SCAFFALE POESIA: EDITORI A CONFRONTO
IV PUNTATA 

MANNI EDITORI

 

Può raccontarci brevemente la storia della Manni Editori e quali sono, a suo giudizio, le peculiarità che la differenziano dalle altre case editrici?

Prima venne “l’immaginazione”, rivista di lettere, nel gennaio 1984: accanto ai nomi consacrati della ricerca letteraria del Novecento (da Volponi a Fortini, da Leonetti a Porta, da Sanguineti a Malerba, da Lunetta a Cacciatore, da Frabotta ad Amelia Rosselli, da Zanzotto a Pagliarani, da Giuliani a Pignotti e tanti eccetera), proponeva e propone giovani anche esordienti; fascicoli monografici su autori italiani e letterature di altri Paesi; rubriche di critici e intellettuali (attualmente Renato Barilli, Piero Dorfles, Gian Carlo Ferretti, Angelo Guglielmi, Filippo La Porta, Cesare Milanese, Renato Minore, Romano Luperini, Sandra Petrignani, Antonio Prete, il gruppo di Gammm). Il dibattito e la rete di relazioni intorno alla rivista partoriscono la casa editrice, con due numi tutelari d’eccellenza: Maria Corti e Romano Luperini.

 

Quali sono i criteri di scelta a cui vi attenete per le pubblicazioni di poesia? C’è uno stile che è prediletto più di altri? Si può parlare di una linea editoriale che caratterizza la Manni Editori in ambito poetico e se sì, può definirla?

Per la poesia e la narrativa, i criteri di scelta sono due: qualità e ricerca, formale e di temi; per la saggistica scientifica (letteratura, storia sociale e del pensiero) il criterio unico è il rigore; per la saggistica sociale, oltre al rigore della ricerca chiediamo una visione progressista e solidaristica delle relazioni umane. E questa è la linea editoriale. Pubblichiamo prevalentemente libri che vengono fuori dai rapporti con gli autori, su loro o nostra proposta; arrivano anche molti dattiloscritti, fra i trecento e i quattrocento all’anno, che vengono letti tutti, e a tutti si risponde in tempi ragionevoli, comunque entro tre mesi. Di questi dattiloscritti, pubblichiamo ogni anno una diecina.

 

Potrebbe raccontarci quali sono stati a Suo dire i cambiamenti che hanno interessato il mondo della piccola editoria?

La piccola editoria indipendente negli ultimi due decenni ha dovuto misurarsi con due fenomeni via via crescenti: l’oligopolio non tanto della produzione, quanto della commercializzazione: pochi grandi gruppi controllano la distribuzione, i punti vendita (anche se le librerie on-line consentono commerciabilità a tutti), la promozione attraverso la stampa e la radiotelevisione. Il secondo elemento è il self-publishing, che da una parte ha moltiplicato a dismisura la produzione, impedendo al lettore di orientarsi e scegliere, e con l’eliminazione di qualunque filtro ha fortemente contribuito al tracollo qualitativo della produzione (pur con qualche eccezione).

 

Quali sono i titoli più venduti e le/gli autrici/autori più amati? Ha qualche aneddoto da raccontarci in merito a qualche titolo, a cui Lei è particolarmente legato?

L’aspetto più interessante di questo mestiere è quello di conoscere e frequentare persone che fanno la storia della cultura e, quindi, la Storia; e quando hai avuto il grande onore d’una famigliarità con Volponi, Fortini, Sanguineti, Malerba, Cacciatore, Maria Corti, Jabès, Alda Merini per non citarne qualcuno tra i non viventi, come fai a dire chi hai amato di più?
Ricordi simpatici? Le sudate fredde quando Maria Corti ci rimproverava di non essere all’altezza; il gioco a lanciare con la cordicella la trottola di legno sui mattoni di casa con Luperini e Giuliani; Volponi che raccoglie le lattine abbandonate sulla scogliera di Castro, nel Salento; la mania per le cartoline di Sanguineti, che ne spediva a diecine; le nozze d’oro di Jabès e Arlette festeggiate a Lequile in campagna; o quella volta che Leonetti, aprendo la prima copia di Palla di filo. Poemetto col commento, si accorse che il frontespizio riportava: Palla di filo. Poemetto al commento. “Sì, anatra all’arancia”, osservò ironico Francesco; intanto Agnese, allora di otto anni oggi nostra direttrice editoriale, mai avuta gran confidenza con la matita, disegnava con tratto infantile un ritratto assai approssimativo dello scrittore. “Ecco”, esclamò trionfante Leonetti mentre scriveva sul foglietto il titolo corretto del libro, “ecco il frontespizio”. E così fu: il foglietto, stampato, fu incollato al posto della pagina sbagliata: come può verificare chi abbia la fortuna di possedere una copia dell’ormai introvabile libretto!

 

Ritiene sia davvero possibile affermare che in Italia la poesia non susciti interesse, venda poco e sia in crisi, come spesso si legge e si sente dire? Cosa si potrebbe eventualmente fare per incrementare l’attenzione del pubblico e incentivarlo a leggere più poesia?

Che la poesia in Italia non susciti interesse, è indiscutibile: è sufficiente entrare in qualunque libreria per verificarlo. C’è un aspetto in apparente controtendenza: la diffusione dei festival e delle letture pubbliche di poesia e la forte partecipazione; ma probabilmente il richiamo è costituito più dalla spettacolarizzazione che da un reale interesse alla poesia; né il fatto che tanta, tantissima gente scriva poesie è incoraggiante: per molti, convinti che la poesia consista nell’andare a capo dopo un certo numero di parole magari facendoci scappare qualche rima baciata, questa è la forma più semplice per comunicare i propri sentimenti. Cosa si può fare? Insegnare agli insegnanti a insegnare la poesia: la chiave sta nella scuola, in questo caso partendo dall’alto, dall’università. Insufficiente, scarsa in Italia la riflessione sulla didattica della poesia.

 

Da diversi anni all’editoria tradizionale si sono andate affiancando, affermandosi sempre più, nuove tendenze che vedono internet (dai blog/siti specializzati ai vari social) come dinamico luogo di scritture: per quanto riguarda la poesia, la Rete può aiutare o al contrario ostacolare la diffusione dei libri di poesia?

La rete ha una capacità e immediatezza di comunicazione che può favorire enormemente la diffusione delle conoscenze, compresa la poesia; il limite sta nella semplificazione fino alla banalizzazione che la rete opera dei contenuti: mi chiedo se tale semplificazione sia implicita al mezzo, o non dipenda dall’impoverimento culturale della società contemporanea, nella quale la ricerca che si fa negli ambienti specialistici non ha alcuna ricaduta sul sapere generalizzato della collettività (il quale, peraltro, è l’unico fondamento sul quale sviluppare l’ulteriore ricerca).

 

Che consigli darebbe a un/a autore/autrice che volesse pubblicare un proprio libro di poesia?

Di leggere molto, di poesia in particolare, prima di scrivere (se ogni “poeta” leggesse qualche libro di poesia, i libri di poesia sarebbero dei best-seller); se ha moltissimo letto, incominci a mandare qualche componimento alle riviste: ce n’è ancora abbastanza che pubblicano poesia; se i riscontri sono ripetutamente negativi, rinunci; se invece sono ripetutamente positivi, allora provi a mandare una raccoltina a più editori (dopo averne studiato il catalogo) tra quelli che sente più consonanti. E si affidi, a seconda del genere, a Clio, Calliope o Erato!

 

Piero Manni è nato a Soleto, nel Salento, dove si parla il dialetto romanzo, il griko, e qualcuno parla pure l’italiano, nel lontano 1944. Ha insegnato nella scuola media, per molti anni negli istituti carcerari. Insieme ad Anna Grazia D’Oria ha dato vita alla casa editrice.

 

La rubrica “Scaffale poesia: editori a confronto” è a cura di  Silvia Rosa

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