Dalla prefazione di Maria Teresa Carbone

«Questo libro nasce dal piacere condiviso di colmare una lacuna», scrivevano una decina di anni fa Loredana Magazzeni, Fiorenza Mormile, Brenda Porster e Anna Maria Robustelli, nella premessa al primo prodotto della loro collaborazione, l’antologia Corporea. Il corpo nella poesia contemporanea femminile di lingua inglese (Le Voci della Luna 2009). Alle origini del libro, spiegavano ancora, c’era «l’importanza di non perdere il valore di una riflessione collettiva di grandi proporzioni scaturita dalla riscoperta del corpo in ambito femminile e femminista». […] Da allora il piccolo gruppo di autrici e traduttrici, singolarmente coeso a dispetto della dislocazione in diverse città italiane (Bologna, Firenze, Roma), ha curato una seconda raccolta, La tesa fune rossa dell’amore. Madri e figlie nella poesia femminile contemporanea di lingua inglese (La Vita Felice 2015), un tema che ritorna adesso con Matrilineare. Madri e figlie nella poesia italiana dagli anni Sessanta a oggi, e che conferma la coerente linea di ricerca delle quattro studiose. Anche qui, infatti, le curatrici potrebbero rivendicare il merito di avere colmato una lacuna, dato che la relazione “matrilineare” nella poesia italiana del secondo Novecento e di questi primi anni Duemila non è stata finora indagata in modo approfondito. E di certo la riscoperta del corpo è un filo che percorre moltissimi dei testi inclusi nell’antologia, a partire – quasi un programma – da quello che apre il volume, l’esergo affidato a Mariangela Gualtieri («ho toccato la sua natura calda e bagnata/ e ho rotto le acque di sotto nel grande/ schianto schizzavo su un tavolo di pietra»). Ma rispetto ai libri precedenti un distacco c’è, e non è da poco: per la prima volta Magazzeni, Mormile, Porster e Robustelli abbandonano il territorio vasto e variegato dell’anglofonia e compongono una selezione che, a partire dal medesimo perimetro tematico della Tesa fune rossa dell’amore, attinge a testi nati in lingua italiana, secondo un criterio di grandissima inclusività. Ne deriva, per chi vorrà leggere il libro inserendolo nel percorso delle curatrici, una pluralità di possibili confronti, dalle “variazioni generazionali” che si possono intravedere dagli anni Sessanta a oggi, alle diverse posture fra autrici di lingua madre italiana e autrici che hanno scelto l’italiano come lingua letteraria, ai differenti archetipi che segnano in questo campo la poesia di lingua inglese (dove hanno ruolo centrale le fiabe popolari) e la poesia di lingua italiana (segnata dall’influsso della religione). È una lettura ricca e nutriente, quella di Matrilineare, che senza dubbio nuove letture e scritture sarà capace di generare.

 

Dalla postfazione di Saveria Chemotti

[…] Questa raccolta ci consegna un percorso originale e intenso, singolare e plurale, scandito in sezioni tematiche in cui molte poetesse di oggi si confrontano con la propria soggettività, recuperando o ricostruendo un rapporto identitario con il materno e con la madre. Nostalgia, rimpianto, differenza e comunione, gioia e dolore, nascita e morte, parole e silenzi, scandiscono le tappe di un rispecchiamento che è voce e sguardo di una relazione in cui «c’è il primo ponte tra cose e parole, il primo accesso al simbolico che avvenne per il tramite di una relazione reale, di una
mediazione incarnata». In queste poesie, molte inedite, si testimonia come la relazione tra la madre e la figlia implichi un coinvolgimento «viscerale» anche nella scrittura, ove scuote certezze e apre nuovi e imprevisti orizzonti: in essa, tramite la nostalgia per la «lingua perduta», si configura e si delinea il problema della coesistenza tra specularità identitaria e asimmetria. Per realizzarla è necessario aprire la coppia duale madrefiglia e non chiuderla in una fusione indistinta, accettando in primis il paradosso creativo di essere, come scrive Irigaray, «né una né due», soggetti entrambe, cioè, senza sovrapposizione e senza separazione. La madre non è solo quella che mette al mondo, ma è soprattutto colei che mette nel mondo, in una relazione di reciprocità che non è disorientamento, ma dipendenza nell’indipendenza: la madre diventa, allora, il cardine fondamentale della differenza femminile proprio a partire dall’altrove in cui una figlia si colloca e si racconta all’interno di una coesistenza vivificatrice. Attingere al passato materno quindi significa anche mettere in scena se stesse dentro le proprie amnesie, le proprie incertezze, documentando quanto dell’esperienza recuperata sia legata a un «accento psichico» e quanto a dati effettivamente avvenuti nella costruzione dell’identità della donna che scrive. La presenza qui di molte poete straniere che scrivono in italiano testimonia che la lingua come insieme di segni può diventare il portato ancestrale e originale di una nascita che travalica steccati e confini e crea, perfino, intermittenze espressive. Il lessico personale di ogni scrittrice, in questa splendida silloge, diventa, allora, una specie di Thesaurus esperienziale, filosofico e politico a cui attingere per dare corpo e voce alle parole dei testi, in una forma originale di autobiografia che si dilata insieme con il contributo dell’immaginazione creativa, perché si scrive per parlare di sé in primo luogo a se stesse, per significarsi espressivamente nella forma di una consapevole riappropriazione in progress del materno come traccia sorgiva, fonte di rinnovamento, di riconoscimento e, perfino, di riconoscenza e amore filiale.

 

Da Matrilineare. Madri e figlie nella poesia italiana dagli anni Sessanta a oggi, a cura di Loredana Magazzeni, Fiorenza Mormile, Brenda Porster, Anna Maria Robustelli (La Vita Felice, 2018)

 

Dalla Parte I – Nella scia

Intimità

La figlia maggiore stamani ha parlato col diavolo
nella stanza rosa pallido rovesciata nel sole lui
le si è presentato da dentro e le ha detto con la sua
propria voce che il santissimo è l’iddio dei perdenti
mentre un patto efficace assicura la vittoria suprema
la certezza del piacere per sempre in assenza d’eterno

la minore nel suo letto sognava intanto un vampiro
e anche un mostro tricefalo ed alcuni fantasmi
che giocavano tutti a dadi sul lenzuolo di marmo
si facevano belli della loro toilette le spiegavano
dei morti viventi e d’altre semplici questioni di sesso

poggiata all’idea di se stessa la madre scuciva le balze
del suo giorno perfetto lo riempiva di asole a caso
bottoni di più dimensioni ricordava che quel giorno
aveva amato un licantropo lui l’aveva spogliata fino
al punto dove luccica ancora un rammendo d’argento

Mia Lecomte

*

Sita madre, tasi
che tutte le ossa scricchiolando parlano
sento le cento ossa sbattono sulle scale
i calcagni, i zenoci stanno scrocchiando
così tu arrivi zitta
sita madre,
tasi, tasi
spetarte (quel lento di te)
la to parte, il mondo vacuo a me, a me.
Sita.
Mi hanno rovesciata come un guanto
(io speté dedrio le tende)
ma un ardore infallibile ha scostato immagini
e mostresse.
Facendo sì che poi tutto possibile, un vento interno,
l’incantamento, il movimento
delle braccia, tese, le ale, le ale, muovesse me
ma attorno come se morisse ma svergolo e no che moro
no che moro
ti tasi,
tazza di porcellana da non rompere in bilico sulle punte
toco de vero, e biceri flute sciampagne, bacane da i
basini ai alpini
il tutto in un contesto rifinito e savuar fer.
Arrivo io scomposta e sanfasona spaco davanti alla paura
tutta la cristalleria davanti alla paura non mi ricordo
quale la paura e sa o spacà, mi, veramente?

Silvia Molesini

 

Dalla Parte II – Controvento

UNA MADRE  io l’ho avuta,
viva ardente
sempre via con la mente
inetta a vivere.
Sarà stata poi lei? Mai le ho dormito in grembo.
era un uccello
che migrava
con le ali tarpate.

Così io non ho misericordia di me stessa,
e non ho niente che mi abbracci dentro.

Anna Maria Carpi

*

Estraggo

Dalla mia vagina estraggo
donne di tutti i colori.
Sono stanca
sono esausta
notte e giorno sto a filare
madri e figlie nel contrasto
preistoria futura azione.
Tutte le volte sei morta
tra incubo e desiderio.
Voglio anti-anaffettivi!
Non saranno le tue carni
nella nostra marcescenza
a nutrire la falena
verde isterica, libera.
Esigo l’istanza “vita”
l’abilità della tela
negli spazi interstiziali
cullare
mutazioni genetiche
prevenire l’incoscienza
comprendendo la te
di me.

Valeria Bianchi Mian

*

Come imparare l’abbandono

Lei, la bambina, continuava a dirmi:
apriti, lasciati penetrare dalle cose,
abbandonati. Ecco, che ora puoi, puoi.
E così, passando da un margine all’altro della ferita,
avanzai nella selva oscura con le tasche del vestito
traboccanti di sassolini per ritrovare
sempre il ritorno verso la mia fiaba iniziale.
Nella memoria oscilla ancora tra le gambe
il vestitino a scacchi minuscoli, rossi e bianchi,
la passamaneria sugli orli delle maniche.
L’ibiscus fiammeggiava, il biancospino
aveva candidi mazzetti tremuli.
Ed ero cava, umile come una tana,
profumata come un vaso di unguenti,
per riempirmi e svuotarmi incessantemente
come un dolce animale che ha il perfetto
possesso della vita, che non è mai incompleto.
Mi affidavo ad altre mani
per attraversare il cielo come una cometa:
più in alto più in alto
– smaniavo ridendo sull’altalena –
ed ero un’allodoletta o una colomba sul tetto della casa
ed il vuoto mi faceva gioia,
aumentava la mia devozione all’abbandono.
Poi, dopo la madre-rosa, ebbi la madre-spina,
che mi consegnò alla solitudine,
i ventricoli del cuore
turbati da un fiume in piena di dolore.
Lei, la bambina, ripete che devo soltanto cadere,
lasciare, rinunciare, per amarle ancora: quella
che mi baciava il collo sotto il melo innocente,
nel giardino ombreggiato dalle montagne azzurre;
l’altra che mi intrecciava i capelli in una spiga pesante
e mi guardava silente con quei suoi occhi grigi e severi.
Sì, lo so, rispondo: scrivo per ricordare,
ricordo per non sparire, per farmi nido in bilico
sul ramo e accogliere la solitudine delle cose
salvandole dal tempo, dal suo segreto
oscuro e doloroso, quasi disumano.
Ma esiste un posto felice sopra una montagna
– è la bambina che me lo dice –
un cuore senza peso, un tempo senza mesi.
Dove tutto resta nella luce, anche di notte,
perché la luna non svanisce
e parla un linguaggio tenero, casto e senza fine.
Il cielo si apre come un fiore e abbandona alla gioia
i pianeti, le orbite, la via Lattea, le costellazioni.
Così si custodisce il Mondo,
così il Tempo è un luogo immenso,
così lo Spazio può diventare il Niente
che ruota e ritorna.
Ogni tanto la neve scende e copre le cose,
ma solo per ricordare il bianco,
solo per ripetere l’oblio e insegnarmi
come lasciare poco a poco me stessa
nel silenzio, come purificarmi.

Franca Alaimo

 

Dalla Parte III – Separazioni

Lettera
[…]
ore 15:00
Forse che un morbo scava
e da fuori la camera sembra irreale,
il dolore del corpo si appoggia all’aria,
nessuna gravitazione, nessun peso.

Forse chi ti guarda attendeva irreale –
i nomi delle pastiglie, una luce lentissima
sopra il lenzuolo smagrisce le gambe.

Forse che il tuo male fa dire
come non fossi mia madre,
come se dentro la terapia trovassi
l’altra me che fugge per diventare
un corpo ebete sulla porta,
una bugia bianca.

Forse non è il male che ti attraversa,
forse realmente è una storia sgretolata.

Mia madre dorme
e con una spugna ruvida pulisco la schiena.
Mia madre dorme
e lavata allungo gli occhi per invadere
una bugia bianca.

Maria Borio

*

ricordo che raccontavi – raccontavi:
di nonna Maria (tua madre – da me
mai conosciuta) che – da sempre
debole di bronchi – di polmoni – da giovane ragazza
fu ustionata da un polentino
applicato bollente – che la bruciò
aggricciandone la pelle delicata
sì che quando – fresca sposa del nonno – si fu spogliata
la prima notte – si mise a piangere
per la vergogna della deturpazione – e il nonno
che l’abbracciava – consolandola – addolorato ma
sollevato al pensiero di molto altro e
piangente con lei

Mariella Bettarini

 

Dalla Parte IV – Sguardi: indietro e avanti

Fototessera di Lucia Galante

sotto il vestito buono
preme l’esuberanza onesta della carne (tese
le cuciture sulle spalle)
ed è facile immaginare quel corpo
muoversi sotto il cielo vastissimo del grano di maggio,
stare nella compattezza
di un’esistenza sola
sotto il peso del cielo,
sentire il peso del cielo
e una valenza come di moltitudine che non va indagata
mamma, se dal centro del grano risale
lo stridore meccanico della tua morte
immatura come il grano di maggio
e perdonata
come si perdona un papavero
nella solitudine del grano,
come si perdona la vita
che non conosce altro che se stessa

Maria Grazia Calandrone

*

Per Pollicina

Desidero per te un abbraccio
pelle che avvolge.
Desidero per te sospiri di sangue
che portino profumi fertili.
Desidero per te una coperta di aliti
un cuscino di guancia
e che tutto questo abbia un inizio e una fine quotidiana.
Desidero per te terra
umida e calpestata
ovunque tu vada.

Candelaria Romero

 

 

L’antologia raccoglie testi di:

Accerboni Laura (Genova 1985)
Agustoni Nadia (Bergamo 1964)
Alaimo Franca (Palermo 1947)
Albertazzi Silvia (Bologna 1952)
Ali Farah Cristina (Verona 1973)
Alleva Annelisa (Roma 1956)
Anedda Antonella (Roma 1955)
Annino Cristina (Arezzo 1941)
Ballerini Paola (Firenze 1962)
Basile Maria Adelaide (Roma 1947)
Basso Dina (Scordia, Ct, 1988)
Bergamin Maddalena (Padova 1986)
Bettarini Mariella (Firenze 1942)
Biagini Elisa (Firenze 1970)
Bianchi Mian Valeria (Milano 1971)
Bologna Federica (Rimini 1995)
Borio Maria (Perugia 1985)
Calandrone Maria Grazia (Milano 1964)
Cardona Maria Clelia (Viterbo 1940)
Carnaroli Alessandra (Fano, Pu, 1979)
Carpi Anna Maria (Milano 1939)
Corsi Marcella (Milano 1950)
Dapunt Roberta (Badia, Bz, 1970)
De Gregorio Anna Elisa (Siena 1942)
De Oliveira Vera Lúcia (Cândido Mota, São Paulo, Brasile,1958)
Farabbi Anna Maria (Perugia 1959)
Ferramosca Annamaria (Tricase, Le, 1946)
Frabotta Biancamaria (Roma 1946)
Frezza Luciana (Roma 1926 – Roma 1992)
Gentili Sonia (Polla, Sa, 1970)
Gentilini Giovanna (Modena 1941)
Giovannelli Marina (Udine 1941)
Grueff Liliana (Venezia 1945)
Gualtieri Mariangela (Cesena, Fc, 1951)
Insana Jolanda (Messina 1937 – Roma 2016)
Lamarque Vivian (Tésero, Tn, 1946)
Langtry Adriana (Buenos Aires, Argentina, 1956)
Lecomte Mia (Milano 1966)
Lo Russo Rosaria (Firenze 1964)
Mancini Rosella (Monopoli, Ba, 1920 – Roma 1995)
Maraini Dacia (Fiesole, Fi, 1936)
Menicanti Daria (Piacenza 1914 – Mozzate, Co, 1995)
Minga Gentiana (Durazzo, Albania, 1971)
Molesini Silvia (Bussolengo,Vr, 1966)
Ortese Anna Maria (Roma 1914 – Rapallo 1998)
Paraskeva Helène (Atene 1949)
Passannanti Erminia (Salerno 1963)
Policastro Gilda (Salerno)
Pumhösel Barbara (Neustift bei Scheibbs, Austria, 1959)
Quarenghi Giusi (Sottochiesa, Bg, 1951)
Quintavalla Maria Pia (Parma 1952)
Racca Alessandra (Torino 1979)
Roberti Rossana (Fano, Pu, 1937)
Romagnoli Fernanda (Roma 1916 – 1986)
Romero Candelaria (San Miguel de Tucumán, Argentina, 1973)
Rovigatti Franca (Pescara 1947)
Serdakowski Barbara (Gryfino, Polonia, 1964)
Serragnoli Francesca (Bologna 1972)
Sicari Giovanna (Taranto 1954 – Roma 2003)
Spaziani Maria Luisa (Torino 1922 – Roma 2014)
Tarozzi Bianca (Bologna 1941)
Taylor Eva (Heilinggenstadt, Germania, 1956)
Tosi Lucia (Venezia 1958 – 2016)
Ulbar Mariagiorgia (Teramo 1981)
Vezzali Maria Luisa (Bologna 1964)
Zampiga Stefania, (Cesena, Fc, 1959)

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