Qual è lo stato della poesia? Filippo La Porta ha fornito la sua risposta, presentando il festival La Punta della Lingua e lo stato della poesia in generale su Left, esprimendo delle critiche alla manifestazione, ai poeti e al pubblico della poesia. Ne è nato un dialogo.
La prima delle questioni che pone La Porta nel suo articolo è: «manifestazioni del genere servono a creare quel pubblico della poesia che non esiste da decenni, o meglio che si identifica con un (fantasmatico) milione di poeti (ufficialmente recensiti!), una moltitudine di autori cioè impegnatissimi a pubblicare, anche con editori infimi e a pagamento, ma che, fatalmente, leggono solo se stessi?» Lui risponde «difficile dirlo». Noi abbiamo dei dati, che forse possono servire a rispondere in parte. Al festival partecipano oltre 3000 spettatori, interessati alla poesia e semplici curiosi, con un’età media di 30-40 anni, dai diciassettenni amici di alcuni volontari ai ventenni interessati al poetry slam fino ai docenti in attività e in pensione. Alcuni sono professori di lettere, che non conoscono la poesia contemporanea e la scoprono al festival. Alcuni sono gli ospiti stessi del festival, che tornano, anche da fuori regione, e comprano i libri dei colleghi che leggono quell’anno, perché spesso non c’è altro modo di acquistare i libri di poesia, se non al bookshop dei festival. ll banchetto dei libri, in effetti, è uno dei perni della nostra manifestazione ed è curato con perizia, competenza e razionalità dal direttore artistico senior Luigi Socci, in collaborazione con la Feltrinelli e gli editori degli autori ospiti.
Occorre uscire, come ho tentato di dimostrare su Minima&moralia, dal fondale della poesia colta (o poesia alta o grande poesia) per puntare il sonar su tutto il mare: il pubblico della poesia è più vasto di quello della poesia colta, perché l’universo della poesia è più vasto. E bisogna fare i conti con i differenti segmenti di pubblico, perché se si continua a parlare genericamente di “pubblico della poesia”, si continua a compiere un errore storico, che non possiamo più permetterci. L’editoria di poesia è un’industria più vasta di quello che si è pensato finora. Nel suo fatturato non vanno conteggiati solo i libri dei poeti colti, ma anche gli album dei poeti pop, dei cantautori, perché – lo si accetti o meno – la poesia cantata appartiene all’universo della poesia. Alberto Bertoni, poeta critico e docente di Letteratura italiana all’Università di Bologna, lo ha accettato e ha analizzato, caso unico fra gli accademici, anche i cantautori nella sua antologia Trent’anni di Novecento. E proprio la musica dovrebbe essere il paradigma per ripensare la visione della poesia in Italia: chi si lamenterebbe delle scarse vendite dell’album di un compositore sperimentale, dicendo che non esiste un pubblico della musica? Forse solo i compositori, ma non certo i critici musicali, la maggioranza dei quali è dedita all’analisi della musica pop.
È giunto il momento che anche una parte dei critici di poesia si dedichi alla poesia pop e agli altri generi poetici, come la poesia performativa, che fa parte delle arti performative e arriva al pubblico del teatro, come dimostra la vittoria del premio CROSSaward III edizione @Verbania e Cannobio da parte dei poeti-performer Sergio Garau, più volte ospite del nostro festival, e Francesca Gironi, poetessa, slammer e danzatrice, che domenica prossima presenterà il suo libro d’esordio Abbattere i costi (Miraggi Edizioni) al Lazzabaretto (Mole Vanvitelliana) per la chiusura del festival.
Seconda domanda di La Porta: «va bene Walter Siti come critico di poesia, che c’entra qui il suo ultimo romanzo, che ha avuto un grande exploit mediatico ma che – fortunatamente – pare ignorato dal pubblico?» C’entra quanto c’entravano le presentazioni dei romanzi di Franco Buffoni, quando è stato nostro ospite: La Punta della Lingua non è un festival generalista, perché si occupa prettamente di poesia, ma se gli autori ospiti scrivono anche in prosa, il pubblico del festival ha il diritto di conoscere le loro opere d’altro genere.
Terza questione, che non è una domanda, ma una critica: «forse Tiziano Scarpa è più memorabile come estroso, sulfureo saggista che come poeta.» Al momento sì, ma chi segue, come noi, Scarpa, sa che dopo il capolavoro di poesia comico-giocosa Groppi d’amore nella scuraglia non ha smesso di scrivere poesie e averlo chiamato al festival è stata per noi l’occasione di sostenere e incentivare la produzione poetica di questo grande poligrafo italiano, che ricorda tanto quella dell’autore dei Sonetti lussuriosi, Pietro Aretino.
Quarta questione: «Spicca tra le altre cose l’omaggio a Bob Dylan, affidato a uno studioso, poeta e finissimo critico della poesia del valore di Alessandro Carrera. Però peccato non averlo messo a confronto con un detrattore del Nobel a Dylan, come ad esempio Magrelli». Lo avremmo voluto fare, ma Magrelli, da noi invitato, non era disponibile questa settimana. Per ovviare alla mancanza, tuttavia, abbiamo invitato un altro critico del Nobel a Dylan, Nicola Crocetti, forse più competente ancora di Magrelli, vista l’ampiezza del suo sguardo sulla poesia mondiale.
Quinta questione: «Dunque un pubblico indubitabilmente di massa – quello della poesia – però singolarmente inappetente, autoreferenziale, perlopiù incolto (scrive versi molto più che leggerli).» Il pubblico di massa della poesia è identitico a tutti i publbici di massa: come dicevo a Crocetti, accompagnandolo da Recanati ad Ancona, chi mai si sognerebbe di lamentarsi dei ragazzini che imbracciano per la prima volta la chitarra e pretendono di diventare rockstar? Anche loro sono autoreferenziali e incolti e proprio come tali rimarranno probabilmente ascoltatori della musica autoreferenziale e incolta, per tutta la vita. Un critico di musica colta, altrimenti detta musica classica, non si sognerebbe mai di lamentarsi di un adolescente rockettaro: non è il pubblico a cui si rivolge.
I critici letterari che discutono di poesia colta (la poesia di Giampiero Neri, Antonella Anedda, ecc.) si rivolgono a un pubblico colto: il fatto che si lamentino dell’ignoranza del resto del pubblico è sintomo di una rara forma di frustrazione, che La Porta di certo non ha, ma molti altri sì, eccome. Cambino mestiere! Facciano i critici di poesia slam o della canzone d’autore, se vogliono rivolgersi a un pubblico più vasto. Altrimenti, studino la poesia colta, consapevoli che il loro pubblico, salvo eccezioni, sarà quello della nicchia prescelta.
Sesta e ultima questione: «ci si forma un gusto personale, e si coltiva una propria eventuale vocazione lirica, solo attraverso la lettura.» Ecco il nodo gordiano, che occorre tagliare una volta per sempre: la lirica, dal Romanticismo in poi, ha finito per coincidere con la poesia in generale, ma nel Novecento la storia della poesia è cambiata. Quasi esclusivamente l’Italia è rimasta indietro, ancorata alla critica neoidealista di Benedetto Croce, che conosceva solo la distinzione poesia-non poesia. In altri paesi la poesia non viene fatta coincidere con la lirica scritta. In Inghilterra Tony Harrison scrive editoriali in versi per i quotidiani e film in versi per la tv: non scrive solo liriche, insomma, così come non scrive solo liriche Vivian Lamarque, in Italia.
I generi della poesia contemporanea sono tanti quanti erano quelli della poesia antica: per quanto diversi, occorre comunque conoscerli tutti, se si vuol dire qualcosa di sensato sulla poesia. Soprattutto, occorre smetterla, una buona volta, con le lamentazioni da eterno funerale.
I critici hanno il dovere di entrare nel merito dei testi dei vari generi per poterli criticare, con i giusti strumenti, adatti ai diversi generi, che sono sempre più ibridi, come tutto nel mondo moderno.


In un urbano scambio su Facebook, così inconsueto nei social, La Porta ha risposto come segue.
«Caro Valerio, le tue obiezioni sono così sensate, ed esposte in un modo così civile, che mi pare obbligatorio tentare di rispondervi.
1 Ma fa molto piacere questa larga partecipazione al festival, che però in sé non sposta molto i termini della questione . Continua a sembrarmi eclatante il divario tra numero dei poeti (ah, in un altro censimento ho scoperto che sono due milioni!) e il numero di copie vendute dei libri di poesia. Certo, vanno compresi anche i CD dei cantautori (dal mio pezzo si evince la mia piena adesione al Nobel a Dylan), ma il problema rimane. I miei amici poeti si ignorano a vicenda, a parte le piccole consorterie e lobby (nell’articolo menziono Trucillo e Attanasio: non si sono mai letti, possibile?). Personalmente sono a favore di commistioni tra pop e cultura alta, ma poi gli steccati si riproducono già in basso: i giovani rapper romani che conosco non leggono Caproni o Sereni, e non sanno chi sia Amelia Rosselli.
2 Capisco la presentazione del romanzo di Siti. Qui ci metto però una ragione personale, dunque opinabilissima. Conosco e stimo Walter Siti, sono stato uno dei primi critici a celebrare Altri paradisi ( e prima ancora Scuola di nudo) ma direi che proprio la gran cassa mediatica esplosa intorno quest’ultimo romanzo consiglia un po’ tutti di non occuparsene per un po’. Mica siamo obbligati a presentare tutte le novità, no? In questa fase mi sembra impossibile non fraintendere questo romanzo, non leggerlo in modo pruriginoso e con lenti deformanti. Quasi meglio comprarlo e leggerlo tra sei mesi, non ti pare? La Rizzoli non se ne abbia a male.
3 D’accordissimo sul valore di un libro come Groppi d’amore nella scuraglia. All’epoca (mi scuso per l’autocitazione) scrissi “La sua lingua è un misto particolarmente inventivo di un abruzzese inventato e di un napoletano anch’esso inventato. Dunque è irreale. Però serve a esprimere pulsioni e umori molto reali: un sentimento ‘discenditivo’ delle cose e nello stesso tempo la vertigine della felicità dei corpi”. Ma è un libro pensato più per il teatro. Un po’ come il divertissement – in verità un po’ estemporaneo – Nelle galassie oggi come oggi. Insomma Tiziano Scarpa è un saggista strepitoso, esuberante e imprevedibile, diciamo alla Savinio, apocalittico-spettacolare-scatologico, ricco di umori, con un suo piglio narrativo irresistibile quando intrecciato con il diario privato, etc. Invitarlo per i suoi versi è come, che so, aver invitato Manganelli a Castel Porziano.
4 Sì, i pubblici “di massa “ si somigliano. E infatti mai dimenticare che la massa è composta di individui e che dalla caverna di Platone si esce soltanto uno alla volta. Ma volevo solo sottolineare che il pubblico della poesia è potenzialmente di massa (appunto a giudicare dal numero degli autori, il che non accade per i cantautori o i musicisti in genere: lì il pubblico sa bene che non possiede certe abilità o vocazioni), ma poi se un editore vuole campare solo sulla poesia ha vita grama.
Insomma in ogni festival della poesia si dovrebbe secondo me affrontare temerariamente e anche senza troppi scrupoli il tema principale: la poesia in Italia è un genere con scarsissimi lettori, poca critica (intendo una critica responsabile riconosciuta come “autorevole”), e anche perciò spesso avvitat[a] su se stessa, lontano dalla lingua comune e dall’esperienza reale. E anche se qualcuno ci ricorda che la poesia appartiene al futuro, che somiglia ai testi ipermediali, etc. la maggior parte delle persone ne diffida perché in essa la libertà espressiva tende a coincidere con l’arbitrio, da quando la poesia – non come il romanzo ma come le arti visive – si è allontanata in modo traumatico da qualsiasi vincolo comune (hai voglia a dire che è fatta di rigore, precisione, etc.). Se un cantante è stonato ce ne accorgiamo subito, se un poeta “stona” a quale dei nostri sensi ricorrere per capirlo? Chi ci avvertirà? Se qualcuno mette i suoi versi in Rete, dove uno vale uno, e dice che sono un capolavoro, chi potrà davvero negarlo? Appunto: mancanza o penuria di critica, di vera discussione e vero confronto, di formazione di un gusto, di collane editoriali dedicate alla poesia sufficientemente autorevoli (stendiamo un velo sul decadimento di alcune di esse). Tanto che oggi la poesia la cerco più volentieri, come dice una donna di corte nella Dama sciocca (1613) di Lope de Vega, dentro la migliore prosa.
Credo però che festival come il vostro possano essere una esperienza decisamente controcorrente, che almeno tenta eroicamente di riempire quel vuoto cosmico.
»


Concludo con una replica per continuare la discussione.
Parto dalla fine: la nostra in effetti è un’esperienza à rebour, che ha però dei predecessori. Ad Ancona negli anni Novanta del secolo scorso Franco Scataglini creò Poesia in giardino, con cui lanciò una giovane Antonella Anedda, al suo esordio con Residenze invernali. La manifestazione è sopravvissuta alla morte di Scataglini, perché ne hanno raccolto l’eredità i suoi allievi poi amici infine sodali, il poeta Francesco Scarabicchi e il critico Massimo Raffaeli. La manifestazione ha portato alcuni dei maggiori poeti italiani del secondo Novecento, in una piccola città di periferia, sconosciuta ai più, ma che Scataglini aveva reso una residenza cantabile, degna di trovare spazio fra le nicchie della foresta poetica italiana, un piccolo centro culturale. “La Punta della Lingua” ha più volte reso omaggio a Franco Scataglini e più volte ha avuto ospiti i protagonisti di quella grande stagione per la poesia marchigiana, nutrice di poeti di primo piano della loro generazione, come Luigi Socci, Massimo Gezzi e Franca Mancinelli, fra gli altri.  Insomma, come tutti i salmoni risaliamo le correnti.

La Porta, proseguendo la risalita, dice di cercare «più volentieri» la poesia «dentro la migliore prosa», ma hélas «pour la prose il y a les journaux

«Se un cantante è stonato ce ne accorgiamo subito, se un poeta “stona” a quale dei nostri sensi ricorrere per capirlo?»: Guido Guglielmi scriveva che il critico è come l’artigiano, saprebbe riconoscere uno Stradivari fra mille violini. Non esiste una scienza della letteratura, il critico fa lo stesso mestiere del liutaio. La mancanza di critica è un problema epocale, per cui rimando di nuovo a Guglielmi o Lavagetto e altri. Non è un problema specifico della poesia. Per ovviarlo il festival La Punta della Lingua dà spazio alla critica, avvelendosi della collaborazione di critici di tutta Italia. Il festival non è altro, del resto, che una delle tante attività di un’organizzazione più ampia, Nie Wiem, che si occupa anche di editoria, in particolare di editoria di poesia, con una redazione di una cinquantina di critici e poeti, sparsi per il mondo, impegnati a produrre Argo Annuario di Poesia, in cui si pubblicano poeti e si recensiscono opere poetiche italiane e straniere.

Secondo La Porta, «la maggior parte delle persone […] diffida» della poesia «perché in essa la libertà espressiva tende a coincidere con l’arbitrio, da quando la poesia – non come il romanzo ma come le arti visive – si è allontanata in modo traumatico da qualsiasi vincolo comune». È vero, un tempo la poesia aveva dei vincoli comuni. Un tempo, appunto: stiamo parlando della poesia antica, così come il romanzo dell’Ottocento aveva il vincolo della trama, ma la poesia moderna, come il romanzo e la musica e qualsiasi altra forma d’arte moderna, ha rotto quei vincoli. Per poesia moderna, tuttavia, noi intendiamo perlopiù la lirica europea, che per decenni ha oscurato ogni altro genere, ma le tradizioni della poesia nel mondo sono molteplici, così come i suoi generi, molti dei quali, come la canzone d’autore, mantiene dei vincoli, dovuti nello specifico alla metrica e all’arrangiamento musicale. Non a caso la maggioranza, che è conservatrice e resta incolta se non viene affrancata dalla tradizione e dal mercato, la massa (dei cittadini, ascolatori, lettori e poeti) mantiene le sue preferenze per la poesia in musica, la canzone d’autore, più conservatrice in genere, in merito alle forme, rispetto alla grande poesia.

La Porta chiede che «ogni» festival della poesia affronti «temerariamente e anche senza troppi scrupoli il tema principale». Quale? Secondo La Porta, «la poesia in Italia è un genere con scarsissimi lettori, poca critica (intendo una critica responsabile riconosciuta come “autorevole”), e anche perciò spesso avvitato su se stessa, lontano dalla lingua comune e dall’esperienza reale.» Un certo di tipo di poesia sì: ha scarsissimi lettori, poca critica ed è avvitata, lontana dalla lingua comune e dall’esperienza reale. Non è detto che sia un male in sé. Fatto sta che altra poesia non lo è: Vivian Lamarque, Patrizia Cavalli, Mariangela Gualtieri, l’ultimo Franco Arminio hanno migliaia di lettori, per loro la critica abbonda. Ciò che li accomuna a tutti gli altri poeti è che, a differenza di Valerio Magrelli e pochissimi altri, non hanno spazio in TV. E suoi giornali, salvo rare eccesioni, o sono ignorati o sono trattati come guffi impagliati. Perché «Il Corriere della Sera» non manda Andrea Inglese in Venezuela e non gli chiede di scrivere un editoriale in versi, come il «Guardian» fece con Tony Harrison che spedì a Sarajevo? Lo fanno con i narratori, ma non con i poeti, mentre alcuni sarebbero capacissimi di scrivere in versi, con una lingua comune, un’esperienza reale.
Il Ministro della Cultura Dario Franceschini dovrebbe trovare un accordo con il direttore della Rai per mettere a bando spazi pubblicitari gratuiti per libri di poesia, in diverse slot orarie della giornata, della settimana e delle reti. Un solo spot TV donato da un mecenate al mensile «Poesia» è valso trent’anni anni di vita alla rivista ideata e diretta dall’editore e grecista Nicola Crocetti.
Il Ministro Franceschini dovrebbe accordarsi con la Ministra della Pubblica Istruzione Valeria Fedeli per spedire i maggiori poeti italiani nelle scuole: chi meglio di loro, che lo praticano, potrebbe conoscere il linguaggio poetico? Lo stesso vale per i pittori, i musicisti, ecc. Se il Ministro è in ascolto, segnaliamo il progetto Poesia di classe, che ho personalmente curato all’interno delle prime edizioni del festival “La Punta della Lingua” con i fondi per l’autonomia scolastica della Regione Marche, grazie a cui portammo nelle scuole superiori di tutte le province i poeti migliori delle nuove generazioni. A breve un’esperienza simile sarà ripetuta nelle scuole medie, grazie alla pubblicazione del libro Poeti in classe, terza uscita per i tipi di Italic/peQuod della collana del festival, curata da Luigi Socci.
«Se un editore vuole campare solo sulla poesia ha vita grama.» Su questo rimando a un recente studio di Julian Zhara sull’editoria di poesia, pubblicato nel blog Gli Stati generali
Manganelli a Castelporziano? Non avrebbe sfigurato: leggere qui per credere.
I Groppi: poesia per il teatro, ben venga, è appunto uno dei tanti generi di poesia.
Bruciare tutto di Walter Siti: ho presentato il Siti romanziere ad Ancona in tempi non sospetti, l’ho invitato di nuovo al festival tre anni fa ad agosto, ma per lui è un mese tabù, quest’anno finalmente è potuto venire a parlare di poesia, perché farci condizionare da polemiche di altri su uno dei più grandi scrittori viventi?
La Porta si stupisce perché ci sono milioni di poeti e poche migliaia di lettori di poesia: ancora una volta, la massa dei poeti è la stessa massa che legge meno di un libro all’anno. Non è detto che se ci sono milioni di persone che scrivono la lista della spesa, tutti debbano interessarsi di economia. Lo stesso dicasi per le consorterie: i club di cucito non affosseranno l’alta moda.

(Visited 232 times, 1 visits today)