CONFINE DONNA – XIV PUNTATA

 

Potresti raccontarci la tua storia di donna, poeta e scrittrice francese e italiana insieme? Come convivono queste due identità e lingue nella tua scrittura e nella tua vita?

Non è una storia particolarmente avventurosa, né interessante: ordinaria migrazione intra-europea – tra Italia, Svizzera e Francia – per motivi essenzialmente famigliari, che si è tradotta in una produzione letteraria rigorosamente monolingue. Non ho mai scritto che in italiano, infatti; le altre lingue, il francese in primo luogo, hanno semplicemente costituito il tessuto sonoro di certe relazioni personali. Se non mi riconosco in un paese in particolare, non è per un qualche genere di illuminato cosmopolitismo, ma per una totale incapacità esistenziale, un handicap dell’identità: non mi sono sostanzialmente ancora abituata all’idea di esistere, in generale, ovunque, non riesco a dare carne, terra, alla mia aspirazione di vita. Riesco a riconoscermi solo nelle parole – parole italiane, nello specifico – con cui vado abbozzando un luogo che mi somiglia. Tutto il resto è indifferenziato decoro.

 

Di recente è stato pubblicato il tuo nuovo libro Di un poetico altrove. Poesia transnazionale italofona (1960-2016): puoi delineare brevemente l’impianto generale di questo saggio e le sue finalità?

Il saggio è la rielaborazione in italiano della mia recente tesi di dottorato Voix poétiques des Italiens d’ailleurs. La poésie italophone (1960-2016), discussa presso l’Université Sorbonne Nouvelle-Paris 3. È dall’inizio degli anni Novanta che mi occupo di letteratura, e in particolare di poesia, transnazionale – allora si diceva “della migrazione” – in italiano. Dopo più di vent’anni di studi come battitrice libera, ho pensato fosse venuto il momento di mettere ordine nelle mie ricerche e di dare loro una “legittimazione” accademica in una prospettiva esterna all’Italia e alle sue logiche. Il saggio è dunque una mappatura dettagliata della poesia transnazionale italofona dagli anni Sessanta ad oggi. I capitoli sono cronologicamente ordinati; ci sono un’ampia bibliografia, un indice dei nomi e un’appendice che elenca tutti i soggetti – riviste, case editrici, siti e blog, festival e premi, progetti, associazioni – coinvolti nell’analisi, nello studio e nella diffusione delle dinamiche e dei risultati, primi fra tutti quelli letterari, delle migrazioni d’approdo italiano degli ultimi vent’anni.

 

Quali criteri sono stati adottati per mappare il flusso di scritture radicatesi in Italia, soprattutto a partire dagli anni Novanta? In breve, che risultati ha prodotto questa mappatura?

Il saggio è prima di tutto una mappatura, certo, con un’ambizione di completezza: si è cercato di includere tutte le voci italofone degli ultimi cinquant’anni. Ma all’interno dei vari capitoli è stato dato ampio spazio alla parola poetica, con piccole monografie dedicate ad alcuni poeti più significativi, incentrate sull’ascolto analitico dei loro testi/versi. Questo genere di attenzione non è affatto scontata: la letteratura, la poesia migrante/transnazionale viene affrontata tuttalpiù come un fenomeno “sociale”, raramente è in questione la qualità della scrittura, ai testi non è data assolutamente l’attenzione critica che meriterebbero.

 

Quali sono le caratteristiche peculiari della scrittura poetica transnazionale italofona degli ultimi tre decenni?

Il discorso è un po’ lunghetto, nel mio saggio si articola in più di trecento pagine… Ma possiamo dire in generale che questa scrittura è caratterizzata da un disassamento tematico, strutturale e musicale. Dietro una lingua apparentemente “piana”, senza evidenti forzature, si articola una poesia profondamente “compromessa” nelle certezze ritmiche e musicali, disancorata da un’identità certificabile. E più si mette mano criticamente, si affonda nella superficie dei versi, e più si annaspa in un ologramma poetico, l’immagine illusoria di ciò che credevamo di riconoscere.

 

Per quali motivi la poesia della migrazione transazionale italofona è stata a più riprese accostata a quella dialettale?

Per il plurilinguismo, l’intrecciarsi di lingue/linguaggi, musicalità altre, ipotesi ritmiche che entrano in gioco. Che sono il manifestarsi sonoro di identità plurifocate. Da cui quell’eccentricità di entrambe – poesia dialettale e transnazionale – da un certo inquadramento sclerotizzato del canone.

 

All’interno del composito mondo delle scritture migranti italofone, sempre in relazione all’ambito poetico, è possibile fare distinzioni rispetto all’uso che dell’italiano fanno autrici e autori? È più comune ad esempio scrivere direttamente in italiano, oppure comporre prima una versione del testo in lingua madre e poi tradurla? Da che cosa dipendono queste differenze?

Quando si parla di scrittura migrante italofona, in genere non vengono attuate distinzioni nell’uso che dell’italiano fanno gli autori, come se passassero tutti automaticamente attraverso un meccanismo di identica metamorfosi linguistica, tanto inesorabile quanto prevedibile, che vede contrapporti i due blocchi granitici della lingua madre e di quella adottata letterariamente. Ma la realtà è ricca di percorsi differenti, con tutte le sfumature conseguenti alle lingue in gioco, a volte più di due sole, e alle consapevolezze identitarie che si succedono negli anni. Accanto ai poeti italofoni che approdano alla nuova lingua come scelta ultima, totale e definitiva, ne troviamo alcuni che nel corso del tempo mantengono una produzione più o meno bilingue; altri che continuano a scrivere nella lingua madre auto-traducendosi in seguito in italiano, o al contrario ritornano poi alla lingua madre auto-traducendosi dall’italiano; altri che scrivono poesia nella lingua madre, e narrativa o altri generi letterari in italiano; altri ancora, che mescolano le voci del proprio vissuto all’interno di testi rigorosamente plurilingui. Le ragioni ultime di queste diversificazioni nell’italofonia risiedono in egual misura nella struttura fonosintattica delle lingue di pertinenza dei poeti, con tutti i radicamenti e le implicazioni culturali di cui sono portatrici, in particolare nel rapporto con l’italiano; e nelle ragioni dell’espatrio/dispatrio, di come vengono accettate e vissute dai protagonisti, nella misura in cui la lingua madre è percepita come un’opportunità in evoluzione costante o – nell’intrigo di un complesso e doloroso nodo identitario senza “scorciatoie” linguistiche – come l’ultimo baluardo di sé a cui non si è disposti a rinunciare.

 

Qual è l’attuale rapporto tra poesia italiana e poesia italofona?

La poesia transnazionale italofona e l’italiana hanno finora rappresentato due universi letterari paralleli e distanti. Uno degli ostacoli principali allo studio degli autori plurilingui in transito fra le letterature risiede nella difficoltà di catalogazione, che li vorrebbe legati alle letterature d’origine, se si guardasse soltanto alla nascita e al contesto culturale di formazione; oppure a quella d’approdo, se si considerasse come criterio la lingua letteraria adottata. Ma all’avanzare delle letterature transnazionali, espressione del radicale processo di trasformazione geopolitica che ha investito il mondo, consegue l’instaurarsi di un campo promiscuo, condiviso, in cui le differenze finiscono per arricchire un’unica voce letteraria, anche se disseminata nei molti territori culturali e linguistici. Non si tratta solo di rivedere i termini di inclusione, di accoglienza, di un autore nei canoni di una determinata letteratura nazionale, ma di interrogarsi sul significato ultimo del canone in universo letterario abitato sempre più da voci spurie, inclassificabili tanto per la lingua/cultura d’origine che per quella, o quelle, d’approdo. In Italia, il riconoscimento della transnazionalità plurilingue della letteratura, della poesia, che si vale dell’italiano come elemento d’espressione poetica, è indispensabile per delineare l’ipotesi di una contro-storia letteraria che faccia della lingua lo strumento di apertura, di scardinamento, per accedere alla poesia intesa realmente come voce – suono, ritmo, respiro – della nuova umanità in transito. In quest’ottica, con colleghi italiani e francesi, nel 2017 abbiamo creato l’Agence littéraire transnationale LINGUAFRANCA, con finalità di promozione e diffusione delle letterature transnazionali, che include anche un portale per le traduzioni (www.linguafrancaonline.org).

 

Nel 2009 hai dato vita al progetto poetico/teatrale conosciuto come la Compagnia delle poete, che ha guadagnato l’attenzione di pubblico e critica: puoi raccontarci di che cosa si tratta? Perché la scelta di riunire solo donne intorno a questa realtà?

La Compagnia delle poete è nata proprio per presentare al pubblico dei lettori/ascoltatori la migliore produzione transnazionale italofona, scavalcando le strettoie critiche ed editoriali. A comporla sono tutte poete straniere e italo-straniere accomunate dall’italofonia – una ventina da diversi continenti – ognuna con una particolare storia personale di migranza. L’idea è quella di una sorta di “orchestra” che armonizzi la poesia di ciascuna poeta, influenzata dalle diverse tradizioni linguistiche e culturali, in spettacoli in cui la parola è sostenuta e ampliata da molteplici linguaggi artistici. E secondo una struttura “modulare”, che a seconda delle occasioni di esibizione delle poete in scena, modifica e adatta di tappa in tappa la formula di base sulla quale sono costruite le performance. Il progetto ha partecipato a numerosi convegni e seminari presso Università italiane e straniere, e gli spettacoli della Compagnia – a cui sono dedicate tesi di laurea e pubblicazioni – sono spesso invitati in teatri, Festival e rassegne. Attualmente circuitiamo con tre spettacoli: Madrigne, Novunque e La casa fuori. La scelta di circoscrivere l’ambito dell’esperienza della Compagnia al femminile delle poete, in principio è stata poco più che istintiva. Ma il lavoro sui testi destinati alla scena ha poi rivelato la forte vicinanza carnale di questi versi e ha permesso di costruire spettacoli di una profonda coerenza testuale, attraversati da un filo rosso “violento” nella sua verità, tenace. Quello che identifica come “femminile” la peculiarità della Compagnia è anzitutto la comparsa nell’universo performativo del corpo. Corpo che della scrittura poetica femminile è elemento di distinzione e connotazione, e nel caso specifico di scritture “esiliate” – coinvolte in transiti traduttivi, che dunque passano inevitabilmente attraverso un reale “corpo a corpo” con le lingue – diviene oltremodo centrale. Il corpo come catalizzatore del sentire poetico femminile – nei versi delle donne, medium privilegiato di risonanza – nel caso di queste autrici translingui diventa il protagonista assoluto di performances in cui viene data vita a una poesia materica, fisicamente impegnata a tradurre parole e suoni. Tutta femminile è anche la capacità di concepire la dimensione del collettivo – altro principale elemento di individuazione di questa officina poetica – concretizzato in un gruppo in cui le individualità che lo compongono sono garantite e promosse proprio dal loro singolo rapportarsi all’insieme. Il femminile contribuisce a configurare questa dimensione collettiva come una sorta di famiglia, una comunità “materna” dedita all’accudimento della nuova poesia e delle sue lingue dis-matrizzate.

 

 

Di un poetico altrove. Poesia transnazionale italofona (1960-2016)

Le migrazioni planetarie messe in opera dai rivolgimenti storici e politici della fine del secolo scorso stanno sconvolgendo gli attuali assetti nazionali e sottoponendo le popolazioni a un rimescolamento identitario e linguistico a cui conseguono culture ibridate e la messa in discussione della legittimità dei canoni letterari. Le cosiddette letterature transnazionali allofone vengono disegnando la mappa sempre più allargata di un nuovo universo letterario costituito da scrittori “ubiqui”, inclassificabili, la cui produzione narrativa e poetica sfugge alle definizioni di genere e pone l’accento sulle dinamiche linguistiche inerenti alle scritture in transito. Come si inserisce l’Italia in questo nuovo scenario letterario plurilingue? Con che risultati e prospettive? Dopo un primo capitolo introduttivo – un quadro generale della letteratura transnazionale italofona dall’esordio ufficiale, agli inizi degli anni Novanta, a oggi –, lo studio è specificamente dedicato all’italofonia poetica, la cui nascita è anticipata agli anni Sessanta, decennio in cui hanno avuto inizio le prime migrazioni “necessitate” verso l’Italia. Attraverso una panoramica cronologicamente ordinata di voci poetiche, presentate con ampie citazioni testuali e la produzione nazionale sempre in prospettiva, il volume si propone come luogo di un confronto dinamico fra le diverse espressioni della contemporanea scrittura poetica in italiano.

 

«La migrazione non è un epifenomeno. La stessa storia dell’umanità è caratterizzata dal movimento di popolazioni, nonostante la visione distorta che ha cercato di imporci il nazionalismo degli ultimi cento anni. Sappiamo che il numero della popolazione mondiale attualmente “in marcia” è sempre crescente. E questa marcia porta alla ribalta concetti fondamentali per la reale comprensione della nuova realtà che continuiamo a chiamare “mondo”: quello di “limite”, a ricordarci che rimane sempre un’altra barriera da oltrepassare; quello di “meticciato”, o “creolizzazione” intesi come il risultato di una reazione chimica in cui le varie componenti, intatte e interagenti, copulano fra loro per generazioni ibride nella loro unicità; quello di “identità”, appunto, rigorosamente plurale e soprattutto dinamica. A contraddistinguere la scrittura migrante, transnazionale, è proprio l’identità multipla – che non comporta alternative ma combinazioni in accumulo – di cui è composta, la stratificazione di destini e progetti futuri che ne guida la voce. Una formula ogni volta differente che fa sì che in ogni momento sia altra, straniera a se stessa, in un continuo rinnovamento della propria volatile essenza. Gli scrittori transnazionali sono individualità ben distinte, espressione ognuna di una composizione alchemica unica e irripetibile, risultato di una personale e composita avventura biologica e culturale, che nella differenza accomuna storie e destini. La causa e l’effetto insieme di una deterritorializzazione interiore ed esteriore ad un tempo, straordinariamente fertile. »

 

Mia Lecomte è nata nel 1966 e attualmente vive tra la Versilia e Parigi. Poeta, autrice di narrativa, di testi per l’infanzia e di teatro, tra le sue pubblicazioni più recenti si ricordano: le sillogi poetiche Intanto il tempo (2012) e Al museo delle relazioni interrotte (2016); la raccolta di racconti Cronache da un’impossibilità (2015); e il libro per bambini L’Altracittà (2010). Le sue poesie sono state pubblicate all’estero e in Italia in numerose riviste e raccolte antologiche e nel 2012, in Canada, è uscita la sua antologia bilingue For the Maintenance of Landscape. È ideatrice e membro della Compagnia delle poete.
Traduttrice dal francese, svolge attività critica ed editoriale nell’ambito della letteratura transnazionale italofona, e in particolare della poesia, a cui ha dedicato il saggio Di un poetico altrove. Poesia transnazionale italofona (1960-2016) (2018); è curatrice delle antologie Ai confini dei verso. Poesia della migrazione in italiano (2006), Sempre ai confini del verso. Dispatri poetici in italiano (2011) e con Luigi Bonaffini A New Map: The Poetry of Migrant Writers in Italy (2011). Tra i fondatori, nel 2003, del trimestrale online di letteratura della migrazione «El Ghibli», del cui comitato di redazione ha fatto parte fino al 2017, è redattrice del semestrale di poesia comparata «Semicerchio» e collabora all’edizione italiana de «Le Monde Diplomatique». Nel 2017, con altri studiosi e scrittori attivi tra Francia e Italia, ha fondato l’agenzia letteraria transnazionale Linguafranca.

 

Foto: Dino Ignani

La rubrica “Confine donna: poesie e storie d’emigrazione” è ideata e curata da Silvia Rosa

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