Foto di Luca Brunone

Da Conoscenza del vento (Ladolfi editore 2011)

Traslucido, mattino: appeso alle galassie steso
è uno striscione o una cortina se non di ferro
di fumo forse a farsi fiato nel cerchio
zigrinato sul finestrino del regionale.

A tratti rivive Teutoburgo alla stazione,
spavento di uomini e irruenza dell’aria
in campo aperto, ma in pieno assedio.

Silenzio a comando del creato: solo il battere
si svela delle vene tra le sciarpe, e la febbre
(sembra calore)
fulminante
della logica del tempo del mercante.

*

Ci sta che quasi niente corrisponda
alla favola di noi che dovremmo recitare
a pieno fiato scambiandocela in dono
o reciproco anatema. Ci sta pure
a questo punto di scomodare gli spiriti
migliori – se ne abbiamo – con la preghiera
di diffonderci oltre il nostro senso stretto.

Il mondo è un manufatto insistente tra le dita,
mentre il tempo va di lima: stempera gli spigoli
e ottiene la misura auspicata, una storia al singolare.
Così si impara a stipare di niente i granai, a mulinare
i palmi alla corrente per stringere nelle mani solo vento,
un vuoto da graffiarsi tra i capelli, con le unghie.

*

Perché non sia la nebbia un infarto a mezz’aria delle cose,
che tutto già pesa da sgocciolare fino a terra.
Non sia spazio, spazio ancora, superflua distanza
cosparsa tra i viventi. Non sbandiamo, teniamoci d’occhio.

Non c’è luce che non passi dal fondo del tunnel
prima di investire la pupilla all’altro capo
col respiro che si allarga rinnovandoci la pelle.

Viene l’ora di portare le ossa a crepitare contro il fuoco;
quando il sole scende al primo piano e la casa
è una meraviglia di arancione per la retina
vorremmo liberarci dai contorni nella stretta,
lasciare lo zaino a terra e correre alle braccia che consolino
queste spalle troppo forti ancora da non servire a niente.

*

Da Il cane di Tokyo (Giulio Perrone editore 2015)

Rimane un’impronta di corda sulle mani
mentre il sale rende la pelle tutta una scintilla
i denti si pareggiano e la forza spinge come
un fulmine giù per la gola.
L’occhio è inchiodato
al crinale e salire sul serio è un darsela
a gambe fino a un punto alto da sfuggire
a un patto, uno qualsiasi che copra la vista
come al cinema il testone del posto davanti.

Qua sopra a distanza d’aria non ti prenderanno mai.

È fuga solo se ti lasciano ma se tu per primo alzi
la polvere significa salvarsi e udire lo scatto
secco di un congegno tra gli stecchi e poi rientrare
splendido non via terra ma come nuotando
in una brezza e far torcere i colli, che spettacolo

sarebbe.

*

Gran Torino

Pelle e vernice e la storia del loro amore
di domenica mattina, un fiato appena d’aria
si infila e riflette sulla scocca il torace.

Un doppio opaco come perso in una nebbia.

Si fatica ad essere fieri quando esce il peggio
a Okinawa, in Corea o a MyLai nel Vietnam,
poi gli anni ingranano la quinta e sei ancora
un uomo, la sua casa, un vecchio ferro per difenderla
ed uno per correre nel sole e fermarsi all’imbrunire
fino all’ultimo bicchiere all’ora di chiusura.

Vivere da reduce è aspettare sotto il portico la sera
preservando questo francobollo di avamposto:
la rimessa, un giro di grondaia, sul confine la bandiera.

*


Ripensando a Heaney

Se te la senti – e fìdati, si sente –
la carta avvolta stretta sopra i muscoli
guastarti ogni guizzo quando sbatti
contro il sabato e sfarsi poi in minuscoli

sforzi gli inutili ampere in accumulo,
prendi il volante e guida a capofitto
dove ogni curva alla via cambia il nome
e sali dove il cielo è un manoscritto

per il falco e i rami dopo il pioppo
del castagno e da sponda fa il crinale
allo scrivibile che si nasconde
fino giù all’orizzonte tuo mentale.

Da lì si vede proprio bene Modena
appena effondere dal suo respiro:
ne indovini le piazze nei collassi
in superficie e l’idea del raggiro

che fanno i fiumi a stringere e riaprire
la scheggia di pianura detta Emilia.
Scendi poi verso sera dolcemente
in folle: c’è un torpore che assomiglia

al cauto soverchiarti di un custode,
spicchio di sole in tasca, e c’è una lotta
con le ortiche fra i piedi pronti al salto
come le dita nell’acqua se scotta.

Marco Bini è nato nel 1984 e vive a Vignola (MO). Suoi testi sono apparsi nelle antologie La generazione entrante (Ladolfi 2011) e Post ‘900 (Ladolfi 2015) e in diverse riviste cartacee e online. Nel 2011 è uscito il suo primo volume di poesie Conoscenza del vento (Ladolfi) e nel 2015 la sua seconda raccolta, Il cane di Tokyo (Giulio Perrone). È redattore della rivista «Atelier», e collaboratore anche della versione online per la quale traduce poeti di lingua inglese.

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