Studio: varianti d’autore

Sono scalfibile qui. Sono sette anni
indietro. Con ricci estrosi e dei tratti
smussati come le volute
nella schiuma del chai latte.
E sotto e accanto c’è lei; con la gioia
di chi piega un po’ la testa.

Non staccherebbe una volta la matita
se non fosse che una foto, questa,
un pasto digerito male
che l’algoritmo fa aggallare
con le sue buone intenzioni
con le sue violente combinatorie.

Mi squadra nelle linee di Varnelis
spezzate con i bisturi severi
un’altra foto, scattata l’altro ieri.
Hanno uno sbocco somatico,
gli anni mentre nuotano o scorrono
altrove, verso nette verticali.

Chi avrà fatto astrazione,
diga di un volto? Quel che pesa
sulle lenti da intenditore
si chiama entropia; si chiama buonsenso.
E con quello ci amministri
un’oasi come se fosse un regno.

Confronta le due, tentenna,
trentenne si chiede se lo squarcio
lo abbia innaturato o estromesso,
se sia forza la cucitura scomparsa
o solo un legno rattrappito
strusciato dal conflitto che non lo attraversa.

*

Affinità

Un biancore maculato
brulica mosso sull’asfalto
apparecchia il marciapiede
spalanca una festa a chi passa.

Alle liberali fioriture
di un pesco o ciliegio ho pensato…
ma quelle piante da frutto
disertavano il mio dedurre.

Ogni petalo mutò
in verità – in un’aletta
recisa dalla gemella.
E capii. Noi si calpestava

una strage a cielo aperto,
il cimitero rilucente
delle falene più bianche:
le Hypantria Cunea, ho poi letto.

*

Il fuoco di Guy Fawkes

Del falò il bello non sono le infiorescenze del fuoco
ma la legna delle casse da frutta che perde postura,
le fessure a rettangolo un’antimateria che decade
in rombi sempre più rattrappiti. Si trova trasformata

la catasta in un minerale poroso e adesso percorso
da spiritelli crespi, residui del fuoco. Del falò il bello
è anche l’insegna del chiosco resa approssimata
dal tremore dell’aria come da un pennello spesso.

Andrebbe abbracciata questa bassa risoluzione
a mo’ degli Impressionisti o del creatore di PacMan;
e io prontamente lo faccio, con centoquaranta
e trentacique anni di ritardo. Ci sono anche persone,

e formiamo un cordone scuro, un guardiano umile
nonostante le SUV intorno al Recreation Ground.
La secchezza sinuosa del falò ormai calante devia
noi dall’accessorio, accartoccia le sovrastrutture,

estorce una O dalla bocca di chi non avresti detto,
all’export manager con tanto di famiglia al seguito,
offusca la monarchia che in teoria intende celebrare
ché l’ordine lo garantiscono al limite le stufette.

La piramide pende da un fianco e si rovescia,
della pira rimane una pozza di legni convertiti.
Ne siamo investiti senza perdere investimento:
lo sposalizio fu qui, la radunanza che può rovesciare.

*

Birmingham

Coglie un giramento
di testa, e che altro dovrebbe,
a dar precedenza a tutte le forme vaschette
dei pesci, gazebo mobili, venditori che scivolano e non,
tendoni a sghembo con strisce inaffidabili
ex-blu-bianche per crassa sovraesposizione,
le piantano sulla spirale di un parcheggio tagliato in tre
dal sottopassaggio peso massimo senza photoshop,
una macchia sopraelevata è la piazza di Sua Maestà
la tengono a guardia leoni di pietra cartonata
come il più genio degli epigoni deve averli tirati su
lo scultore manata dopo manata
ammesso che la stazione sia
dove indica il dito del passante
che lo tiene nella tasca interna
del cappotto rivoltato perché google maps
non ce la può fare
alla silicon valley avranno visione ma qui si
schiaccia il binario undici
ha un ventaglio direzionale che comanda rispetto
gli altri non meno sbuco fuori siamo al cospetto
del lumacone lucente, l’armadillo sformato del Bull’s Ring
stiamo a Birmingham come
alla flora batterica l’intestino o viceversa
vita di betoniera in cui il grigio si rimesta
senza inventiva e senza clamore
in tutto ciò bel bello
coi tuoi piani regolatori arrivi tu
e i righelli che per quanti ne cali
davanti a immunizzarti gli occhiali
si piegano
giù verso la festa-sbadiglio dell’apparato
forze dell’ordine presto dov’è il centro
formichina furba dove sei
smorta messinscena che brulica
il centro di Brum per favore
anima candida chiedi all’agente –
sotto i suoi piedi sir
ma in realtà intende
che il centro non è mai in testa dove pensi
e mai è dove ti pensi per intero.

*

Luna

Se gli spasimanti ti facessero deserto intorno
sarebbe uguale, sparire loro i loro squilli,
le assillazioni senza linfa sarebbe uguale.
Se zero dev’essere, sottolinei, che non sia
quella somma infantile che mi lusingava,
quel sesso eretto senza investimento
quel sesso e la sua brava riserva di ossigeno
che lo fa trionfare cieco mentre a me toglie l’aria.
Se zero dev’essere, che sia uno zero mio:
come quando mi offro così, per disprezzo.

*

Dan

Marmitta a scoppio inceppata la bocca
conversa con una pera di gommapiuma.
Fonda frequenze ai mortali incomprensibili,
plosive e labiali che hanno casa nel caos – Higuaín,
quattro a due, Napoli goal! slogan benigni
come lacerti di un colare a picco si fan strada
per sostenerlo, e lui vi naviga a piacimento.

Dan, su, riesce a parlargli con dolcezza la madre
e per dolcezza s’intende una grana quasi molata della voce,
un’ondulazione tenuta decentemente a bada
(raschiava impazienza, poco fa, rischiava disperanza).

Imitando della madre e accondiscendenza
e severità, e scandendo bene ciascuna parola,
la sorellina minore gli impartisce il bon-ton,
la sua intelligenza loquace acuisce il divario
nell’ottagono d’ombra dovuto all’ombrellone.
Dan si dà dei buffetti sulla pianta del piede poi
chiama Paolo il fratello con un rauco da rockstar
che non c’è palco o sostanza che non abbia calcato.

Paolo non risponde, quella radiolina è difettosa
e il suo rumore di sottofondo un leggero prurito,
l’ha capito che ingenera cupezza e sacrificio
e scrollate di spalle, e frasi prefrabbricate secche

nella povera corte che per Dan
ha ritagliato un ottagono d’ombra che ne condanna
e protegge l’aristocrazia, partito di minoranza,
la pelle che dà scandalo per quanto è bianca.

 

Davide Castiglione (1985) è docente all’università di Vilnius, Lituania, dopo un dottorato in Inghilterra. Ha pubblicato saggi su riviste quali «Strumenti critici» e «Language and Literature», e di recente lo studio monografico Difficulty in Poetry: a Stylistic Model (Palgrave 2018). I suoi interventi militanti sulla poesia contemporanea italiana sono raccolti sul suo sito (davidecastiglionecritica.wordpress.com). Come poeta, ha pubblicato Per ogni frazione (Campanotto, 2010) e Non di fortuna (Italic Pequod 2017); con alcuni inediti è stato di recente finalista al Montano (2018) e vincitore al Premio Renato Giorgi (2018).

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