Dalla nota dell’autore

Il nome che ti manca raccoglie un’ampia scelta (‘ampia’ rispetto a un corpus virtuosamente esiguo) delle poesie che ho scritto, e in molti casi pubblicato, tra il 2005 e il 2015. Diversi testi, precedenti e successivi al periodo indicato, sono rimasti fuori da questo libro in quanto non rispondenti alla sua cifra stilistica, o al suo specifico impianto organico. Non si tratta dunque di una semplice raccolta di testi già pubblicati, quanto piuttosto di un’opera autonoma che nasce dalla ricollocazione degli stessi testi, in una nuova struttura, peraltro rafforzata da alcune brevissime prosette liriche inedite, scritte appositamente per “confezionare” e ‘pre-disporre’, in una sorta di ‘racconto’ poetico, gran parte del mio percorso di scrittura. Nel perseguire tale intento ‘rifondativo’ e ‘coesivo’, sono intervenuto sulla punteggiatura di alcune parti del libro, ma ho lasciato immutati quasi integralmente i testi originali e il disegno dei libretti pubblicati, apportando solo lievissime modifiche. In effetti ho ridefinito, eludendo il criterio cronologico, la funzione dei testi, senza alterarne la sostanza lirica, ma facendone scaturire nuove implicazioni, e un nuovo senso che risulta più vicino alla mia attuale stagione creativa, diversa dalla ‘maniera’ neoermetica degli esordi peraltro mai rinnegata.

 

Dalla postfazione di Carlo Bordini

Quello che colpisce in queste poesie di Ugo Magnanti è la loro singolare dignità. Che è anche della persona. La tragedia è sempre dietro l’angolo, e sembra che Magnanti se ne faccia una colpa. C’è qualcosa di misterioso e anche di impassibile in questa poesia. Fa pensare a certi trionfi della morte, ad alcune danze macabre, a certa poesia medievale, in versetti, a volte, che sono tra il religioso e il macabro. […] C’è l’idea di un giudizio universale fatto di ossimori: chi ha fatto del male sarà consolato, chi l’ha subito è già felice. È difficile trovare ordine in questo quadro sempre più osceno (osceno nel senso che mostra ciò che non si può mostrare) […]. Un caos pieno di figure. Una morte violenta è presente dappertutto. In questo si inserisce la speranza e la preghiera e anche, ogni tanto, l’osceno che appare come uno sberleffo. Una poesia che è una continua ripetizione del caos e del caso. Un caos insensato raccontato con una impassibile freddezza. Qualcosa che fa pensare a Bosch, il tutto inframmezzato di momenti di lirismo che negano se stessi. […]

 

Da Il nome che ti manca (PeQuod edizioni, 2019)

Le finestre verso il porto, inchiodate
con tavole di legno; la vernice
muta, sgretolata, il flusso dei clienti
che cessa a un tratto nel vuoto del bar.

Dallo specchio spii qualcosa per strada,
un riflesso che si apre, e intanto strangoli
il bicchiere di crodino: sei il cecchino
che scherza con la morte dei passanti.

*

Parlo della creta
e di come è fatto l’uomo
a mezzogiorno
dall’altoparlante
nell’alveo della chiesa
suggerendo un regno

dalle ceneri
rivivono
corpi infiniti

sugli uomini
non sbarca più
la notte
di tutti i torti

fatti a dio
oppure al prossimo
verrà consolato
chi quei torti ha commesso

chi invece li ha subiti
sarà già felice
senza una ragione.

*

A un certo punto
se si adorano le fiamme
è per inerzia, se si allunga
l’orecchio all’uragano
come se fosse difficile
che qualcosa là fuori
ne prepari uno senza
nemmeno scagliarlo
in un giorno leggendario.
Per tutta questa attesa
la mia faccia è la comoda
canzone che ripete
quanto sia incredibile
morire, perché in fondo
non è detto che l’assurdo
debba riguardarmi,
e che qualcosa infine
non mi sveli il gioco.
Allora dentro gli occhi,
sibilate ancora a lungo
giorni di luce, ditemi che
non è vero, che ancora
la mia fame non è estinta,
e che immorale ancora
mi rimane a fianco.

*

Ho capito che bevi
il tuo bicchiere matto
perché una striscia
di sole ti attraversi
ancora, e sia chiara
e antica mentre giuri
che sai cos’è la vita.
Sei quel ragazzo diafano
su cui stormivano le
foglie, venuto come
me e come me passato,
sogno dopo sogno
sfuggito dalla mano.
Non sai risuscitare
le tue parole giovani
e tu stesso non credi
a ciò che vai dicendo,
seppure la mandibola
che parla, da tempo
ha già imparato l’arte.
Ci siamo svegliati in un
agosto da spartire, ma
nessuno di noi due l’ha
accarezzato con la giusta
ferocia che si meritava.

*

Come se il cortile ti incoronasse
ancora, con certe sue risonanze
nazionali, finite dietro al prato,
tu vivi sul medesimo emisfero
di linfa, di foglie, di strade e albori.

Perché oggi è il merlo, l’uccello insensato
che ti spinge avanti, e l’albero ruotante
è invece il platano, incendiato solo
un po’, dal mito, e molto, dalla storia,
da un vento nuovo ma ancora inattuale.

*

L’uomo si è fatto da solo, dal cane
spira un’aria familiare, la pianta
è germogliata, la forza del vento
riempie altre cose, ma non apre tutto;
ma non sempre si comprende il calore
di qualche giovane sorella, in giro
per la questua, su una macchina ignava.

 

Ugo Magnanti (1964) ha pubblicato diverse opere di poesia, tra le quali, più recentemente, il poemetto in ‘stanze’ L’edificio fermo, con prefazione di Antonio Veneziani e una nota di Cristina Annino, FusibiliaLibri, 2015, e la plaquette Ciclocentauri, con tavole di Gian Ruggero Manzoni, FusibiliaLibri, 2017. Fra le curatele Quanto non sta nel fiato, tutte le poesie della poetessa serba Duška Vrhovac, prefazione di Ennio Cavalli, FusibiliaLibri, 2015; Sogni di terre lontane, di Gabriele D’Annunzio, prefazione di Pietro Gibellini, Scoprirenettuno, 2010. Fra le tante presenze a manifestazioni di poesia, nel 2012 ha partecipato al 49° “Festival internazionale degli scrittori di Belgrado”. Ha ideato e diretto numerosi eventi letterari e ‘azioni poetiche’ in varie città italiane, con centinaia di presentazioni, incontri, rassegne, letture. Nel 2010 ha ideato e diretto “Nettuno Fiera di Poesia”: poeti, libri di poesia, piccoli editori nel Lazio. Lavora come insegnante di materie letterarie in un istituto superiore.

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