Dalla prefazione di Laura Liberale
“Ma qui, tra i versi di Fantato, il dio è un deus absconditus (E se ci fosse un dio / nascosto tra le cose, dentro / lo spazio che unisce e separa), che il pascaliano scommettitore non può definire se non come: un dio piccolo di pane e buio. Qui sono le donne a tessere i nuovi inizi, l’alleanza tra terra e cielo, coi loro capelli e i loro corpi, sacrificati dalla legge dei padri; ed ecco il “canto” ipogeo di Hina Saleem (per la cronaca uccisa dal padre e da alcuni parenti maschi con diverse coltellate e poi sepolta nell’orto di casa), novella Antigone (il silenzio degli dèi e la legge del monarca). Hina dalla bocca gonfia di terra, sospesa in uno stadio intermedio di attesa, un “bardo” di vita minerale (e metamorfosi è sicuramente una parole chiave per Fantato) in ascolto delle voci di sopra (Morta, io non voglio ancora / passare il confine, non so l’ultimo addio): la pietra-padre che lapida, l’albero-madre che radica al mondo.”
Da La seconda voce (Transeuropa 2018)
Della nostra mortalità
E se ci fosse un dio
nascosto tra le cose, dentro
lo spazio che unisce e separa,
dove si legge la fine che abbraccia
il bordo nuovo di una seconda vita di legno,
di sale e lacrime e chiodi mai conficcati,
solo puntati
per certezza al tavolo che balla
e dà forma ai giorni.
E se provassi a tendere la mano,
come un vecchio marinaio dentro
il suo vento di levante,
dentro la santa pelle del mare
e quella luminosa del giorno che nascevi
quando anche morirai,
e se avessi il moto e la certezza
che inventi, quella che sa dire
– la tua storia, con gli stessi volti,
ma con le pieghe nuove
da scoprire.
Invocazione
Invoco quello stare dritto
davanti e dentro il mondo
senza cerimonia, senza chiedere
e solo per restare, solo per il gesto…
ah, il gesto! la vita dentro le vene
e scorre e viene tutto, proprio tutto
solo nel gran silenzio
dove il tempo separa e taglia ancora
il numero degli anni, i regali con il nastro
della festa dei bambini
e dio è un dio piccolo di pane e buio,
come le figure da presepe, come la ragazza
senza più sorriso eppure salva,
salvata dentro il dolore.
Antigone, ancora
a Hina Saleem – 2006
NATA IN PAKISTAN, EMIGRATA IN ITALIA.
SI ERA FIDANZATA CON UN ITALIANO
NON MUSULMANO,
IN CONTRASTO CON LA VOLONTÀ DELLA FAMIGLIA.
LA CONDANNA A MORTE DI HINA È STATA PRONUNCIATA.:
UNA BUCA COME TOMBA.
HINA SEPOLTA, AVVOLTA NEL LENZUOLO BIANCO.
LA TESTA RIVOLTA ALLA MECCA.
I.
Qui sotto – la bocca, gonfia di terra,
solo un lamento, un lamento che preme.
Lo tengo come un figlio, una forma
di sangue
e promesse.
Risale alla gola, alla voce.
Sono nel buio – qui sotto,
stretta alla terra, ai fili d’erba, al buio.
Non mi ribello, aspetto.
I granelli di sabbia dentro le orecchie
saranno calcare, domani
(la terra ha memoria, sa dove inizia il viaggio,
il dolore della primavera, un lento trasformarsi
di pieghe tra le pieghe…)
II.
Sotto, proprio qui, nel buio
la felicità è una distanza tra me e voi,
un punto consolato da ogni fallimento.
Un’età mai conosciuta prima.
C’era stato un tempo in cui ero
corpo in un altro corpo,
dentro un’acqua calda e salata
– felice, ero felice.
Vicine, noi due
semplici, irraggiungibili.
Mia madre come il pesco
mi ha lasciata andare, frutto maturo.
È rimasta solo tronco e le radici.
(è impossibile chiedere alla pietra
quale ordine la tiene stretta, quale
geometria segna il suo tempo)
V.
Le voci, sopra – ascolto.
Chi prega, chi urla, chi invoca.
Qualcuno mi cercherà, troverà colpe,
segnerà i danni e saprà dire la sua verità.
Nessuno scende mai dove le radici
sfiorano le guance e gli occhi sono
un inverno limpido nei contorni delle cose
(nessuno sa la verità minerale
solenne come il deserto, nessuno sa
strapparsi le parole e gettarle al vento)
VI.
Morta, io non voglio ancora
passare il confine, non so l’ultimo addio.
Non conosco ancora l’attimo in cui
tutto torna e si fa uguale: vita e morte.
Nessuno si arrende al nome
cucito lì, sull’abito della festa.
(ancora l’abitudine alla vita tiene
stretti nei buchi delle case,
tiene voi, piccole talpe al sicuro,
e salva i bicchieri non bevuti
gli abbracci mai dati)
Gabriela Fantato (1960), poetessa, critica e saggista. È pubblicata in Nuovi poeti italiani 6 (Einaudi 2012). Raccolte poetiche: La seconda voce (Transeuropa 2018), The form of life, traduzione di E. Di Pasquale (Chelsea Edition, New York 2011); Codice terrestre (La Vita Felice, Milano 2008); Il tempo dovuto, poesie 1996-2005 (editoria&spettacolo 2005); Northern Geography, traduzione E. Di Pasquale (Gradiva Publications, New York 2002); Moltitudine, in “Settimo Quaderno di Poesia Italiana”, a cura di F.Buffoni (Marcos y Marcos 2001); Enigma (DIALOGOlibri 2000) e Fugando (Book editore 1996).