Vi ricordate la rubrica Scuola di Poesia che Maurizio Cucchi teneva sul settimanale ‘Specchio’ de La Stampa? Memori di quanto accadeva nel passato, la rubrica Laboratorio di Poesia, a cura di Alfonso Maria Petrosino, esce di venerdì su ‘Poesia del nostro tempo’. Vengono commentati i versi degli aspiranti poeti del Laboratorio online e scelta la poesia della settimana.
Giovanni Colagrande ama i ritornelli e i bestiari favolosi – una delle sue poesie è ispirata ai quadri tigreschi di Ligabue. In filigrana affiorano citazioni altissime: Pessoa (quello che vediamo è tutto ciò che siamo), Montale (Di chi crede che il mondo / Sia davvero quello che si vede). Tra echi d’Ecclesiaste (Il sole a mezzogiorno / abbraccia tutto l’orizzonte, / un confine certo, assoluto, / senza sbavature né approssimazioni) e autoanalisi barocche (Per il nostro io è sufficiente / una causa passeggera, / una bandiera in cui avvolgerci, / a cui consegnare un cadavere…) i versi non stonerebbero da un pulpito.
La poesia inviata da Marta D’Orazio parte da un gran bel auspicio (Se solo riuscissi a Dare / senza bisogno alcuno di ricevere). Le tante apocopi (scorrer, sfuggon, definizion), le rime semplici e piane (emozione: soddisfazione; affidare: afferrare) e l’uso del maiuscolo per alcune parole chiave (Dare, Anime, Tu, Casa) mostrano la probabile intenzione di innalzare il discorso per renderlo deliberatamente poetico, ma l’effetto ottenuto è quasi parodico. La visione della parola poetica, sfuggente e veneranda, è senz’altro suggestiva.
Per questa settimana scelgo una poesia di Marco Corvaia. I versi sono nervosi e inscenano dualismi, distorsioni psichiche, automatismi e schizofrenie. Squarci anatomici si alternano a riferimenti matematici. Prendendo a prestito parole sue direi che le immagini sono “grumi”, “frattaglie” e “smarrimenti”: è una follia che ha una sua coerenza.
 
Quantificatore unico
 
M’inoltro scomparso nell’imbastitura
l’iride multicolore, specchia l’anatomia
sono ancora quel che non sono più
in conflitto con ronzii e vertigini
opposto al fatto, alla trama, al movimento
non puoi vedermi; traduci stagioni lerce.
Serro le ganasce a spaccare gli atomi
ho palpebre troppo sottili per gli esosi due terzi
sono ancora dove non sono più
nella formalità del paradosso
antitetico per orientamento
non puoi sentirmi; traduci la distopia.
 
Siamo sfalsati io e me.
 
Indosso sogni permanenti nella verità
testa rasata, nessun ostacolo per il raccolto
compio ancora azioni che non compio più
esplorazione matematica: l’unicità
parlo di me come di una città
non puoi proteggermi; tradotto l’archetipo.
Qualcosa appare intermittente dietro avventure
l’epidermide storica, sovrapposto il dualismo
mi nutro ancora di quello che non mi nutre più
degenerazione letteraria: ∃!
seziono un’intuizione in tre parti
non puoi sapere chi sono; tradotto in italiano.
 
Videoscrivo.
 
Nevralgica disciplina per non mancare
«Sii scheggia di vetro nella carne viva.»
 
Alfonso Maria Petrosino ha pubblicato tre libri di poesia, Autostrada del sole in un giorno di eclisse (Omp, 2008), Parole incrociate (Tracce, 2008) e Ostello della gioventù bruciata (Miraggi, 2015). La sua poesia, che descrive luoghi e situazioni in relazione a un paesaggio urbano e all’umanità che lo abita, si avvale di una metrica precisa e raffinata. La redazione di Poesia del nostro tempo ha scelto Alfonso Maria Petrosino per impersonare la figura del maestro, capace di leggere attentamente e suggerire soluzioni, anche ai neofiti della poesia, proprio per la sua capacità di aderire sia al “canone”, alla tradizione, che frequentare i nuovi palcoscenici della poesia, dagli happening e performance al poetry slam, essendo stato campione indiscusso di queste scene per molti anni.

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