CONFINE DONNA – XIII PUNTATA

Qual è stato il confine che ti ha segnata di più, cambiandoti, quello dal quale hai sentito di non poter più fare ritorno?

Il confine per me non ha nulla a che fare con l’Italia, la Francia, o con la Russia – il russo è una lingua che ho amato molto, è il primo amore, ma quel tipo di amore di cui più tardi ci si vergogna quasi, un rapporto strano con questa lingua che ho dimenticato a livello lessicale – mi sono rimaste però tante regole di grammatica, rimasta la scrittura, la lettura… una lingua che potrei resuscitare, volendo… Il confine è stato il mio primo giorno di scuola – l’incontro con la lingua letteraria, colta. Nei primi sei anni di vita, la lingua che parlavo non era un dialetto, ma una parlata – era ben lontana dal romeno colto. Quello è stato il primo confine, la mia prima partenza, lo strappo, il taglio del cordone ombelicale da punto di vista linguistico, la rinascita in un altro mondo, dove tutto quello che sapevo io, non era accettato, tutto quello che credevo fosse vero, era solo una versione del vero – il momento ha coinciso con l’incontro dei miei veri genitori, ero stata lasciata dai nonni subito dopo la mia nascita, avevo conosciuto più tardi i miei, ma non sapevo fossero i miei genitori, sapevo fossero parenti, comunque parenti che non mi piacevano affatto. I grandi sono molto indecisi, credo… quello che era vero fino a un minuto prima, può rivelarsi falso subito dopo, o comunque diverso da prima. I bambini sono più chiari su questo, loro dicono “facciamo che…” e allora non si rimane male alla fine del gioco. Comunque, l’incontro con la lingua romena e lasciare i nonni per andare ad abitare con i miei genitori è stato il primo confine che ho superato, è stata la mia Australia. Penso di essermela cavata decentemente. La verità è che ricordo quel momento come se avessi cominciato a cantare, parlavo come se avessi cantato, ogni parola poteva essere una canzone, da ripetere, da scomporre e ricomporre continuamente, da fare mia… da capire? Poi ho pensato, credo, che non è male avere le proprie partizioni, insomma, avere la musica che più ti si addice, quella che viene da dentro. E ho cominciato a scrivere.

Da Pioggia lontano

Scrivo in un diario di bordo
i nomi di navi
sulle quali ho galleggiato
le acque hanno cancellato dal legno
radici e fango
il plenilunio ha inghiottito l’ago della bussola
in una taverna cerco un equipaggio nuovo di zecca
It’s about business
tra botti vuote di rum
mi faccio strada verso l’africa
alla luce dei fari genovesi
il nonno tira fuori dall’acqua
una scala
e mi indica il cielo
It’s about love

Eliza Macadan (1967) vive a Bucarest e scrive in romeno, francese e soprattutto in italiano. Le sue raccolte di poesia hanno ricevuto vari riconoscimenti in Romania, Francia e Italia (Premio Léon Gabriel Gros 2014 per Au Nord de la Parole e Anestesia delle nevi finalista dei premi Camaiore e Fabriano 2015 sono i più recenti). Le raccolte italiane sono: Frammenti di spazio austero (2001), Paradiso riassunto (2012), Il cane borghese (2013), Anestesia delle nevi (2015), Passi passati (2016), Pioggia lontano (2017), Zamalek, solo andata (2018). Ha tradotto e curato tre volumi di un’antologia di poesia italiana contemporanea, pubblicati in Romania presso l’editore Eikon di Bucarest. Nel 2018 è stata ripubblicata da Ticinum Editore la silloge d’esordio in lingua italiana Frammenti di spazio austero.

 

La rubrica “Confine donna: poesie e storie d’emigrazione” è ideata e curata da Silvia Rosa

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