Cara Giovanna Cristina,

innanzitutto ti ringrazio perché la tua opera e caso letterario mi danno la possibilità di intervenire* costruttivamente in un dibattito sui diritti civili e sui diritti d’autore. Ad agosto stavo pensando di scrivere un articolo sui libri d’esordio di quest’anno, tra cui anche il tuo Dolore minimo (Interlinea 2018). Poesia del nostro tempo stava per pubblicare le tue poesie (16 agosto), quando in redazione mi avvisarono che erano già stati pubblicati due libri, Primo vespere (Montag 2014) e Sul far della sera (Eretica 2015), con il nome di Giovanni Vivinetto.
Avevo appena finito di leggere l’articolo di Simone Burratti che, assieme al post di Mario De Santis, sono ad oggi le critiche più oneste non solo al tuo lavoro, ma aprono un dibattito sulla targetizzazione dei libri di poesia (per generi, temi, età, gruppi sociali) e sullo scadimento della funzione poetica del linguaggio, che notiamo da qualche anno farsi largo assieme al conformismo indotto dai social e dai media contemporanei, che operano come motori di aggregazione tra domanda e offerta di prodotti, appiattendo la poesia se va bene su un dialogismo che dire standardizzato non rende l’idea delle situazioni banali a cui rimanda.
Probabilmente può non piacere quello che sto cercando di spiegare, ma credo sia interessante per i lettori, perché siamo coinvolti tutti nel dialogo dell’industria culturale, questo motore di like e desideri, reinterpretando Edgar Morin, che trova nei social informazioni per profilare attitudini e bisogni di potenziali acquirenti; le opere di facile lettura per un mercato targettizzato le vediamo uscire sempre più spesso, anche per case editrici e marchi come Mondadori, Rizzoli, Bompiani e Feltrinelli, pure come e-book. Con la comparsa dei social, la targetizzazione si può associare all’identità che si sa vendere, che diventa un’identità auto-promozionale, ed è capitato che per attirare le attenzioni si generino polemiche.
Questa lettera dunque parla della mia verità, che cerca di interpretare la tua vicenda recente come poeta, non immune dalla pratica giornaliera di comunicatrice di una identità, con un libro in promozione. Ci sono inoltre argomenti nuovi da affrontare, posti dal tuo caso, aspetti legati alle questioni autoriali e di copyright, dopo le procedure di rettifica di attribuzione di sesso.
Ti parlo di come ti vedo, ospitando una riflessione su cosa avrei fatto io, su cosa penso io di diritti civili e d’autore, senza la pretesa però di importi un fare, ma per dare vita a un dibattito costruttivo. Dall’altra parte ci sei tu, una persona nata più di venti anni fa, che si è sentita diversa, che ha una storia che affonda, come molti di noi credo, nel dolore, e che si è ritrovata a scrivere poesia.

Alcuni mesi fa avevo letto alcune delle polemiche riportate sulla tua bacheca Facebook, sulla questione della transessualità. A questo proposito, ricordo le parole di Osho, che non si scandalizzava di pensare che in un futuro un uomo potesse fare l’esperienza di diventare donna e una donna, uomo. Non mi scandalizza la transessualità, e trovo che polemiche fondate su questo siano assurde, ma vanno lo stesso affrontate all’interno di un dibattito… La questione della transessualità pone degli interrogativi sul tema del corpo umano, e c’è un dibattito su cosa possiamo fare al nostro corpo dai vaccini agli interventi estetici, o al cambio di sesso, all’eutanasia, alle terapie genetiche e virali: a mio giudizio il liberalismo su questi temi è l’approccio che prediligo, pur essendo un’arma a doppio taglio.
Infatti l’etica dovrebbe insegnarci a criticare l’opinione degli altri senza demonizzarla, pur se sbagliata dal nostro punto di vista che percepiamo come più evoluto, ma in un dibattito che cerca di muovere la sensibilità è fondamentale la tolleranza, in presenza di enti che la pensano diversamente. Ho la fiducia che la società possa evolvere grazie a questi dibattiti sui diritti, se almeno una delle posizioni rimane aperta nell’argomentare. Il muro contro muro non serve a nessuno.
Per questo non mi sono piaciute molte delle reazioni sui social, in merito al tuo caso, e anche alcune risposte, lo ammetto – non sono nel tuo corpo e non ero al tuo posto, mi dirai, e probabilmente avrei reagito male anch’io a diversi attacchi, ma prova ad ascoltare questa opinione -, ad esempio quando qualcuno accusava di sfruttare il tema per un vantaggio commerciale, di visibilità: in quell’occasione, avrei risposto diversamente, avrei risposto che sì, il tema era da utilizzare, fino in fondo, coerentemente all’esperienza personale, cioè la transizione affrontata, per combattere un ingiusto stigma sociale,per avere impatto politico, e perché no, per la stessa visibilità, come riscatto, e per vendere, per avere un giusto profitto personale. Insomma avrei sterilizzato tutte le polemiche dei social, facendo ricadere su di me tutta la simbologia del caso, con distacco. Rispondere con la forza della propria esperienza e in modo garbato è sempre meglio che reagire sulla base dei presupposti degli altri.
Tuttavia mi rendo conto dello stress provocato dagli insulti alla tua persona e ti assicuro che mi dispiace per gli attacchi che hai ricevuto e che trovo ingiusti. Purtroppo altre querelle sono arrivate al parossismo sulla tua pagina Facebook, non distinguendo le critiche oneste, dirette al fare poesia, da generiche stupidità. Cerco dunque di separare gli attacchi dalle questioni critiche, nella speranza si possa dar vita a un dibattito onesto sulla società italiana e sui diritti civili. Tengo a dirti, anche per sostenerti in questa battaglia di civiltà, che la nostra società è più aperta di quello che si pensa, e non aderisce alle posizioni dell’Associazione ProVita.

Mi riferisco all’intervista concessa a Repubblica e pubblicata il 5 giugno.
Innanzitutto non si capisce perché dare importanza all’Associazione ProVita, e non alle molte persone che ti hanno accettato e voluto bene, che si sono interessate alla tua opera, tra cui anch’io, pur con delle riserve che riporto al termine di questa lettera. Te lo sottolineo perché le parole sul vuoto a cui il tuo libro rimanderebbe, secondo ProVita, non mi rappresentano (ci mancherebbe) e non rappresentano l’intera società italiana: “pensavo che la società fosse aperta ad ascoltare le mie parole” affermi, e secondo me lo è, è aperta, perché sui temi dei diritti civili questa società ha fatto molti passi, e ne farà certamente altri, se pensi che negli anni Settanta le donne davano battaglia per poter avere nei supermercati gli assorbenti.

Mi vendo

Faccio in fretta un altro inventario
Smonto la baracca e via
Cambio zona, itinerario
Il mio indirizzo è la follia

C’è un infelice, ovunque vai
Voglio allargare il giro dei clienti miei
Io vendo desideri e speranze
In confezione spray

Seguimi io sono la notte
Il mistero, l’ambiguità
Io creo gli incontri
Io sono la sorte
Quell’attimo di vanità

Incredibile, se vuoi
Seguimi e non ti pentirai
Sono io la chiave dei tuoi problemi
Guarisco i tuoi mali, vedrai

Mi vendo
La grinta che non hai
In cambio del tuo inferno
Ti do due ali, sai

Mi vendo
Un’altra identità
Ti do quello che il mondo
Distratto non ti dà
Io mi vendo, e già
A buon prezzo, si sa

Ho smarrito, un giorno, il mio circo
Ma il circo vive senza di me
Non è l’anima tua che io cerco
Io sono solo più di te

Nell’arco di una luna io
Farò di te un baro oppure un re
Sono io la chiave dei tuoi problemi
Guarisco i tuoi mali, vedrai

Mi vendo, la grinta che non hai
In cambio del tuo inferno
Ti do due ali, sai

Ti vendo
Un’altra identità
Ti do quello che il mondo
Distratto non ti dà
Io mi vendo, e già
A buon prezzo, si sa

Seguimi

(Renato Zero)

Era il 1977 quando in Rai e non solo spopolava questa canzone, del tutto anticonformista, di Renato Zero, vestito attillato, truccato, alla sua maniera insomma, e a quarantanni da questa canzone la società italiana mi pare sia avanzata molto sul tema dei diritti civili. Così le tue affermazioni sull’apertura della società, nell’intervista a Repubblica, le trovo discutibili, anche perché vedo e cerco di nutrire un’Italia diversa, tollerante, e so che molte persone sono impegnate in questo; considero che, ad esempio, in Italia l’operazione per il cambio di sesso è gratuita (anche se la disforia di genere è descritta ancora come una patologia). Giuridicamente forse saremo un po’ annacquati, ma eticamente questo paese ha fatto grandi passi in avanti nella sensibilizzazione di questi temi.

Mi sono domandato, oltre la battaglia sui diritti civili dove non posso che essere dalla tua parte, se a seguito della riattribuzione di sesso derivi una autorialità nuova e diversa dalla precedente.
A questo proposito, sono mesi che osservo a tratti un cortocircuito comunicativo, qualcosa che stona con la realtà e che ha a che vedere con l’identità autoriale che mostri, che sostieni con forza, ed è un merito, ma secondo me questa stessa identità è stata sollecitata da troppe dinamiche esterne, che forse confondono, per cui vorrei aiutarti a sgombrare il campo per una riflessione su questo tema cruciale.
Ti scrivo questo, sapendo che nessuno qui è un santo, un puro, nessuno può dire di sapere sempre cosa fare, ma nemmeno possiamo essere degli immortali in grado di condizionare il pensiero degli altri, mutare le leggi dall’oggi al domani, la natura delle cose e il passato. Dialogare è essenziale per migliorare, per osservare se in questo mondo fatto di like ci possa davvero essere uno spazio per la comprensione di noi stessi.
Così, in seguito all’esclusione che hai ricevuto al Premio Solstizio, si è aperto un dibattito sull’identità autoriale, che merita attenzione. Ho scelto di scrivere una lettera, anche per questo motivo, che ha a che vedere con la percezione di cosa è vero, fattuale, che non si affida alle menzogne che si potrebbero costruire grazie al sé, e allo stesso tempo per comprendere grazie alla tua risposta, altre sfacettature dello stesso problema.
Il Saggiatore nel 2014 ha pubblicato una guida di Trieste, la mia città, a cura di Jan Morris, una giornalista e scrittrice diventata nel 1972 donna; prima, nel 1953, è stata (o sarebbe meglio dire stato) la corrispondente ufficiale della conquista dell’Everest. Un libro, quello su Trieste, ben scritto, in cui traspare la storia della città e la transizione dell’identità dello scrivente. Mi ha colpito di questo libro proprio la grande maturità nel considerare, anche linguisticamente, la transizione. Anche in questo caso non c’è una cesura netta nell’autorialità dello scrivente dopo il cambio di sesso.
Un aspetto che si ritrova anche nel tuo libro, il fatto che nella trasformazione ci sia il passato e il presente assieme, non è stato affrontato ancora nella comunicazione della tua autorialità; anzi si muove in modo opposto a come hanno trattato la transizione altri autori. Penso nel frattempo alla descrizione dell’esperienza del padre che impara il nuovo nome e il nuovo genere in una bella poesia del tuo libro.
Penso  al fatto che sei stata Giovanni, e non c’è nulla di male nell’essere stati prima un uomo, definiti come uomo, e poi giungere ad essere ciò che si pensa come la propria natura, nonostante gli ostacoli frapposti dal proprio corpo e dall’altro corpo, quello sociale (in primis, la famiglia). E, in definitiva, quello che lanci è un grande messaggio, che merita di essere discusso. Parlo degli ostacoli che hanno fatto parte della tua esperienza, e che ti hanno fatto diventare un individuo, una donna, quella che sei oggi. Anche i libri scritti tre o quattro anni fa, fanno parte del tuo bagaglio di esperienze, autoriale, e certo avranno poca importanza ora; sono stati scritti da un giovanissimo poeta Giovanni Vivinetto, e forse sono stati importanti per acquisire degli strumenti, ma quella persona eri tu, tu hai scritto quei libri. Trovo davvero importante la possibilità che ti sei data per ripartire, proprio perché frutto di un percorso di autorealizzazione davvero difficile, se penso al fatto che i dati personali sono stati modificati nei registri dell’anagrafe dove eri iscritta, dopo la necessaria transizione seguita dai medici e dopo tutte le trafile burocratiche.
Ti scrivo questo perché mi sono posto una domanda, a cui ti chiedo di rispondere, a tua volta. Mi sono chiesto se questa transizione giuridicamente significava essere una persona nuova e se le opere pubblicate in precedenza con un’identità differente da quella attuale potessero essere opere considerate di un altro da sé. Mi sono risposto di no.
Credo che una poeta, che ha a cuore la verità e i fatti, possa chiedere di non considerare quei libri, perché opere non mature, soprattutto dopo la transizione che hai affrontato… Credo che un autore possa fare questa richiesta ai lettori e ai critici. È una richiesta legittima, ma questo non può trasformarsi nell’imposizione di un volere che trasforma il passato, e lo rigenera a fini di una identità, che non è nuova. Questa nuova vita che ti sei data non è la tua rinascita, e il libro è importante proprio per la descrizione di questi contrasti, mutazioni, conflitti di identità. C’è forse il tradimento di una verità, mi sono chiesto, nel proporre come opera prima questo libro, perché non solo la tua opera, ma anche la tua esperienza merita di essere discussa. Sicuramente è il primo libro in cui ti firmi come Giovanna Cristina Vivinetto, e di sicuro puoi richiedere che i libri a nome Giovanni siano ritirati dal commercio, e che sia cambiato il nome sulla copertina. Ma forse non serve, forse è già straordinario l’essere stati pubblicati con nomi diversi, ed essere accettati. Prendo spunto dal caso dei Fratelli Wachowski, gli autori del film Matrix, che hanno affrontando la transizione, e ora sono le Sorelle Wachowski. È chiaro che i film che hanno fatto avranno il loro copyright. Probabilmente potranno chiedere di rinominare l’identità autoriale dei lavori cinematografici, identità autoriale che rimarrà comunque legata al loro curriculum. Mi sento di sostenere questo approccio, ma allo stesso tempo ti chiedo di argomentare se pensi che ci sia qualcosa di sbagliato in ciò che ho scritto.

Lo stesso Simone Burratti, che ti ha criticato, scrive della tua come un’opera d’esordio, o Giovanna Frene su Atelier, Matteo Fais su VVOX, Simonetta Giovannini su Viandanti.org, Alessandro Canzian su Laboratoripoesia; si parla di libro d’esordio su Leparoleelecose, su LaReserche.it e pure su Pordenonelegge.it a descrizione del tuo incontro, per non parlare della tua intervista su Repubblica dove affermi “Ero felice del mio esordio”. Non ho modo di verificare se sia una soluzione avallata anche dalla casa editrice Interlinea (sul sito delle edizioni non si accenna a esordi, menzionati però il 6 giugno sulla pagina Facebook proprio a corredo dell’intervista concessa a Repubblica) e da Franco Buffoni, curatore della collana, ma trovo che l’esercizio della verità, di questa grande verità che è una conquista della nostra società, cioè la transizione, sarebbe stata la cosa migliore… Ho cercato di mettermi nei tuoi panni, in quelli di una persona che ha cambiato vita, che desidera realizzarsi. Così non sono riuscito a comprendere perché, dopo la scelta di pubblicare un libro che ha dei contenuti importanti, le pubblicazioni precedenti siano state espulse dalla tua identità autoriale. Non lo riesco a comprendere, perché vincere o meno il Premio Solstizio o qualche altro premio dedicato alle opere prime ha un’importanza quasi nulla (anche se può far piacere), oppure per generare una sorta di benevolenza verso un’autrice esordiente? La benevolenza è un pasticcio per la poesia: un poeta dovrebbe starne distante, soprattutto perché fa tesoro dei propri limiti.

Infine desidero parlare del tuo libro, che si muove su un terreno di relazioni, e quindi anche erotico (è un tabù, questo, e nessuno mi pare ne scriva). Un libro che denota molta maturità di indagine psicologica, nel senso dell’autoanalisi (anche se come rileva Mario De Santis nella sua critica al tuo caso letterario qualche accortezza sull’uso della contrapposizione tra maschile e femminile, ci sarebbe potuta stare); per non parlare dei testi che descrivono il cambiamento del corpo, molto ben scritti. Ci sono parti da rivedere, forse da riscrivere, e dato che Whitman, che amava la natura e i suoi simboli quasi quanto te, ha limato Foglie d’erba per tutta la vita, spero non ti offenderai se faccio un appunto sulla tua formatività, perché il verso libero che usi nella prima parte Cespugli d’infanzia incespica spesso per la mancanza di ritmi e di accenti fissi tra i versi. Sento di meno la mancanza di prosodia nella sezione Dolore minimo, che dà il titolo alla raccolta.
Non credo invece che si debba complicare lo stile autobiografico che utilizzi. Infatti il tema, tra le due parti, è intuitivamente solido, ma in generale il libro necessiterebbe di molti interventi proprio nella prima sezione, oltre che per la carenza di ritmo, anche per alcune sequenze che rimandano al lettore una sorta di poetese che rischia il patetico (ad esempio, “il ritmo dell’invisibile”, “non si annidava ancora l’inganno”, “la voce miracolosa dei morti / che sale muta dalla terra”) e per l’utilizzo di aggettivi che riducono le possibilità interpretative dei simboli (campi abbacinati, trama arsa, panni stesi divorati, luce setacciata) se utilizzati in modo serrato. Poi, lo spero davvero, le prossime opere che scriverai, avranno più consapevolezza, che già si intravede, ma intanto ti invito a non considerare questa una versione ultima del tuo libro.

Giovanna Cristina, nessuno di noi può piegare la realtà completamente, e non possiamo nemmeno tornare indietro. Piacerebbe anche a me, per cose che non hanno a che vedere con la letteratura, ma non lo posso fare. Sulle critiche, quelle serie, forse un giorno potrai considerare più amico Simone Burratti di chi non ha avuto il coraggio di esprimere il suo dubbio, nei modi che la letteratura si è data. Infine voglio, con i distinguo che la mia esperienza ha desiderato sottolineare, ancora incitarti a continuare queste battaglie sui diritti civili e ti invito a dialogare sul tema dell’autorialità, con una tua riflessione oltre le dinamiche dei social.

 

*La rubrica Lettere nasce per dare la possibilità ai poeti e ai critici di scambiarsi impressioni sulle opere e sulla realtà in cui la poesia contemporanea si trova ad operare. Ogni lettera viene recapitata al destinatario, a cui si chiede di rispondere. Può accadere che, per il carattere delle critiche, non vi sia risposta o ci sia un diniego della pubblicazione della replica. La Redazione di Poesia del nostro tempo mette a disposizione di tutti i poeti e critici questo strumento. Per informazioni contattare la redazione attraverso il form.

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