Dalla prefazione di Marco Ercolani

Leggere questo libro è leggere un doppio libro: una cantica spirituale, di stupefatta innocenza, e un’incursione intima nelle tenebre del corpo. […] Si intravede, si intrasente l’amore per la morte, per la fine; ma anche il desiderio di una nuova immortalità, di un’acqua fresca che purifichi. Il libro è straziato, tagliato da questa contraddizione. La sua purezza è anche un osceno dire oltre i limiti, ma in questo dire impudico rifulge l’estremo pudore di una confessione privata, rivolta solo a chi legge, come in un dialogo intimo autorelettore. Marià non sopporta osservatori neutri o distratti. Lui sa che scrivere è questione di vita o di morte. E, se la poesia non salva la vita la traghetta verso altri lidi, dove si annida la fine oscura o la nascita di un nuovo sole. […] Questa poesia frequenta solo forme minimali e frammenti brevi, come se fosse letteralmente impossibile al respiro poetico durare più di un angolo di pagina. […] Tutto il libro è percorso da un doppio movimento: di ascesa verso la speranza («Essere un non peso / l’altrove, la febbre / buona lacrima / precisa stella») e di disperata descrizione di un disfacimento («I denti che cadono / ti cambiano la voce / ché i tossici non li lavano / le tante volte che uno vomita»). Marià non offre alternative al lettore: lo obbliga a percorre un viaggio dove la morte sempre invocata si trasforma nella possibilità di una resurrezione […]. Tutto il libro è la storia di una violenza che non riesce a redimersi. Lo sguardo del poeta, bambino che osserva il suo dolore, sembra magneticamente attratto da quel dolore, come se proprio non si riuscisse a voltare la testa, a fuggire finalmente via. Occorre, sempre e ancora, vedere. La scrittura appare una forma di espiazionerappresentazione, in cui la vittima è bloccata nelle immagini della sua pena, e talvolta non si comprende se, in una sorta di ipnosi dostoevskiana, lei stessa alla fine non ami con turbamento profondo la violenza che l’ha marchiata, non la riconosca come parte integrante di sé. I figli dei cani non è un libro di poesia: è la testimonianza di un superstite e la vittoria di un vinto che non si rassegna a tacere. Marià non chiude, con questo libro, il percorso già iniziato, ma lo articola in una serie di sequenze che non pacificano e non concludono, ma che tagliano il corpo con trafitture di ricordi o lo consolano con teneri gesti di pietà. […] Anche l’angoscia che pervade il lettore di fronte a scene in cui Marià dice quanto di solito per pudore si tace, è un’angoscia che si colma di un irredimibile amore, sospeso fra sacrificio e speranza, un amore che trasfigura ogni violenza attraverso le parole che crudelmente la evocano, come se nominare il rimosso fosse anche un modo per tornare innocenti, per ri-conoscere il perdono, la dolcezza, l’oblio.

 

Da I figli dei cani (Puntoacapo editrice, 2019)

 

Mamma non umiliarti con le guardie
non giurare loro di non vedermi da giorni
né di non avere idea di dove sia,
non raccontargli della tossicodipendenza
del Sert, che sono scappato dalla comunità,
tanto mi sai a Carignano
ad afferrare i manici di una borsa
il tirarli così forte da far cadere
e trascinare a terra
una donna che avrà i tuoi anni;
che penso al frigorifero
l’anima della casa
ai nipoti che lo aprono
al loro sorriso
alle bibite
quel recinto di luce:
eroina che altro non ti chiedo
iniziami alla pietà,
allo sguardo dei bambini
fratelli dei cani.

*

Che non è mai domani
che non ho diritto io figlio
di immaginarmi meglio o altro
da mio padre manovale,
la sua gentile sporcizia
lui che mi torturava con gentilezza
lui la minaccia continua di uccidermi
se avessi parlato a qualcuno;
è guardare la vita
ad altezza di cane:
io del nulla incarnazione
prima morte
ultima lezione.

*

Capisci che te ne stai andando
dagli sguardi che si abbassano
l’oro che hanno addosso le volontarie della Caritas
quello che mostrano orgogliose
nel darti la tessera per il pacco alimentare:
Marco che riconoscere chi ti è amico è la prima scienza
dimmela che è la cosa giusta
scavarmi nido crepaccio
al canto del ferro,
il cadavere girarmi
nella neve pozzanghera,
essere finalmente
il labbro ferito
la voce dell’ acqua.

*

Ubriaco vuole ancora bere
al rifiuto tira fuori la lama
che non ricordo manco tutte le volte che è successo;
violenza privata, minaccia, porto ingiustificato d’armi
li so tutti i reati, il suo stato confusionale
quando tornava
ed erano pugni e calci
o lo sbagliare il letto
prendermi al posto di mamma
farmi la sua donna:
è da stringere senza mani
la creatura che ti spinge
da dietro il petto,
in un bene da mancare il fiato
zampa di cane
chiamarti le dita
dirti di un figlio
l’amore per suo padre.

*

Dopo averti minacciata a morte
il pugno contro il vetro
la credenza i regali da sposa,
ti prego come se fosse latte
mamma dammi il seno
d’eroina la mia dose.

*

Riattivarti il contatore
dismesso per morosità
perché tu abbia tutto
la televisione, la lavatrice.
Ricordarmi così, che parliamo
il mio modo di girare il caffè
con lo zucchero che resta sempre sul fondo:
mamma perdonami
che è l’ultima volta che te lo chiedo:
l’infranto somigliarti,
che non è il cuore
il sesso del mio seno.

*

Giustizia riparativa la chiamano
quella per i minori sottoposti
ai provvedimenti penali,
darsi all’utilità sociale
al parlare con la vittima
che se potessi ti farei
più male ancora;
che credo solo a te
riparami col gioco
di cosa sembrano le nuvole:
che di me non ci sono angoli inviolati,
in un ballo di code
attaccami l’amore
dei figli dei cani.

*

Ricuci il lutto
il silenzio dio
il farmi ogni otto ore.
Per noi bambini
era il letto grande
dove saltare,
bianchi di sangue
fingerci fiori,
lacrime di bellezza
a partorire l’increato.

 

 

Enrico Marià è nato nel 1977 a Novi Ligure (AL), dove risiede. È redattore di puntoacapo Editrice e figura nello staff di CollezioneLetteraria di puntoacapo. Ha pubblicato le raccolte: Enrico Marià (Annexia 2004); Rivendicando disperatamente la vita (Annexia 2006); Precipita con me (Editrice Zona 2007); Fino a qui (puntoacapo Editrice 2010 con prefazione di Luca Ariano, II ristampa); Cosa resta (puntoacapo Editrice 2015, prefazione di Mauro Ferrari). Ha partecipato alle antologie: Genovainedita (Galata 2007); Atti della II Fiera dell’Editoria di Poesia. Pozzolo Formigaro giugno 2008 (puntoacapo Editrice 2008); Dolce Natura, almeno tu non menti (Editrice Zona 2009); “La giusta collera” (Edizioni CFR 2011); “Oltre le nazioni” (Edizioni CFR 2011); Poesia in Piemonte e Valle d’Aosta (puntoacapo Editrice 2012); Il ricatto del pane (Edizioni CFR 2013); Poeti di Corrente (Le Voci della Luna 2013); Cronache da Rapa Nui (Edizioni CFR 2013); La festa e la protesta. Atti della XVI Biennale di Poesia di Alessandria (puntoacapo Editrice 2013); Poesia in provincia di Alessandria (puntoacapo Editrice 2014); Comunità nomadi (deComporre Edizioni 2014); Bukowski. Inediti di ordinaria follia (Giovane Holden Edizioni 2014); Ad limina mentis (deComporre Edizioni 2014). Nel 2012 ha partecipato all’e-book scaricabile liberamente e gratuitamente La droga: un’ispirazione? O l’ispirazione: una droga?.  Suoi testi compaiono su riviste e web alla stregua delle recensioni delle sue opere. È tradotto in lingua inglese e spagnola e ha ottenuto ottimi risultati in prestigiosi Premi letterari. È inserito nel Fiore della Poesia Italiana (puntoacapo 2016).

 

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