Recensione di Franca Alaimo

 

(…) e essere/ né immagine né incerta solitudine inadatta/ a una qualche tentazione poi in qualche/ modo arrivare vicino con vicino il timore/ di ferirsi senza nemmeno assenti scorgersi: questi versi che suggellano l’ultimo testo della raccolta mi hanno consegnato, dopo varie letture, la chiave interpretativa della raccolta “il rumore del latte” di Daìta Martinez. Sottolinearlo mi preme molto perché la poesia della Martinez si sottrae, e per pudore e per attitudine al nascondimento, ad un’effusione diretta ed è spesso assai complicato trarre fuori da quel suo intricato gomitolo di emozioni il capo del filo che possa, infine, srotolarlo ordinatamente. La scrittura della poeta palermitana si colloca, infatti, al di fuori del panorama letterario nazionale e spesso i suoi critici hanno parlato, e giustamente, di sperimentalismo; e tuttavia bisogna avvertire il lettore che esso non ha nulla a che vedere con quello degli altri scrittori che l’hanno praticato o ancora lo praticano. Lo sperimentalismo della Martinez non obbedisce, infatti, ad alcuna volontà di innovazione, o rivolta di carattere, diciamo così, socio-politico (sebbene la trasgressione le appartenga), e sembra piuttosto proporsi come la veste formale di un personalissimo ritmo interiore.
Tornando ai versi citati all’inizio, in cui si parla di “incerta solitudine inadatta” e di “timore di ferirsi”, è necessario, per una migliore comprensione dei testi, metterli in relazione con il titolo della raccolta, “il rumore del latte”, il quale anticipa significativamente quelle posture intime, metaforizzando pienamente i nuclei tematici che la sostanziano. Il rumore del latte, appena udibile, rimane in bilico fra suono e silenzio; così come sosta fra il buio e il chiarore l’alba, più volte rievocata. Allo stesso modo l’autrice abita quel limen fra vita e sogno, fra silenzio e parola e per imperiosa vocazione poetica e per umanissimo timore di ferirsi, di stendersi sulla pagina in tutta la sua nudità palpitante. Dunque praticare la poesia si fa per l’autrice palermitana strumento insieme di espressione e di sottrazione, perfettamente corrispondente alla struttura dei versi, in cui i sintagmi si susseguono come lacerti visivi tra pause di silenzio, vuoti di senso, arresti improvvisi e cadute; e le immagini (visi, gesti, oggetti, sentimenti), nel momento stesso in cui accadono realmente, si inabissano nella psiche dell’autrice, dalla quale riemergono riconoscibili eppure già divenute altre. E quello sperimentalismo della Martinez a cui si accennava, si traduce, se si porge attentamente l’orecchio alla musica insistente, quasi martellante delle assonanze e consonanze e rime e giochi di parola, in una lallazione che, incantando il lettore, evoca la prima età della vita, gli archetipi paralleli della culla e del grembo materno.
A questo punto bisogna puntualizzare un’altra caratteristica di questa scrittura in cui la lingua e il luogo in cui essa si origina si fanno un tutt’uno. La scena in cui accade il teatro mentale della Martinez è, infatti, in questa come nelle raccolte precedenti la città nativa di Palermo, più esattamente il suo cuore antico di vicoli e piazze e mercati, ovvero la sua infanzia storica che torna a vivere nel musicalissimo dialetto spesso alternato con la lingua italiana. In questa raccolta il dialetto, però, sparisce, ma solo apparentemente, come rileva con acutezza il prefatore della silloge Lucio Zinna, che, rintracciando in alcuni versi quali: quegli anni che il braciere/profumava di carezze e l’olio buono nei/boccali con una fiaba parlata di biscotti, “certe atmosfere anche di tempi andati, echi della civiltà contadina e sentori casalingo-campestri”, le interpreta come “il corrispettivo, sul piano linguistico, del ricorso alla dialettalità, al quale l’autrice fa pregnante riferimento nell’iter della sua produzione poetica, allorché ne ravvisi l’opportunità (preferendone – e gliene rendiamo merito – termini e locuzioni insostituibili a inutili anglicismi)”. Quasi in contrasto con la soavità del discorso poetico (soave soavità di me) si spandono in tutta la loro vitalità e concretezza sensuale gli odori e i colori e le forme della natura e del paesaggio siciliani: la zagara, il sangue dei limoni, gli aranceti, i fichidindia, le more, partecipi dei micro-eventi narrati, testimoni di un vivere raccolto all’interno di una precisa appartenenza, spesso figure di profonde emozioni. L’infanzia della città come della lingua ancora una volta rimandano al candore del latte al suo lievissimo rumore archetipico. Il latte e l’alba, infatti, con il loro candore possono leggersi come simboli d’innocenza e d’infanzia. Il latte è il cibo della primissima età dell’uomo, il nutrimento silenzioso che passa dalla madre al bimbo, così come la lingua antichissima, la lingua albale allatta la poesia dell’autrice (allattare l’alba un momento prima che/sia alba e leggerti affacciata dal viso).
Infine, questa raccolta è anche un canzoniere d’amore. Quell’atto del cadere, a cui prima si accennava e più volte richiamato nei testi, o con una tenera levità che ha il peso di una piuma d’angelo e ricorda l’affondamento nel buio notturno o nella sostanza rarefatta dei sogni e dei ricordi lontani, allude anche alla gioia (sebbene sorvegliata e discreta) dell’abbandono amoroso, corpo su corpo. È necessario, per definire questo tema, riunire insieme gli sparsi frammenti di una storia che si infratta timidamente usando con abile delicatezza le parole quali veli stesi sui baci, sulla nudità dei corpi, sulle carezze, sui tepori intimi, su certi gesti improvvisamente intimi: ma la sera s’innamora bianca si credeva una/ zingara sulle tue gambe spersa. All’enigmaticità del significato dei versi, alla spezzatura della sintassi, all’ambiguità della coordinazione soggetto-attributo, fa da contrappeso la razionale disposizione grafica dei significanti, sempre tipograficamente giustificati, la pagina bianca a sinistra in cui sta in fondo, come una goccia già versata di latte, il titolo del testo successivo. L’ossessiva preferenza dell’autrice per i numeri dispari, mentre ha indicato quest’ultimi (nella pagina a destra), ha taciuto quelli pari, lasciandoli all’ovvia deduzione dei lettori. E tuttavia, anche in questo caso, la gabbia della razionalità ha una funzione diversa da quella apparente. Serve a controllare la materia poetica, ad arginare, a dare rifugio e casa a quella, e, di conseguenza, al proprio io.  È, insomma un altro strumento di difesa.
Si compie così una sorta di rito sacrificale in cui la goccia di latte caduta in fondo ricorda tutto ciò che di minimo, ma di puro e delicato, scompare giorno dopo giorno aggredito dai rumore e dalle ridondanze della vita stessa. L’infanzia e la sua innocenza non possono essere trattenute per sempre, ché, poco a poco la brocca colma di latte si svuota, goccia dopo goccia. Dell’infanzia, insomma, non resta che un rumore lieve, un ricordo di luce e di gioia. Ma, in fin dei conti, di cos’altro parla la poesia, che cos’altro vuole se non ritornare a quell’interezza dell’essere, a quella totalità conoscitiva che i bambini possiedono naturalmente?

 

Da Il rumore del latte (Spazio Cultura Edizioni, 2019)

sospesa

avrebbero stormito un silenzio avverso
confondersi dagli sguardi il vino bianco
mesce il mare uno sfioro l’alba sospesa
ai chicchi si scrive di peccato lo smalto
sul lenzuolo quegli anni che il braciere
profumava di carezze e l’olio buono nei
boccali con una fiaba parlata di biscotti

*

bambina

spenta la finestra gerani rotonde macerie
una volta ricorda la bambina ha tagliato
il pane di pezza era il cestino una scusa
le trecce arrossate una bocca poggiata
di sola ninna nanna il sangue dei limoni

*

controvolto

dietro al bancone archivia controvolto
lieve la palpebra riflessa conflessa un
solo aranceto non s’era in buona fede
per l’altro l’oltraggio che il vestito svia
dalla memoria al seno piccolo piccolo
ingranaggio i ricordi lo stesso modo a
modo s’insegna melanconico stupore

 

Daìta Martinez è nata a Palermo. Segnalata e premiata in diversi concorsi di poesia, ha pubblicato in antologica con LietoColle, La Vita Felice, Mondadori, Akkuaria, Fusibilialibri, Cfr Edizioni e Il Soffio. Dietro l’una è la sua opera prima, segnalata al Premio Nazionale Maria Marino. Autrice dei testi in video Kalavria 2009, nel 2015 ha vinto il primo premio per la sezione dialettale del Concorso “Città di Chiaramonte Gulfi”. La bottega di Via Alloro è il suo ultimo lavoro poetico. Nel 2018 è stata finalista – sezione opere inedite in lingua siciliana della 44° edizione del Premio Internazionale di Poesia Città di Marineo. È stata inserita nell’Almanaccco di poesia italiana al femminile Secolo Donna 2018, Edizioni Macabor.

Franca Alaimo è nata nel 1947. Vive a Palermo. Esordisce come poeta nel 1989 con Impossibile Luna a cui sono seguite altre diciassette sillogi, quattro e-book editi con La Recherche, e una pubblicazione con PulcinoElefante. Ha scritto saggi sugli autori contemporanei: D. Cara, T. Romano, L. Luisi, F. Loi, G. Rescigno. È presente in numerosi volumi di Storia della Letteratura italiana, e in InsulariI. Romanzo della letteratura siciliana di Stefano Lanuzza; in diverse antologie (tra cui: Newton Compton, Aragno, LietoColle, Laboratorio delle Arti; Giuliano Ladolfi Editore) e in riviste quali Poesia (dove è stata presentata da M. Bettarini e da M. G. Calandrone), Anterem, Italian Poetry Review, Bomba carta e molte altre. Ha tradotto dall’inglese due brevi sillogi del poeta irlandese Peter Russell. È presente sul sito Italian Poetry e in quello internazionale di Sabido Sanchez. Alcuni suoi testi sono stati tradotti in spagnolo, inglese e tedesco. Fa parte del team redazionale della rivista on-line La Recherche. Si occupa anche di critica letteraria, recensendo opere di autori contemporanei. Le sue più recenti pubblicazioni (2018), edite da Giulinao Ladolfi, sono: la raccolta poetica Elogi e l’antologia Il corpo, l’eros, che riunisce i testi di oltre sessantotto poete italiane e straniere, alla quale ha partecipato in veste di curatrice e di autrice.

 

L’immagine è un particolare dell’opera in copertina, “ritratto”, carboncino di Franca Alaimo

 

 

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