione dizione
coraggio correggi il passo di lingua
e sputa di gola la musica nuova
ma l’ego riesplode la sete di fama
e sulla tastiera si sbrinano dita
e l’ego difatti mi predica e forza
pubblica stampa propaga dirama
che leggano tutti i versi che spandi
e sputa dai fogli la botta che intagli
ma l’ansia ritorna con critiche orrende
e mi sottometto col senno che pende
e l’ansia confessa mi spegne e qui spara
cancella cancella cancella cancella
non devi pensare che devi mangiare
non devi pensare che devi dormire
ma pensa piuttosto a quanto rimpiangi
la vita che prima non era da pazzi
e l’ego interviene rincalza rintocca
componi componi componi componi
che non puoi pensare di fare di meno
nemmeno pensare che scrivi veleno
ma pensa piuttosto che basta pensare
e basta pensare e basta pensare!

(tu scrivi tu scrivi tu scrivi tu scrivi
cancella cancella cancella cancella
mostrati recita canta declama
sta’ zitto sta’ zitto sta’ zitto sta’ zi’)

PLANETARIO

forse confondo le confusioni
perché mi conto più dubbi che giorni
ma ho due pianeti al posto degli occhi
li disegno sul muro
(poi pulisco: lo giuro)

si vive in un tempo protocollato
tra le visite da calendario e l’orario
del deperimento. del farmaco effetto.
si vive di schemi e gioco di ruoli
di costanti silenzi scontati
per mostrarcisi male. malati.
ma c’è un momento in cui mi do conto
che sono contento: è quando disegno
i miei occhi più grandi del mondo
perché lo contengo nel nero del bulbo
e il bianco contorno è l’universo
in cui nuoto di notte se mi addormento
se il giorno l’ho perso a muovere scacchi
con chi fa la cronaca dei gesti più semplici:
«guarda. lei ha preso una penna.
guarda. lui sta toccando la tenda»
e silenzioso mi fissa gli spacchi
coi suoi pianeti disabitati.

forse confondo le confusioni
perché mi conto più dubbi che giorni
ma ho due pianeti al posto degli occhi
li disegno sul muro
(poi pulisco: lo giuro)

si vive di sedute e dosaggi
di diritti pestati e ora detriti
di pasti scaldati e assaggi gentili
per evitarci il più dei conati.
si vive di docce in divisa
divisi dall’altro
ché l’amore è bandito ma quando fa buio
se le luci si spengono
arrivano mani a infilarsi nel letto
e può succedere che non siano mie
ma di chi ha più voglia
e non sa cosa tocca ma sa ricucire
senza mostrare (scartare) manie.
così la mattina con le dita pastello
ritraggo lettini vibranti il cigolio
le spinte e gli strappi degli organi scelti
il suono e la voce che mai dice addio
né dice: «ciao sono io è stato stupendo»
no: qui è un rancio di sesso randagio
la regola vuole che va bene fin quando
i grembi non crescano non ci sia parto.
e tempero tempero gli occhi pianeti
coloro coloro gli umani crateri
dipingo soltanto il circo che vedo
io bestia lasciata alla sete di gioco
costretta incastrata dove non si respira
in questa camicia che non si stira.

forse confondo le confusioni
perché mi conto più dubbi che giorni
ma ho due pianeti al posto degli occhi
li disegno sul muro
(poi pulisco: lo giuro)

ma adesso che ho finito lo spazio
e il planetario è un disastro completo
prima che possa goderne lo sguardo
mi legate le mani con cinghie
a un letto disfatto da carne di scarto
(avanti uno e poi l’altro)
in attesa del turno di briglie di cuoio
(avanti uno e poi l’altro)
con l’urlo di unghie dal corridoio
(avanti uno e poi l’altro)
è attesa in reparto la morte che perde
ché non mi prende se mi attaccate
la testa a uno schermo lo sguardo all’inferno
io fermo fissato un cristo all’altare
con particole in ferro freddo sui lobi
io cimice in camice sacrificale
addento dolente un sorriso di legno
per preservare lo smalto del ghigno
dai crampi che vengono a farmi la festa
una scossa che straccia che scassa la testa
una scossa che straccia che scassa la testa
una scossa
che straccia
che scassa
la testa
per farmi confondere
le confusioni
diradare la nebbia planetaria dagli occhi
rotolati all’indietro per le convulsioni
e così eliminare ogni dubbio futuro
per cancellare i disegni sul muro.

forse ho confuso le confusioni
i dubbi si sono vestiti da assiomi
ma i due pianeti al posto degli occhi
restano in volo per cui
li disegno sul muro. in silenzio. da solo.
ché di queste follie io sono le stanze
che non accettano pareti bianche


La rubrica slammer è a cura di: Paolo Agrati

Oltre alla scrittura e alle performance dal vivo, si dedica al canto nella Spleen Orchestra, band che ha fondato nel 2009. Numerose le sue partecipazioni a manifestazioni internazionali tra le quali il XXIV Festival della Poesia di Medéllin, il XXXIII Festival di Poesia di Barcellona, la World Slam Cup di Parigi e il IV Portugal SLAM. Nel 2018 partecipa alla Poefesta di Oliva in Spagna e al MIAMI music Festival di Milano. Ha pubblicato le raccolte di poesia: Partiture per un addio (Edicola Ediciones 2017)  Amore & Psycho (Miraggi Edizioni 2014), Nessuno ripara la rotta (La Vita Felice 2012), Quando l’estate crepa (Lietocolle 2010) e il libriccino piccola odissea (Pulcinoelefante 2012).

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