Laboratorio di Poesia, a cura di Alfonso Maria Petrosino, esce l’ultimo venerdì del mese su ‘Poesia del nostro tempo’. Vengono commentati i versi degli aspiranti poeti del Laboratorio online e scelta la poesia del mese.

Fabio Piana parla a più riprese del sogno, che sia una visione onirica o una fantasia amorosa. In una poesia ne inscena uno che sembra librarsi negli intermundia della mitologia e dell’astronomia (“La costellazione del carro / si riempie di giullari dello spazio / sprizzanti d’energia / e privi di superbia terrena. // Bacco celebra ebbri banchetti di felicità: / quivi non v’è fatica né pianto / ma solo ozio e risate d’amore”) ma il “quivi” e il “v’è” sono ingombranti sacchetti di sabbia letteraria. Giullare dello spazio potrebbe essere una definizione non troppo dissacrante di Ziggy Stardust. Il finale (“Ad un tratto, il sogno si spezza / il lume si è spento / ridiscendo sulla terra / e i coriandoli se li porta via il vento”), complice la rima “vento” – “spento” e con quest’ultimo accostato per giunta a “lume”, esita tra l’espressione idiomatica e il lacrimevole ricordo di Manfredi, se non quello del vitellone Alberto. In una poesia che si intitola “L’amore” una serie di metafore magari contraddittorie (“L’amore è una tigre in agguato / è uno spettacolo che irride / uno sfracello che non dimentica / una quercia di ferro che non muore mai / una miscela di gusto e di fango / che accarezza le sue vittime in perenne adorazione”) sono un omaggio preterintenzionale al ritornello di Fotoromanza.

Greta Biondi usa la rima con parsimonia, per aumentare occasionalmente il ritmo o come divertita variazione (“Né di bombe né di fame, / né di mare né di pane, / né di mondo né di scempio, / se la pagina riempio…). Così gli endecasillabi, che impila senza costrizioni (“T’immagino febbrile tra diec’anni, / appeso a lei, felici, beninteso, / tra passi magri e case di campagna. / Rimane, lei, compagna di una vita…”). Omaggia i crepuscolari (il lapis di Moretti, le piccole cose gozzaniane) e ipotizza una natura una e trina della poesia: “Mi sono detta, non è poesia questa / è oltraggio, è istinto, / è cosa mesta”.

La poesia di questo mese è una di quelle inviate da Domenico Russo, perché il grande amore, è vero, non solo lo si vive ma lo si strascica, per l’immagine eccessiva dell’arco trionfale, per la ridondanza metodica (“urlando, / a squarciagola” o “flebile lento”), l’incipit insensato e la chiusa da madrigaletto, tutto condensato in una pillola psichedelica.

Dove trovare una coltre come me?
Io, silenzioso gemo, intanto che
Le comete si ritorcono nel cielo
Lontane milioni di vite.
Ma se fossi colore espanso
Ritroverei quel momento osceno
Della mia venuta al mondo,
Pomposamente passerei dentro
L’arco trionfale urlando,
A squarciagola precipitando
Nel ventre malaticcio della Terra,
Strascicando il mio grande amore
Nel flebile lento assopirsi
Degli occhi miei.

Alfonso Maria Petrosino ha pubblicato tre libri di poesia, Autostrada del sole in un giorno di eclisse, Parole incrociate (Tracce, 2008) e Ostello della gioventù bruciata (Miraggi, 2015). La sua poesia, che descrive luoghi e situazioni in relazione a un paesaggio urbano e all’umanità che lo abita, si avvale di una metrica precisa e raffinata. La redazione di Poesia del nostro tempo ha scelto Alfonso Maria Petrosino per impersonare la figura del maestro, capace di leggere attentamente e suggerire soluzioni, anche ai neofiti della poesia, proprio per la sua capacità sia di aderire al “canone”, alla tradizione, che di frequentare i nuovi palcoscenici della poesia, dagli happening e performances al poetry slam, essendo stato campione indiscusso di queste scene per molti anni.

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