La poesia è un niente/
Una sciocchezza/
Il cassonetto della raccolta differenziata/
Una fossa comune/
Il terriccio per le orchidee […]

 

Mimì Burzo coltiva da anni, lontana da ogni clamore mediatico, l’amore per il verso libero.
Detesta i festival, i premi, gli appuntamenti con le pacche sulle spalle e i sorrisi di circostanza, i rapporti di plastica e quelli di convenienza. Scrive da sempre e ha elaborato la sua idea di poetica a partire da due diverse prospettive: i rapporti tra letteratura e poesia e quelli tra neuroscienze cognitive e disabilità.

Per lei, la poesia può dirsi autentica e vera solo quando riesce a slacciarsi dal verso giungendo alla decongestione dell’Io attraverso un lungo e non semplice processo di destrutturazione. Coerentemente con queste sue premesse di deragliamento e registrazione del disagio, i suoi testi hanno la forma di vere e proprie incursioni su spaccati di realtà privi di ogni abbellimento borghese. Perché il dolore non è che una delle molte facce della bellezza soffocata.

A seguire, una selezione di suoi testi. Tutta la produzione poetica dell’autrice è a oggi inedita.

*
Senza titolo
Piccola raccolta per anime in pena

1
Dietro le sottane della città stretta fredda fra un cielo crepuscolare e il suono della pioggia con la mia passione ti offro la forza per respingermi. Poi. In quel poi attuale, nel tempo in cui il silenzio torna a casa.
Il frignare fraudolento dei bambini è di quei giorni tristi di feste tristi. Quando un colpo di vento, rompe un palloncino e per l’incespicare nel filo, lo zucchero filato finisce per terra. Per i cuori senza giubilo, il silenzio torna a casa. Poi. In quel poi si rientra. Nella non ragione. Nella sgretolazione.
Dall’altra parte di sè.
.La parola descrive non contiene.

2
Nella necessità il nulla nel nulla un vuoto pieno
nel pieno il paradosso del vuoto
Nella necessità il nulla
e le zinnie un po’ più in là nell’aiuola un po’ più in là del sole un po’ più in là
Del nulla la necessità
un po’ più in là meglio adagiata sull’ombra nella prospettiva ariosa del ramo più alto nella leggerezza che non ho
nella bocca sempre più vuota

3
Il quartiere come un alveare vuoto bocche straniere bisbigliano lentamente gli estremi umani sono in vacanza. Il sole primeggia gigante e totale sulle teste. Il caldo che svuota. Il caldo che assorbe. Il caldo che evapora il malore dalle ossa e poi ancora più in profondità asciuga il sangue. Rafferma lo spirito. E la polvere come contaminazione iridescente entro strade più larghe respira una voce come di un Muezzin che diffonde e ramifica nello spazio cavo fra il marciapiedi e l’aria. Fra il cielo e l’incontaminato. Un unico Dio non è sufficiente.
Allāhu Akbar! Allāhu Akbar!
Un uomo proclama in suo verbo. Quando un solo Dio non basta per tre chilometri a piedi sulla via Aurelia la desquamazione delle cortecce la desquamazione della pelle il bugiardo gioco che non diventa vero ma chiaro. Netto come il silenzio di una preghiera dimenticata
C’è la carne aperta e nuda sotto un sole che divampa quando un solo Dio non basta.

*
Dittico degli affamati

Parlo con te ora. Di mattina presto. Con un operaio che urla in uno scolatoio. /Ero stanotte sulla soglia di un sonno, il bastone sopra di me si è rotto e una tenda come un drappo mi è finita sulle spalle. Ero scoperta. Ora sono coperta, un assurdo che si tinge di stupore. Mi meraviglio e la tua mancanza ecco, lì sulla soglia senza testa, lì dove mi hai coperta, segando il bastone. /Mi lavo il viso e l’assenza cola nella corolla di un fiore e me la cucio in bocca. Petali. Corolla. Polline. Colori. Terra. Denti. Lingua. Silenzio./Mi cucio tutta l’immagine in bocca ma lo stupore sfugge oltre la coperta, oltre il peso sulla spalla, oltre la meraviglia il mio cervello vivo e la tua mano]

Parlo con me, ora, di venerdì mattina, l’aria rotta dal vento
un alibi di frescura prolunga un’idea leggera, e poi fra qualche giorno l’inizio di una nuova pesantezza. Dell’estate che tutto arde e divampa e si fa bestemmiare dagli uomini grassi e da quelli in canottiera.
Osservo, il moto dell’immobilità:- del dischiudersi di una foglia
me ne stupisco
e ho paura]

*
Bianco
Poi forse scriverò mai
più. O forse – poi – si
rivelerà l’inizio di una
nuova scrittura
in quell’altro fuori da me sul pavimento di una città
che piange. Se mi quietassi temerei la morte.
Dovrai lanciarmi in cielo come uno sputo di
coriandoli e fare di un’anuria una cometa.
Forse lo stai già facendo ed io ho solo
paura della solitudine delle stelle
 

Mimì Burzo nasce a Matera il 1 maggio 1975.
Odia parlare di sé, perché preferisce che a parlare siano i suoi versi.
Detesta le convenzioni, perché non sono nei suoi versi. E quindi dice di avere poco da dire. Un verso il suo che non rispetta le regole metriche ma si annoda e si scioglie nella prosa poetica, arrampicandosi a un solo paradigma – dimostrare la possibilità dell’impossibilità, per fare del nulla, l’unico accesso all’essere un essere umano.
Pubblicata su diverse riviste, gestisce un sito, Cronologia d’assenza, che ha sostituito di recente il suo precedente blog. Tutta la sua produzione è a oggi inedita.

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