E’ la mente che parla la natura, la riscrive come eco-grafia, la traduce nel respiro della lingua. Tutto è nello sguardo riflesso -specchio lacustre o mente paesaggio- di pozzi e d’acquitrini, tutto è immobile ma vivo, già mutato nel riflesso, per  vortici  ed ellissi.
La natura indifferente di Testa è uno sguardo laterale, un margine oculare, una forzatura di luce scura, volatile. E’ il reale -stantio, umido, batterico-  a manifestarsi per emersione dai fondali di barena, dove ciò che riemerge comunque resta in ombra, come i pochi animali assenti, assediati dalle ombre lunari di una laguna viva e materica.
Innervato nel corpo naturale il lascito umano della tecnica -delle vie periferiche, degli attraversamenti, i luoghi tra e non più dove- l’orma umana che resta trafitta, di altare meccanico e palafitta, metallo disperso, riassemblato, inghiottito dal fogliame; o che si innerva nel liquido ribollente, impermanente come l’ombra intravista, la fuga impossibile, la tragedia annunciata dell’amore («questo e altro non sai/e ti consegni al fuoco/mentre inizi a essere/come non sei mai stata.»)
Tutto appare fermo, instabile, come in un passaggio d’ere, nel trapassare di forme nel  colore -aspro dei fiori- nell’odore: «il mattino è acqua che fermenta, / l’anima minerale già sepolta» come mosto d’uva, vino scuro che immobile al fondo in alto ribolle .
Al nostro dire è dato fare parte -dell’in-differente- sguardo sonoro che si posa sul cosmo, indifendibile, non più agito né agitato -stesso per tutti eppure privato- della natura dei luoghi a margine, di bordi scritti e di scarpate, prassi minerale degli uomini.
Questi ultimi poi presenti solo come fantasmi, a nugoli e branchi vaganti, quasi reincarnati,  amorfi  si muovono verso l’abbandono («ho provato a chiamarli: non guardano/in nessuna direzione,  s’inoltrano/sulla pianura estesa nel chiarore») vanno e vengono, di tane in tane, come sentinelle di una guerra finita da oltre un secolo (qui chiari i richiami alle opere pubblicate in precedenza, da I camminatori a Tutto accade ovunque, o forse anticipazioni, si legge infatti nelle note che i testi contenuti in quest’ultimo libro sono stati scritti tra il 2003 e il 2010, con successive revisioni e aggiunte).

Tralasciando Leopardi e le Operette, così centrali e rintracciabili in questo lavoro di Testa, maturi e assimilati appaiono Montale, il verso calmo ma perennemente in bilico di Sereni, la tensione verso l’ibrido Volponiano, il rapporto erotico con la natura di Bonnefoy: queste le vie trascorse al primo sguardo, gli spiriti acquatici sommersi o i riflessi nelle acque torbide e aurorali che  «alla lingua dei morti / prepari il sentiero».

 

da L’indifferenza naturale (Marcos y Marcos, 2018) di Italo Testa.

 

lo sguardo è lenta costruzione
brivida e traluce dai rami,
la lamina tenera del cuore
riveste il pensiero e l’azione.
il giorno è muta esposizione
alle intemperie e alla luce,
la mente rumina le cose
le afferma nella sottrazione.

 

minerale

il mattino è acqua che fermenta,
l’anima minerale già sepolta
sotto il telo grezzo della melma
brano a brano si sfalda;

l’occhio umido si apposta
sotto il ventre piatto di una barca,
il sonno l’avvolge come un’alga
untuosa e marcia;

fa paura vedere quanto è bianca
la barena e su tutto un gelo
spalmato sulle stoppie come biacca
su un fondo seppia;

il mattino è luce che s’imbianca
raccolta nelle falde della nebbia,
in un lago di brina il cuore annega
avvolto nella sabbia.

 

pastura

folaghe e acqua, medaglie nel cielo,
lo stagno si oscura se chiudo gli occhi:

imbiancate dalla lana dei pioppi
le auto ondeggiano nella luce chiara:

la vita che ignota fermenta dai fossi
in un’onda di calore svapora:

gettato come pastura ai pesci
il sonno ci avvolge e impasta la bocca:

muti boccheggiamo alla rinfusa
come anguille nel fitto di una chiusa.

***

perché sono arrivati e ci chiamano
dalle cascine sparse nella neve
e nel dicembre luminoso affondano
dietro le quinte mobili del giorno;
ho provato a fermarli: non ascoltano,
camminano sugli argini, proseguono
stringendo le spalle contro il vento
si piegano in avanti, a passi lenti
raggiungono il cofano innevato,
l’auto lasciata in mezzo al campo;
ho provato a chiamarli: non guardano
in nessuna direzione, s’inoltrano
sulla pianura estesa nel chiarore
da cui sono arrivati infine tornano.

 

i cardi

perché la luce non sia incerta
questa che ondeggia ai nostri piedi
e il mondo che gira e trema tra i cardi
si fermi un istante e possa portarci;

hai visto amore, distesi sull’erba,
due che non siamo, o siamo già stati?
su un dorso di terra prendono aria,
chiamano l’acqua, che possa bagnarli.

***

Italo Testa (Castell’Arquato, 1972) vive a Milano. È cresciuto nella provincia emiliana, ha passato molti anni a Venezia e fatto studi nomadi tra Francoforte, Berlino, Parigi e Marsiglia.
Tra i suoi libri di poesia: Tutto accade ovunque (Aragno, 2016), i camminatori (premio Ciampi – Valigie Rosse, 2013), La divisione della gioia (Transeuropa, 2010), Luce d’ailanto (in Poesia contemporanea. Decimo quaderno italiano, Marcos y Marcos, 2010), canti ostili (LietoColle, 2007), Biometrie (Manni, 2005), Gli aspri inganni (LietoColle, 2004).  Dirige la rivita  «L’Ulisse», è resident DJ su «Le parole e le cose» e collabora con altri lit-blog. Saggista e traduttore, insegna filosofia teoretica all’Università di Parma.

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