CONFINE DONNA –  VI PUNTATA

Qual è il confine che ti ha segnata di più, cambiandoti, quello dal quale hai sentito di non poter più fare ritorno?

L’emigrazione senz’altro. Sono diventata definitivamente straniera. E dico definitivamente perché, in un certo senso, il sentimento di estraneità e inadeguatezza mi ha sempre abitato.  A Buenos Aires eravamo una specie di famiglia migrante, non siamo mai stati molto tempo nella stessa casa o quartiere. L’emigrazione fu il trasloco totale che acutizzò questo stato di alterità, che per me significa essere abitata da prospettive sdoppiate, binari paralleli, da oscillazioni e scarti continui dalla norma che sono ormai fisiologici. Non bastano quarant’anni di vita italiana per farmi sentire totalmente italiana (né essere percepita come tale), né l’imprinting che mi ha formato per sentirmi totalmente argentina (né essere percepita come tale). Non basta nemmeno avere la doppia nazionalità. Come diceva uno dei miei cantautori preferiti, il catalano Joan Manuel Serrat, “la mia patria e la mia chitarra le porto in me: una è forte e fedele, l’altra un pezzo di carta.” Una volta tutto questo lo vivevo in modo alienato, era una lacerazione, oggi è la mia ricchezza. Buenos Aires rimane la città amatissima ma lo è anche Milano dove ho stretto forti legami, ho vissuto qualche tempo in Francia, ho frequentato molto Madrid, ma alla fine non appartengo a nessun luogo, se mai qualcuno può appartenerci. Non ricordo chi diceva che forse la vera patria è l’idioma. Forse è così per alcuni. Nel mio caso questo territorio rimane instabile, fatto di lingue che si contaminano a vicenda, si specchiano, a volte si scontrano, ma che alla fine hanno imparato a convivere e a comunicare, anche sulla stessa pagina bianca come in alcune delle mie poesie. In fondo credo che se esiste un territorio al quale davvero si appartiene, non può che essere un luogo silenzioso, una specie di rifugio che vibra nel profondo di noi. Inoltrarsi in quel luogo è forse l’unico ritorno possibile.

Bs.As.  21 febbraio 1977 
Quel giorno nell’accendere
la sigaretta mi bruciacchiai
il polpastrello. Nella calura
estiva la città era un abbaglio
e mentre l’auto avanzava guardavo
dal lunotto  per un’ultima volta
la finestra di casa diventare
più piccola, uno strappo sul muro
calcinato, un punto cieco, il nulla
dietro l’angolo. Nella mente
immagini abbozzate: la macchia viola
dei jacarandá  in fiore,
i bagagli accatastati sulla darsena
il lento contrappunto delle sirene
all’uscita del porto, mio padre fermo
sull’immobile sponda che lenta si allontana.
Quel giorno con l’accendino
della macchina mi bruciacchiai
il polpastrello. E non bastò l’oceano
immenso per spegnere il dolore.

Adriana Langtry è nata a Buenos Aires e risiede a Milano dal 1977. Ha lavorato diversi anni in ambito informatico e della traduzione tecnica, e ha vissuto per un certo periodo nel sud della Francia. Laureata in Letteratura Ispanoamericana all’Università Statale di Milano, ha pubblicato articoli, recensioni, racconti e poesie (in spagnolo, in italiano e in una sorta di terza via espressiva nata dall’incrocio di entrambe le lingue) su riviste cartacee e online quali «Sipario», «Crocevia», «Pagine», «El-Ghibli»; in antologie come Lingua Madre Duemilaundici – Racconti di donne straniere in Italia (a.c di Daniela Finocchi, Ed.SEB27 2011), Sempre ai confini del versoDispatri poetici in italiano (a.c. di Mia Lecomte, Chemins de tr@verse 2011), La donna nascostaVerba Agrestia duemilatredici (Lietocolle 2013), Parole di frontieraAutori latinoamericani in Italia (a.c. di Maria Rossi, Arcoiris 2014), Fil Rouge (a.c. di Antonella Barina e Loredana Magazzeni, ed.CFR, 2015), Libri Migranti (Melita Richter, Cosmo Iannone ed., Isernia, 2015); e in siti web quali L’Enciclopedia delle donne e Los amigos de Cervantes. Oltre alla scrittura si occupa di arti visive. Nel 2015 è uscita in formato Ebook per le edizioni P.J.Varet (Plémet, Francia) la sua prima raccolta bilingue (italiano-francese) di poesie e collage Fragmenta Colorata. Dal 2010 fa parte della Compagnia delle poete fondata da Mia Lecomte.

 

La rubrica “Confine donna: poesie e storie d’emigrazione” è ideata e curata da Silvia Rosa

 

(Visited 201 times, 1 visits today)