In questa raccolta di versi, Il lettore di impronte digitali (a cura di Marina Ciccarini, Donzelli 2017) della poetessa polacca Ewa Lipska (Cracovia 1945), emerge sin da subito un tratto comune ad altre notissime voci che provengono della stessa terra, in particolare quella vena ironica e sentenziosa che caratterizza anche la poesia del Premio Nobel Wisława Szymborska, con cui l’autrice ebbe un lungo rapporto d’amicizia.

Il lettore di impronte digitali sembra quasi il titolo di un romanzo, forse di un noir, dove il mistero principale su cui indagare è la vita stessa. Il racconto di momenti di vita viene incastonato nello svolgersi del tempo e nella rappresentazione del mondo, che non è mai regolare, lineare, né facilmente comprensibile. Il testo che apre il libro s’intitola, infatti, Rebus e preannuncia in qualche modo la cifra e l’atmosfera che si delinea nelle pagine successive; così scrive Ewa Lipska nella quartina conclusiva:

Il mondo
in cui vivevamo
si chiama Rebus
e se ne infischiava delle nostre domande.

Il mondo che ci troviamo ad abitare è una realtà complessa da capire, enigmatica da leggere o decifrare; non ha senso arrovellarsi nella ricerca… unica consolazione è l’ironia. Ad accompagnare questo ridicolo banchetto c’è un rumore costante, «un chiasso pulsante di vita» che porta con sé tutte le sue ambivalenze, perché se il ‘chiasso’ è elemento negativo e faticoso da accogliere e sostenere, la vita è necessaria.
Questa realtà enigmatica, turbata dal rumore costante, si dispiega tra passato e futuro, senza offrire nulla di consolatorio che possa illuminare il presente. E così, emerge con prepotenza il dato ‘disumano’ della contemporaneità: il disgregarsi del rapporto fisico, il frantumarsi della natura e della bellezza, la solitudine, l’avanzare della rassegnazione, la perdita di senso della storia e la perdita della memoria. Sono i mali del nostro tempo e «non andrà diversamente/ l’emorragia del mare/ come sempre/ finirà con un diluvio». Il progresso, che l’uomo, da quando è homo sapiens, incessantemente ricerca con lo sviluppo tecnologico, porta con sé un processo di allontanamento e distaccamento dall’essere umani. Così i contesti negativi che tracciano la nostra quotidianità sono costellati da oggetti tecnologici: «La solitudine non ha corpo./ Neppure quando ci abbraccia (…) Volteggia sopra di noi/ come un aereo da ricognizione».
Davanti ai nostri occhi, o dentro ai nostri pensieri, nei ricordi, si disgrega ogni cosa dal momento che è «finita la stagione della vita». Non c’è consolazione, luce, calore, abbraccio; il messaggio è chiaro, a partire dal titolo: non ci sono persone, sentimenti, affetti, ma impronte digitali. Qualcosa che ci appartiene in modo molto intimo e individuale, un codice identitario assolutamente privato e unico, che allo stesso modo ci spersonalizza: un marchio esclusivo che individua il soggetto, ma di lui non dice nulla.
Leggendo Ewa Lipska non si può non pensare a Leopardi e al suo pessimismo cosmico, in una scrittura scevra di sentimentalismo, ma tagliente e affilata nel saper incidere su carta il suo messaggio affidato alla poesia. Le atmosfere sono cupe e fredde, raccontano ad ogni verso il vuoto e il dissolversi di umanità, con qualche venatura di ironia, a tratti condita da cinismo che produce nel lettore un forte senso di spaesamento. Ma proprio nello spaesamento, nel cortocircuito tra la parola e il dato di concretezza che si staglia in ogni componimento, affiora la forza di una scrittura capace di essere ancora, con prepotenza, complice della creazione di questo mondo.

Dalla nota della curatrice Marina Ciccarini: «Il lettore di impronte digitali, rispettando la sua funzione, ci restituisce un’immagine nitida della mappa delle minuzie che compongono la nostra identità e trasporta chi legge in una realtà parallela in cui interagire usando i soli dispositivi della parola poetica e dell’immaginazione, potenti strumenti del nostro mondo, unico e irrefrenabile».

 

Qualche parola sull’etica

Le luci dell’etica ci abbagliano
con intere notti di secoli.
I vecchi autisti riconoscono quel bagliore
di riflessioni teorie decaloghi giudizi.

Sopra di noi neon di uccelli
che sfrecciano a dispetto della logica.
Prati di mani alzate.
Odore di apocalisse e felicità.
Sulla riva un gruppo di persone
si sforza di vendere il mare
al fuoco. Un mercato senza cuore.

Crollano le azioni di banche
profeti e creditori
che hanno investito
nell’allevamento del mondo.

Nel telefono della conchiglia marina
un fruscio elettronico.

 

*

 

L’abisso
Le visite dei morti
capitano sempre
in momenti inopportuni.

Mentre stiamo per andare al cinema.
In discoteca. Al supermercato.

E loro ci portano frammenti
di muri. Pezzi di lamiera.
Fili di ferro avvolti nel dolore.
E dicono imbarazzati
Eppure la morte è la vita stessa…
Che farci.
Ci spogliamo.
Ci facciamo un caffè.
Tiriamo fuori una bottiglia di bourbon
e ci guardiamo
dritti
nell’abisso.

 

*

 

Il mondo
A volte sei bello. Un vestito cosmico.
Un guardaroba celestiale di paesaggi.
Del tuo corpo si occupano gli eruditi.
Gli studiosi degli elementi.

Qualcuno prevede sempre la tua fine.
Non hai parenti stretti. A chi
lascerai tutto questo? Pianeti ficcanaso
forse ne avrebbero voglia.
Sei eterno? L’odore
della stagione morta lo nega.
La menzogna a volte ha ragione.
Ce la farò senza di te.
In fondo non mi hai promesso nulla.
Non so nemmeno
se è la storia che ha creato noi
o se noi abbiamo creato la storia.
Se siamo solo l’eco
di un cuore altrui.

 

Ewa Lipska nasce a Cracovia nel 1945. Il suo primo volume intitolato «Wiersze», Poesie, esce nel 1967, è autrice di oltre trenta volumi di poesia. E’ stata consigliere dell’ambasciata Polacca a Vienna. Di Ewa Lipska sono stati tradotti in italiano il volume di poesie in prosa «Droga pani Schubert…» (Cara signora Schubert…, Wydaw- nictwo Literackie, Kraków 2012) e quello di prose poetiche «Miłość, droga pani Schubert…» (L’amore, cara signora Schubert…, Wydaw- nictwo a5, Kraków 2013), pubblicati entrambi in edizione bilingue con il titolo L’occhio incrinato del tempo (Armando, Roma 2013). Esce per Donzelli nel 2017, a cura di Marina Ciccarini, Il lettore di impronte digitali.

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