Nella poesia di Gregorio Scalise si può osservare la capacità di relazionare gli elementi della natura, una puntuale riflessione storica e l’indagine filosofica, ricerca della verità dove un linguaggio randagio svolge la funzione di testimone, attore e suggeritore dell’opera.
La questione della verità – mediata nel testo che si intende discutere – da Wallace Stevens, concerne l’atteggiamento del poeta durante la scrittura, demiurgo che sa che ciò che sta scrivendo è, in fin dei conti, una finzione fondata su un assunto, la scommessa della poesia di essere, appunto, portatrice di verità. Si tratta dunque di realizzare l’opera su questa sottile parete che separa essere e apparenza?
Forse il tentativo di Scalise è volto ad aggirare il concetto di “dubbio” esteso alla totalità dell’esperienza del conoscere, per trovare e comunicare nuovamente qualche verità, ma come?
Anche l’idea di Dio si potrebbe trovare nei pressi di una poesia intenta a parlare inizialmente di guerra, di ore tremende, in una scena apparentemente idilliaca, su rettilinei pianeggianti tra i campi di pannocchie, dove si muovono però i caschi blu dell’ONU.
La poesia Leggendo Wallace Stevens sperimenta pratiche di assemblaggio che ricordano le esperienze della Neoavanguardia, e si può dire certamente che non limita la sua operatività in un oggetto fatto della materia del linguaggio o in un sistema produttore di abili rimandi.
Infatti, con una certa ironia, piega il testo all’imprecisione dei dettagli, e tutta questa distrazione è utile a mettere in rilievo alcuni punti focali, in cui il poeta discute la fondatezza della poesia attraverso il lettore. Scalise, per formare l’opera, è sì partito dalla realtà, ma poi si è gettato nell’astrazione e, infine, si è rivolto a noi con delle idee, tra cui quella che chi vuole fare arte, e discutere di verità, chi vuole rintracciare dio o la sintesi suprema della forma pure come astrazione del cielo stellato, chi pensa che la vita mentale imiti l’universo, non può che ricevere noia da tutto questo costrutto. Non ha ragione?
Pure molti poeti dovrebbero leggere attentamente questa poesia.
(L’articolo è comparso nell’antologia Passione Poesia, CFR)

da Opera-opera di Gregorio Scalise – Poesie scelte 1968-2007 (Luca Sossella Editore, 2007)

Leggendo Wallace Stevens
1.
Ma nell’Europa centrale
le pannocchie dei campi
hanno la forma fluida
delle onde del sonno
per contrastare i galli e i gerani
che cantano nelle ore piú tremende
e poi
si può guardare la luce
con il necessario per attendere
l’alba,
mettere i pensieri sul letto
come minute di poesia
farsi rimordere la coscienza
per il male compiuto
e forse non è neppure ben descritto
questo angolo affascinante
del novecento.

2.
Se si ritemprerà l’energia
con i frammenti
dell’aria
anche la definizione delle erbe
sembrerà un corridoio
col casco blu:
non si porteranno con sé
tutta la vita
come quando si ritrova
la cornice di un vestito o di un pensiero:
l’eloquio finale è di San Bonaventura
con una fiamma importante;
non scrive, ma serve
l’idea di Dio,
occorre spezzare le erbe
lasciando lo stelo impreciso
e il fondo appena accennato.

3.
Forse la consequenzialità
non è necessaria
fra sensazioni e parole segnate
(ma cosa si intende
per fare poesia?)
come un rampicante o un insetto
su tessere informi
la primavera non fa seguir
i concetti fra loro:
prima folle
poi dolorosa
un’edera ricava dal ricatto
la musica che accompagna
questo cammino
con la verità di una formula
il linguaggio esiste
in quegli scatti emotivi, perplessi.

4.
Faceva compagnia la vita
cinquecentesca
con quegli abiti nomadi e sconosciuti
cosí illustri per aver ricevuto
un libro di ricerche
e contro il freddo
la memoria italiana
rincantucciata nella stanza del poeta
col pretesto dell’albero di Natale
la bicicletta rossa
come un verso transnazionale.

5.
Il gioco che va a fondo
(e non vorrebbe)
è di rintracciare nel cielo stellato,
stracciato, l’astuzia
dei segmenti
con lo sguardo che si ostina
in un tiro incrociato:
questa volta (se l’incomprensione
è questa)
senza occasioni con il sole metafora
di un punto identico
e perverso:
sulla terra quell’agente filtra
pietra su pietra:
non è detto che il giardino
sia invidiato da una donna:
la vita mentale imita l’universo,
e per questo presto raggiunge
la noia celeste.

Gregorio Scalise è nato a Catanzaro nel 1939, vive a Bologna, sue poesie figurano in diverse antologie e riviste, ha pubblicato: A capo (Geiger 1968); L’erba al suo erbario (Geiger 1969); Poemetti (in “Quaderno collettivo” n. 1, Guanda 1977); Dodici poesie (in Almanacco dello specchio n. 8, a cura di M. Forti, Mondadori 1979); La resistenza dell’aria (Mondadori 1982); Gli artisti (Lunario nuovo 1986); Danny Rose (Amadeus 1989); La perfezione delle formule (Stampa 1999); Controcanti (Faenza, Quaderni del circolo degli artisti 2001); Nell’ombra nel vento (Art 2005); Opera-opera poesie scelte 1968-2007 (Luca Sossella editore 2007); Le parole non sono mai esatte (Edizioni L’Arca Felice 2014).

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