Laboratorio di Poesia, a cura di Alfonso Maria Petrosino, esce di venerdì su ‘Poesia del nostro tempo’. Vengono commentati i versi degli aspiranti poeti del Laboratorio online e scelta la poesia della settimana.

Verso Rialto mi è capitato di assistere a scaramucce tra piccioni e gabbiani; in una poesia di Luca Quargnal i gabbiani invece si scontrano, uscendone perdenti, contro corvi che fanno pensare più al corvo Joe dei Baustelle che a quello di Poe. L’allegoria uccelli / esseri umani è subito esplicitata nella seconda strofa (“Così mi guardo dal fosso / La domenica mattina / E per quanto siete ugualmente soli / Nei vostri sguardi, / Non andate oltre le mie penne nere”). Per restare ai volatili, a meno che non si tratti dell’ultima quartina dell’Albatros, le soluzioni delle allegorie sono per definizione nocive alle allegorie stesse, perché le privano di versatilità. La descrizione del tempo fuggevole e dell’infinito dal quale e verso il quale fugge tramite una metafora liquida (gocce / lago / mare) allungata con un mezzo sillogismo e una dose omeopatica di Leopardi (“Sommando le gocce / Che fanno gli anni / Arrivando ad un lago / E poi a un mare. // Questa terra emersa / è anch’essa una goccia dell’infinito. // Fratturando il tempo / Nel silenzio / L’infinito gocciola nelle mie mani”) fa rimpiangere Gocce di memoria di Giorgia; se di tempo che passa e dell’io che è di conseguenza anch’esso solo di passaggio si deve parlare, risultano forse più adeguati e meno caduchi gli ellittici anacoluti impiegati altrove: “Nel buio / Corrono veloci le nuvole. / Resto me. / Quello che la mattina ne rimane, / Ricomincia”.

Gabbiani compaiono anche in una poesia di Ada Nicolosi, a decorare un’alba che si prende per Paolo Malatesta (“L’alba / tutta trema // Gioconda / con il frastuono / dei gabbiani; / si chiama fugace”). Più che l’haiku giapponese si avverte la presenza della vulgata ermetica e di una soggettività che la ridondanza del pronome di prima persona singolare enfatizza (“Sotto il pudore / io sento di lontano / il corpo nelumbo, / e sempre in me scorgo / lo squarcio di gioie”); il tutto però sotto il segno di un certo impressionismo che – è questo il mio sospetto – vince la partita dell’emozione poetica perché gioca in casa, ovvero fa leva su elementi che hanno un’inveterata frequentazione con i versi.

Come poesia della settimana scelgo una d’amore assai sensuale di Daniela Cobaich Mascaretti, perché affrontando un tema come questo corre il duplice rischio della volgarità e del ridicolo e lo scongiura anche grazie alla coerenza dell’insieme: il tempo rallentato, la temperatura in aumento, le variazioni sulle percezioni sensoriali e l’orlo della pagina, improvviso limite che ci ricorda che siamo fatti tanto di carne quanto di carta.

Click 2018

Amami, ti sento nella mia carne tenera
le tue mani mi strappano il piacere.
Ti amo gridano le mie labbra,
un pomeriggio aspro bollente
le ore precipitate, fuse insieme…
Il sudore bagna i corpi e cola…
ne segui il percorso bruciante…
E la tua bocca scivola sulla mia
soffoca il mio grido
e lo ingoia nel tuo alito caldo.
Ti amo, non ti amo, ci siamo
nutriti di parole assaporate.
Aspettami…arriverò a margine del foglio.

Alfonso Maria Petrosino ha pubblicato tre libri di poesia, Autostrada del sole in un giorno di eclisse (Omp, 2008), Parole incrociate (Tracce, 2008) e Ostello della gioventù bruciata (Miraggi, 2015). La sua poesia, che descrive luoghi e situazioni in relazione a un paesaggio urbano e all’umanità che lo abita, si avvale di una metrica precisa e raffinata. La redazione di Poesia del nostro tempo ha scelto Alfonso Maria Petrosino per impersonare la figura del maestro, capace di leggere attentamente e suggerire soluzioni, anche ai neofiti della poesia, proprio per la sua capacità sia di aderire al “canone”, alla tradizione, che di frequentare i nuovi palcoscenici della poesia, dagli happening e performances al poetry slam, essendo stato campione indiscusso di queste scene per molti anni.

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