14 dicembre 2016

Universo di possibili
il cerchio di atmosfera segna il confine
/ mestiere/cornice/punti/dunque/qui
Allora una fata stacchi
un numero/orizzontale/tu
una Nascita/nel/del/ Tutto

 

In un mondo in continua e progressiva disgregrazione solo gli alfabeti restano intatti – questo sembra suggerirci, a partire già dal titolo, l’opera prima di Francesca Fiorentin.

Sono gli alfabeti, e quindi le parole che da quegli alfabeti si originano, ad essere àncora di salvezza, sicuro approdo, mano tesa nella caoticità dell’attorno. Le poesie che compongono il libro sono frutto di un’osservazione maturata negli anni. L’autrice ha raccolto testi che dal 2011 arrivano sino al 2017 cercando di fotografare, dal suo angolo visuale, un’evoluzione del mondo e degli affetti circostanti.

Tutte le poesie sono prive di titolo, ad identificarle solo una data. Qualche poesia è accompagnata da una dedica (ad Amelia Rosselli, a Camus, a Peguy). L’io lirico è presente ma si fa regista silenzioso, non ingombrando mai la scena con le sue pretese narcisistiche. I testi non vengono presentati rispettando un ordine temporale, le poesie più risalenti occupano il corpo centrale della raccolta mentre le più recenti le posizioni di apertura e chiusura. L’autrice sembra demandare al lettore il compito di riordinarle per dare loro compiutezza e definizione.

Ad essere regina incontrastata, all’interno di questo diario di bordo sui generis, è la parola ossia quel taglio rapido rimarginato in brivido (come si legge nel componimento 2 dicembre 2016, pag. 22), a cui viene affidata una funzione riparatrice. Le parole sono vendicatrici di giustizia cosmica – così le definisce l’autrice, sia pur con un punto interrogativo finale (come si legge nel componimento gennaio 2016 a pag. 16).

Paolo Lago, che del libro ha curato la prefazione, osserva: “la poesia di Francesca Fiorentin è alla continua ricerca della bellezza, dell’arte, della poesia stessa. I suoi sono versi militanti per la difesa e la custodia della poesia. L’autrice dispiega una galleria di immagini contemporaneamente delicate e potenti, tessute per mezzo di parole che si ergono come piccoli e cristallini baluardi contro la volgarità di un quotidiano annichilito da un arido e inconsapevole ripetersi di gesti e situazioni. È la quotidianità irretita nei meccanismi di un potere che pretende di governare le nostre vite per mezzo di una deformante lente economica e ‘pratica’, fatta di vuoti doveri imposti dall’alto, abitudini, routine lavorative. Tanti versi fragili e forti sono ora pronti per sfidare una realtà quotidiana afflitta, parafrasando Pasolini, dalla «mancanza di richiesta di poesia». L’immagine della poesia, nei versi di Francesca Fiorentin, è continuamente ferita da un potere più forte di lei, un potere cieco e materiale ma anche vuoto e inetto, istupidito dal suo arido cinismo. Se fuori, in un mondo attonito e inaridito, nell’«egro affare dei commerci / sulla scia di Plutone / le lettere diventano codici a barre, quotazioni», la poesia si può incontrare nella propria stanza che è anche una stanza interiore, una memoria vitale, un sussulto, una voce, dove finalmente «tocco alfabeti intatti, e mi sento viva». La poesia è sinonimo di libertà e, insieme a lei, lo sono anche l’arte, la letteratura, varie forme della bellezza di un mondo da riscoprire e da far rinascere. La poesia è fuga verso la libertà ma anche desiderio di lotta per una liberazione contro una diffusa «colonia penale» che ci sovrasta e imprigiona la poesia stessa […]. Lasciamoci avvolgere, perciò, dal magico canto di Francesca Fiorentin che alto si leva sul grigiore del quotidiano. I suoi versi, anche quando potrebbero sembrare semplici haiku (e di essi posseggono la delicatezza e la leggerezza), sono potenti dardi scagliati contro l’ottusità e il cinismo di qualsiasi potere: una lotta inesausta per la bellezza e la libertà”.
Lasciamoci avvolgere.

da Gli alfabeti intatti (Arcipelago itaca 2017)
*
Gennaio 2016
Le lettere in fondo alla borsa, chiuse,
aspetto di non sapere
verso acqua incolore, inodore dalla brocca
ai fiori e sulla mia testa
già arida di addii
incolore sia la vita – o almeno – senza i rossi.
*
Gennaio 2016
Certe poesie hanno sottofondi ad alto volume
Martelli pneumatici
cigolii, catene al collo
Tende il muscolo la nostra colonia penale
una litania si leva a lamento, ma stride come la sua
[macchina
No del mio respiro a questa macchina
Sono i tacchi del padrone
(va a caccia)
sono i conigli che tremano, sono i lavori operai
Tornano,
nella matita del poeta, tornano.
*
2 dicembre 2016
(Narra) le parole che l’onda di suono non ripete
(Le parole) disintagliate dalle righe
(Dimentica) la fucina del fabbro, timbra fuoco e trae
[durezza
(Narra) quelle parole
taglio rapido rimarginato in brivido.
*
Luglio 2014
Una risposta formale chiude
ermeticamente l’odore che proviene
dalle onde di corpuscoli di pollini infestanti,
la vicinanza fisica indesiderata.
*
Ottobre 2014
Uscire da un linguaggio spigoloso
camminare il regno bosco
il falco canta nuvole oblique
gli occhi chiusi durante le impennate.
*
27 agosto 2011
Per dodici anni
al mio lento assassinio ho assistito senza saperlo
un sotterraneo di orrore era la vita
il mondo una mandria a caccia di gazzelle.
Barbari giorni, io bevevo in un calice l’azzerata umanità
precipitata in abiurata speranza.
*
31 gennaio 2017
Tu, di mutare stagione o genere,
bulbo di gennaio, anch’io, attraversando
l’aria di piombo e di cortine, di mutare
secolo o genere,
la serra fredda è, e buia –
ho desiderato.
*
24 febbraio 2017
I giusti
tutto il giorno battono
lo scoccare dell’ora giusta
ed è per noi sempre ritardo
hanno trombe che svegliano i santi fausti
dei paradisi, i savi immacolati
dai silenzi ignavi; in viso le lancette
puntate verso strade decumane
seminate di fabbriche e di cantieri
dove gli anti luoghi comuni sono in corso di costruzione.
Pochi, remoti i luoghi salvati, a noi non ne rimangono.
Spinato il luogo, antilopi dentro,
e formiche sotto terra, schiave formiche.
*
2 aprile 2017
Sfilai ai raggi di luce ogni maglia, quale veste dovevano
a noi poveri? Nudi, chiamarono ciascuno di noi col
nome di battesimo, “buon giorno” aggiunsero…: i
saluti e insieme, la leggibilità del mondo.
*
11 marzo 2017
Lame, affondate attraverso le mille righe
di rosse ragioni, le crude verità.
Annichilite – i buoi cuori –
e poi ritiratevi senza colpa.

Francesca Fiorentin si è laureata in Filosofia all’Università Statale di Milano e ha conseguito un master in Perfezionamento delle discipline filosofiche presso l’Università Bocconi. Una sua silloge poetica è apparsa su Nazione Indiana. Ha pubblicato diversi articoli e racconti sul blog letterario Il Pickwick col quale collabora. Il poema Il Don Giovanni, scritto con la poetessa Francesca Tuscano, è apparso sul sito Necrologika.it. I suoi versi sono stati ospitati in diverse riviste e lit-blog letterari. Gli alfabeti intatti è la sua opera prima.

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