Dalla Prefazione di Vanni Santoni
“L’apertura della prima poesia, e quindi del libro, (…) ci porta subito nel più puro immaginario matteoniano, che è quello che sgorga dalla ragazzina la quale, già ricolma di suggestioni silvestri, incamerate ma ancora non digerite e sublimate, leggeva magari i Books of magic di Gaiman durante un soggiorno a Londra, fondendo ciò che già sotto sotto sapeva della realtà con le suggestioni elaborate dal popolo che, più di ogni altro (e con buona pace di altri popoli non meno magici ma dagl’inglesi inesorabilmente sottomessi o colonizzati), ha saputo stabilire nelle proprie lettere un rapporto con la dimensione magica del mondo, al punto di saperla integrare anche col resto – con l’arrivo della rivoluzione industriale, con la campagna ormai antropizzata, coi tetti delle città. Tetti che riescono, così, a non escludere, con la loro esistenza, la possibilità di un emergere, sulla terra, di orecchie di coniglio, o di lepre, a perdita d’occhio.”
1.
Camminavo al mattino sullo strapiombo
ogni tanto guardavo indietro –
le cose più belle erano i tetti
appuntiti come le fiabe, vicini
come il mantello di una creatura strana,
addormentati –
sotto le tegole correvano i ghiri.
Camminare porta sempre da qualche parte
per esempio all’invisibile
dove è nebbia e canneti
dove è fumo e pianeti
dove non sai finché non tocchi
un sasso scheggiato, un vetro
di lanterna rotta.
Dove le case abitano persone, ma le persone
turbinano nel loro passato come la neve
e poi non c’è più nessuno.
Si trova dell’acqua ghiacciata
con delle ali dentro.
Alberi che sono ramoscelli di saggina.
Acquitrino dove l’inverno lava i suoi ossi,
le sue bacche brune, le bocche
dei suoi animali senza piume.
È tutto un segreto il silenzio
per non perdere il senno. O il sogno.
Alcuni degli altri mi videro
risalire per una scogliera
ripida sul mare, ma il mare
era lontano
come il rimpianto, la veglia, l’umano.
Indossavo gli scarponcini dei viaggi
nella tasca la mappa di quando ero bambino.
Restavo sul lato senza sole della montagna –
il muschio scopriva le rocce
scuciva le nuvole nel pensiero.
Scendevo per un sentiero.
2.
Pozzo
Sulla terra, orecchie di coniglio.
Dritte, chiare.
Nelle orecchie di coniglio un suono
metallico scardina travi
verso una luce sul fondo.
La luna si appende a un ferro
che sporge nel pozzo.
Dentro la luna il coniglio
che corre senza terrore.
Dentro il terrore la lingua.
Sotto la lingua il paesaggio
si srotola nell’alfabeto.
Cresce una treccia di sillabe
alla finestra antica.
Poiché nulla resiste là fuori,
una teca d’oceano o di vento –
poiché il tempo è una fossa in salita
la bambina-coniglio è fuggita.
Un tanfo di fegato e d’ossa
raschiate da piccole dita.
3.
La trasmutazione degli alberi
Ero la casa grigia, l’antenato, l’Appennino.
Castagno chino alle stagioni
pelle primitiva, corteccia, spina
che penetra e resiste nelle guerre.
Ero la te bambina, dietro il campo dei morti.
La foglia sulla testa o nel paniere –
secolare e lenta la mia tribù parlava
sollevava le radici quasi a cingerti, solitaria.
Un giorno mi sono incamminato –
era il tempo dell’albero sognato
quando l’albero dettava le mappe agli animali.
Sono sceso a valle, perché vivere
è trasmutare, trovare l’altro
sull’argine del fiume. Difendere.
Il mio tronco dall’acqua fluisce
scurisce di rami e di schiume.
Dentro me hanno piume la pietra
o l’onda nero-argento della trota.
Non temere se il posto è sconosciuto
come ogni cosa viva torna bosco.
Le prede. Le ceneri. Le strade. E tu.
Sanguina dalla corteccia, seccati
nel terreno, applica
sulle ferite un estratto d’ontano.
Quando gli occhi si stregano impara
a sapere la riva con la mano.
Francesca Matteoni (Pistoia, 1975) ha pubblicato libri di poesia, fra cui Artico (Crocetti 2005), Tam Lin e altre poesie (Transeuropa 2010), Appunti dal parco (Vydia 2012); Nel sonno. Una caduta, un processo, un viaggio per mare (Zona 2014); Acquabuia (Aragno 2014). Nel 2019 è stato pubblicato Libro di Hor (Vydia) con i disegni di Ginevra Ballati.