Vito Santoliquido è un giovane poeta che per stile eccelle dall’amalgama di nuove voci. Già presentato più volte su Poetarum Silva da Fabio Michieli e Anna Maria Curci, fa parte di una antologia assieme ad altri due poeti del Mezzogiorno.
D’elezione squisitamente letteraria, frutto di una cesellatura instancabile, i suoi componimenti dimostrano di affondare le loro radici su tre suoli diversi che vengono continuamente mescolati: quello romantico, come rivelato da Anna Maria Curci, quello barocco-surreale sul lato meramente stilistico e infine quell’immaginario medievale ruotante attorno all’amore cortese, rilevato da Michieli, che apre lo stile a congiunzioni con l’ermetismo.
Lontano dall’essere, però, una operazione meramente archeologica la poesia di Santoliquido si dimostra depositaria anche delle esperienze di alcuni pesi massimi del Novecento che primariamente tendono a segnarne la lingua.
L’autore dimostra di prediligere un linguaggio prettamente visivo, talvolta plastico, coniugato a uno di caratura montaliana da cui vengono riprese specialmente coppie di colori agglutinati in un unico aggettivo.
L’Esprit coloristico è imperante nella poesia del Nostro il quale si richiama così anche a un grande poeta del Mezzogiorno: Lucio Piccolo, referente cronologicamente più vicino per la compagine barocca.
Il secondo Novecento compendia il variegato immaginario poetico di Santoliquido con inserti linguistici del Raboni più alto e certi echi erotici della Valduga però debitamente edulcorati. Infatti i topoi figurativi che ricorrono nelle poesie dell’autore di matrice cortese vanno a unirsi spesso alla dimensione corporea che sfocia talvolta in un masochismo grottesco.
Tuttavia la parola viene vista più come un laboratorio. Questo approccio permette a Santoliquido di agire direttamente sul corpo del lessema e di attuare una commistione che rende il suo linguaggio vicino ad essere esperienza espressionistica.
Oltre alle dislocazioni verbali, interessante elemento stilistico è anche l’uso del trattino, il quale permette alle poesie repentini scarti figurativi, innestati poi sul corpo dell’immagine precedente occupando lo spazio sintattico di un inciso. Questa continua concatenazione, cui vede la subordinazione come struttura principale, oltre a essere l’espediente barocco più utilizzato, un classico esempio di inzeppamento di immagini come direbbe Tesauro, fa sì che una figura ne generi un’altra proprio nel momento in cui il respiro sintattico della prima va esaurendosi.
A complemento di questo è necessario aggiungere una nota riguardo la varia lunghezza del metro che, variando da passaggi distesi ma di ritmo preciso, ad alcuni più contratti, alterna non solo un esprit descrittivo a uno melico, ma anche una progressione accentuativa estremamente differente.
Ogni verso è sovente delineato nel suo respiro ritmico dalla punteggiatura, che evidenzia bene pause e cesure, segmentando il verso nelle sue componenti le quali permettono anche al lettore dall’orecchio carente di coglierne l’evoluzione. Prendiamo ad esempio il primo verso del distico iniziale nel poema Dwell, che incolonnerò per facilitare l’analisi.
come cervi negli abissi allora stiamo
come in un crepuscolo/,/ tra le alghe il muschio
Approcciandosi ai versi di Santoliquido conviene, piuttosto che razionalizzarli nelle formule tradizionali, soffermarsi sulla progressione accentuativa e notare come anche essa, attraverso varie soluzione metriche, ricerchi una disarticolazione di fondo che riproduce gli scatti repentini e nervosi notati in precedenza.
In questo caso registriamo, nel primo, una dominante trocaica con enfasi iniziale di 1° e 5° e una lieve acciaccatura ottenuta mediante le sinalefi. Il secondo, riprendendo nel primo emistichio sempre la 1° e la 5° , rende anomalo il verso con la cesura dopo la 7° fortemente asimmetrica per posizione, ma anche a causa dello sdrucciolo stesso, il quale impone un salto notevole, non trovando appoggio sulla 8°, per riprendere l’inusuale 9° e 11° sede con le relative sinalefi.
infine abbiamo il verso successivo.
così sommersi – o dentro a un guscio-galassia (però piccino) gherigli opachi
notiamo un cambiamento importante di ritmo con prevalenza giambica per progressione in 2° e 4° 10° . Incipit giambico e trocaico, quindi, si configurano come gli andamenti che vanno alternandosi lungo il poema, creando questo slittamento tra 1° e 2° sede al fine di ottenere una maggiore distensione ritmica nella seconda tipologia.
in ultimo è necessario sottolineare come il testo non rifugga certi colloquialismi e sappia ben contestualizzare l’intercalare della lingua parlata, che ha l’effetto di drammatizzare le liriche, dando vita così a uno stile polivalente il quale cerca di ammorbidire la severità di certe soluzioni linguistiche e letterarie.
Il tema imperante in questi componimenti è sicuramente quello amoroso. Interessante come nella poetica di Santoliquido l’amore funga da principio di astrazione proiettando così la coppia in un immaginario poetico personale quanto astratto: il prodotto dell’unione di diverse tradizioni.
mi fai cantare una canzonetta
scordata, per cancellare il mondo
(noi le sole spoglie, noi l’unica cosa che conta
Questo immaginario viene definito dimesso e racchiuso in scrigni segreti. Tuttavia non credo sia sintomo di una postura crepuscolare, ma semplicemente la presa di coscienza che, quel mondo di monili letterari, il quale informa profondamente le strutture dell’io, non trovino posto nella società capitalistica nella quale il discorso letterario è stato marginalizzato e sostituito da un immaginario seriale. È per questo che il dialogo con l’amante è sempre inscritto in una dimensione altra. Questo non per leggerezza intellettuale, ma per elezione letteraria. Santoliquido dimostra di saper rinnovare così la visione negativa del sogno medievale, esperienza prettamente diabolica e viziosa, eleggendola a dimensione prettamente letteraria comunque in contrapposizione con una realtà estranea. Non è dunque il luogo dove un’impossibilità biografica trova realizzazione: ciò che trova nuova vita nel sogno è un’impossibilità culturale in contrapposizione con la realtà.
In questi inediti l’autore dimostra di aver compreso come l’esperienza letteraria avendo perso la sua epocale presa sulla coscienza e l’immaginazione comune, non sia che un’alterità, opposta al panorama capitalistico, chiusa nell’esperienza del singolo il quale lo rievoca nella solitudine dell’io offrendolo come altare.
Psykhē
(il bosco in fiamme) come brucia il sangue, colloso fumo
resina
incendïati angeli neri
stamattina un fuoco
ci ha spellati
via dal sonno e tu «da tempo» hai detto
«volevamo morire, incarbonendoci
combusti»
Stanze VI
E noi, quasi indisturbate
sideree Divinità la
pelle assiderata i capelli
di vento remoti siamo
dalle cose.
Cantilene profane
VI
Sei bello come il mare: la pelle chiara, basso
il tono, il volto
tondo, serpentini i capelli;
non voglio altro che mordere la tua psiche,
lentamente cibarmi delle tue polisemie,
anima complessa.
VII
Nudo, di sola pelle – e cambio pelle anch’io –
abbandoni l’asilo del piacere;
rivolgendoti sorridi, e presento la rovina della mia saggezza.
Sto fermo, m’incanto,
farfuglio cantilene imbalsamo
nel cervello la forma delle tue forme,
mentre tu simuli la fuga (sventura futura…).
S’insettembra un poco il candore
sul mio viso
al tramonto dei tuoi glutei
– alla porta poi avverto un odore domestico
di caffè: ti bacio
mi fai cantare una canzonetta
scordata, per cancellare il mondo
(noi le sole spoglie, noi l’unica cosa che conta
te ed io, io e te, mio amore).
Dwell
(«come… un sogno», magnolia)
come cervi negli abissi allora stiamo, come in un crepuscolo, tra le alghe il muschio
così, sommersi – o dentro a un guscio-galassia (però piccino) gherigli opachi
(pulsano i globuli, ci contagiano
certe malattie
innominabili, chiocciole d’oro crepando
le nostre iridi di lupi) – e qui le vedi le
vertebre aguzze le vene oltre la
carne (che se tu guardi
è trasparente liquida quasi) – oppure è un’aurora
(un po’ liberty così, ecco, barbaglio sangue-
rame «frastaglio di palma»
che si brucia), ma siamo come
stelle se tu ti stringi e ti
stropicci (adagio) e brilli e splendi vicino a me, senza sosta vedi
così, qui ora – nell’occhio nel pozzo selvaggio e nero
tutto – demone nero-latte – («In the gloom the gold…»), e tu così scintilli
tutto e ti incendi ecco divora mio
(«…gathers the light about it»), mercurio cuore argento, mio stupendo mio feticcio onirico e glitterato
come tu dormi adesso, come davvero
riposiamo – nel buio
questo, che è come un lago di falene di cenere
un bosco, come un altare o come…
Carbonizzare come bronco
Queste stelle che brucano il viola e la luna
frugano nella stanza. Sbucano masse illuminate: i nostri corpi
foglie ardenti imperlate, tra bocche questo
appiccicarsi tremolii di ti-amo – fari d’auto, occhi
lucenti di civetta.
Ma questo senso del disastro è sempre spettro è
il morso – lingue di lupo, rose spine del
rovo. Quest’affetto mai così vicino, questo me così da uccidere
fare a pezzi, carbonizzare come
bronco.
Dal grimorio: nigredo
bende oscure ponetemi sugli occhi
che mai più io veda del mio giglio
di cera il mondo vedovo alambicchi
monili carcame scintillante rame.. †
Vito Santoliquido è originario di Forenza (PZ), dove tuttora vive la sua famiglia; è nato nel 1989. Si è laureato in Filologia moderna presso l’ateneo Ca’ Foscari
di Venezia: area d’elezione le letterature medievali romanze. Attualmente è dottorando in Italianistica e Romanistica presso le università di Venezia e Zurigo.
Suoi inediti sono apparsi su “Poetarum Silva” (letture di Fabio Michieli e Anna Maria Curci), La Sepoltura della Letteratura (nota di Mattia Lo Presti) e Farapoesia/ Kerberos. Cura un blog personale,guidato dall’idea di associare liriche e immagini:lesommeilinterrompu.wordpress.com.

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