Poesia del nostro tempo presenta l’Archivio virtuale de L’Italia a pezzi. Antologia dei poeti italiani in dialetto e in altre lingue minoritarie.
Giovanni Tuzet è nato a Ferrara nel 1972 e vive fra Aquileia (Udine) e Milano. Laureato in Giurisprudenza all’Università di Ferrara, insegna Filosofia del diritto presso l’Università Bocconi di Milano. Ha pubblicato le raccolte di poesia 365-primo (Liberty House, Ferrara 1999); 365-secondo (Liberty House, Ferrara 2000); 365-terzo (Raffaelli, Rimini 2010); Male lingue (Circolo culturale Menocchio, Pordenone 2009); Trazioni (Christophe Chomant Éditeur, Rouen 2010). Sue poesie sono apparse in numerose riviste e antologie. È autore, inoltre, della raccolta di saggi A regola d’arte (Este Edition, Ferrara 2007); ha curato il volume Simboli in versi (Editreg, Trieste 2004) e il numero Poesia e conoscenza della rivista «Atelier» (2008).
 
da Male lingue
cuant che tu duarmis chì
tu trimulis in bande
gentile. ta la linfa sale un tremor
che mi plas di sintî
pai dês indurmidîs
tu sês come un telegrafo:
pa la gnot luminose tu mi dîs
dal no sun la durade,
tai verbis de l’amôr
sonambulo e lunare
quando dormi qui / dai un fremito di fianco / gentile. un tremore sale nella linfa / che mi piace sentire / dalle dita addormentate // tu sei come un telegrafo: / per la notte mi dici luminosa / del sogno la durata, / nei verbi dell’amore / sonnambulo e lunare
in un parcut près di cjasa
hay un tot di bistiutis,
in partìcular i squirrels
e però t’un colôr tal pêl
diferent dal nustri: a aquilee
son d’anfore mentri achì
son grîs e di tiara, di codòn
puntât in arint e tal body
somean a topùs; ma la muse
jè bunona e bonons a son i vôi
e zuin e saltin come i frus –
udemi,
cum’è che si clamin in furlan?
in un parchetto vicino casa / ci sono un sacco di bestiole, / gli scoiattoli in particolare / ma d’un colore di pelo / diverso dal nostro: ad aquileia / sono d’anfora mentre qui / grigio- terra e di grossa coda / puntata in argento, che nel corpo / somigliano a topetti; ma la faccia / è così buona e tanto buoni gli occhi / e giocano e saltano come i bimbi – / aiutatemi, / com’è che si chiamano in furlano?
tun chino ristorante di manhattan
mi contave denis di cuant che in nâf
lavin in arabia a portâgi autos
e tapês persians filâs a milan
e di cuanche l’è nassût il filiolo:
quella volta no erin celulârs
e como la moglie era in premura
e il piçul l’è rivât massa di corsa,
denis no’l crodeva, ni s’impensava
di sedi pari costeggiando creta.
fin che giunse un telegramma, al quale
rimava: “contenton. che sedi un”
in un ristorante cinese di manhattan / denis mi raccontava di quando in nave / andavano in arabia a portare auto / e tappeti persiani filati a milano // e di quando è nato il figliolo: / allora non esistevano cellulari / e come la moglie aveva fretta / e il piccolo arrivò di corsa, // denis non credeva né s’immaginava / di essere padre costeggiando creta. / fin che giunse un telegramma, al quale / rimava: “molto contento. che sia uno”

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