Credo che conoscere una verità spiacevole, anche se non si conosce la cura per questa verità, potrebbe già essere un fatto positivo. Potrebbe infatti stimolare energie che non si credeva di avere, o far nascere idee che non si credeva di poter pensare. Ho sentito dire che i malati di cancro vivono meglio ciò che resta loro da vivere se sanno che dovranno morire. Le bugie pietose non servono. Dico questo pe-ché sono convinto che siamo, noi esseri umani, non sull’orlo di una catastrofe, ma all’inizio di una catastrofe. Una di quelle catastrofi che hanno una forza autonoma, come le valanghe, e che nessuno riesce a fermare. La situazione attuale mi fa pensare a quella descritta da Stefan Zweig ne Il mondo di ieri, quando parla del periodo precedente alla prima guerra mondiale. Nessuno la voleva; tutti ne erano atterriti; ma non c’era nessun modo di fermarla. Doveva succedere. Zweig, fuggito dall’Austria perché ebreo, scrisse questo libro alla vigilia della seconda guerra mondiale prima di suicidarsi.

Seguo molto Giulietto Chiesa (Megachip Globalist); penso che abbia ragione. Si prepara una nuova guerra. Mi piace quello che dice il papa; forse è proprio la disperazione che lo spinge ad essere così chiaro e esplicito. Viviamo in un mondo in cui quasi tutto quello che leggiamo o vediamo sui giornali o in televisione è falso. Propongo una domanda, che mi sembra una domanda chiave: il mondo è migliorato dopo la caduta del muro di Berlino?
Io credo che il mondo stia, piuttosto, vicino a un collasso. Credo che il grande storico inglese Howsbawm lo abbia scritto: l’Unione Sovietica non era un paradiso, è chiaro, ma l’equilibrio tra due forze frenava i danni. Ora gli istinti animali hanno campo libero. E anche la stupidità. Credo che sia difficile essere stupidi come una persona avida.

“Dio acceca coloro che vuole perdere”. In questo periodo la cecità di coloro che dominano il mondo fa pensare proprio a questa frase. Gli odierni Stranamore sono di una cecità assoluta. Anche quelli europei. Nei periodi di crisi, in cui bisognerebbe avere la mente fredda e il polso fermo, è invece molto frequente che si faccia autogol. Oggi gli autogol sono diffusissimi. L’intransigenza della Merkel, che sta coprendo di miseria l’Europa e può portare al crollo dell’euro, non è forse un autogol? L’Isis, finanziato da governi che si dicono nostri “amici”, non è forse un autogol?

A volte, considerando le cose come una persona che vorrebbe che questo stato di cose cambiasse, mi viene in mente la metafora delle sabbie mobili. Si dice di una persona che cade nelle sabbie mobili, che ogni movimento non fa che portarlo più giù. A volte penso che qualsiasi cosa che potremmo fare, al punto in cui siamo arrivati, potrebbe essere sbagliata. Ci sono punti in cui non ci si può più muovere. Ossia, la situazione è talmente marcia che non c’è cura possibile. E credo che noi siamo a questo punto. Faccio un esempio: quello dei profughi. Non riesco a immaginarmi una soluzione decente. Ormai siamo andati troppo avanti. Mi vengono in mente idee orribili e spaventose. L’unica cosa positiva che mi viene in mente è un’esperienza a cui ho assistito, e che non a caso viene dall’America Latina, e che ho sintetizzato in una storia che ho scritto per un’istallazione che si è tenuta recentemente a Torino, e che qui trascrivo così come mi è venuto di raccontarla. Forse è il segnale che si potrebbero (o forse dovrebbero) cambiare completamente le carte.


STORIA DEI BAMBINI DI MEDELLIN

La storia che sto per raccontare non è una fiaba, ma è accaduta realmente, e il fatto che sia accaduta realmente la rende ancora più magica.
Alcuni anni fa partecipai al Festival di Poesia di Medellin, e là conobbi due maestre che insegnavano in una scuola steineriana. Diversi mesi dopo una di loro mi scrisse che sarebbero arrivati per visitare l’Italia tredici bambini e quattro accompagnatori (lei era uno dei quattro accompagnatori). Il viaggio si chiamava “Grazie Leonardo”, o almeno questo era l’oggetto che compariva in tutte le sue lettere. Chiedevano che si trovassero per loro dei posti in cui poter dormire; e si capiva che erano senza soldi, ma non lo dicevano esplicitamente. Io mi attivai, coinvolsi altre persone, senza risultati, e in un fitto scambio di email venne fuori che volevano visitare Milano per vedere L’Ultima cena di Leonardo e che volevano andare a Firenze per percorrere le stesse strade in cui erano passati Leonardo e Michelangelo e per respirare la stessa aria che essi avevano respirato.
Alla fine la questione logistica fu risolta da una ragazza di un paesino del Veneto, Daniela Boscato (oggi è una psicologa), che mi spiegò più tardi che in Veneto c’è ancora il Medio Evo – da bambina aveva detto di non credere in Dio, e l’avevano portata da vari esorcisti; fu una fortuna, perché poté scrivere a uno di loro dicendogli: «dato che non fai niente tutto il giorno trova da dormire a questi bambini», e il prete li fece ospitare in vari istituti religiosi in diverse città.
I bambini vennero a Roma, io li andai a prendere a Fiumicino con una valigia rossa piena di roba da mangiare e li accompagnai in pullman, e poi in tram, fino all’istituto religioso dove avrebbero dormito. Lì si accamparono, e gli accompagnatori (che erano i loro insegnanti) cucinarono, lavarono i piatti, e l’indomani li portai in giro per Roma – così per un paio di giorni.
Erano molto disciplinati e molto simpatici. Non si lamentavano mai. Attaccavano discorso con tutti e creavano un clima di simpatia. A Piazza Navona c’era della musica e si misero subito a ballare. Coinvolsi degli amici in questi giri (mia sorella Silvia, Franca Rovigatti, Massimo Barone). La sera successiva andammo tutti a mangiare dalla poetessa Mia Lecomte che poi disse: “Vedendo questi bambini ho capito meglio in che schifo di paese viviamo noi”.
Poi andarono a Firenze: coinvolsi una ragazza che studiava a Siena, Ludovica Colantuono, che li accompagnò; con la loro simpatia riuscirono a entrare gratis agli Uffizi; non poterono entrare a Santa Croce perché si pagava ma girarono intorno alla chiesa e andarono tutti ad appoggiare le mani sulle mura della chiesa (un gesto che facevano anche gli uomini della preistoria, mettendo l’impronta delle loro mani nelle grotte).
Io non ebbi tempo di portare a casa la mia valigia rossa e gliela lasciai, e loro se la portarono dietro per tutto il viaggio dicendo che era il mio cuore che li seguiva.
Alla fine arrivarono in Veneto, e la ragazza che aveva trovato il modo di farli ospitare negli istituti religiosi li fece dormire in varie case private, superando l’iniziale diffidenza degli abitanti che diffidavano del fatto che si trattasse di colombiani. Anche questa fu una fortuna, perché il loro aereo stava per partire da Fiumicino e bisognava trovare un pulmino che li portasse direttamente all’aeroporto. La ragazza risolse il problema spargendo la voce che in paese c’erano dei colombiani e che bisognava trovare subito dei soldi per mandarli via, e i bravi leghisti fecero una colletta, e con quei soldi appunto, si pagò il pulmino.
Durante il loro soggiorno a Roma, Diana Lucia Restrepo (l’amica che avevo conosciuto a Medellin, che lì tra, l’altro organizza, un festival di poesia di bambini) mi raccontò come era nata l’idea del viaggio e come era stato organizzato.
Lei insegnava storia dell’arte e aveva parlato di Leonardo e Michelangelo che vivevano a Firenze; i bambini (che erano tra gli otto e i dodici anni) dissero che volevano andare in Italia e camminare nelle stesse strade e respirare la stessa aria che avevano respirato Michelangelo e Leonardo.
Lei disse: bè, questo potrete farlo tra quindici anni.
I bambini dissero: maestra, tra quindici anni lei sarà una vecchietta, noi vogliamo farlo adesso.
La maestra disse: ragazzi, ma questo è un sogno.
E allora un bambino disse: maestra, ma lei ci ha detto che noi dobbiamo sognare.
In conclusione, i bambini trovarono un libro dove c’erano scritte lettere già fatte, e scrissero a tutta la Colombia che loro volevano andare a Firenze a camminare nelle stesse strade e respirare la stessa aria che avevano respirato Michelangelo e Leonardo, e alla fine i cafeteros (i coltivatori del caffè) dettero loro i soldi per l’aereo.
Il viaggio in sostanza fu deciso e organizzato dai bambini, che poi, quando il viaggio fu finito, decisero di scrivere un libro per raccontarne la storia.
Tempo dopo Diana Lucia mi scrisse che l’esperienza italiana aveva creato un precedente; e che i bambini (altri bambini, perché quelli che erano venuto in Italia erano quelli dell’ultimo anno) avevano seguito le orme dei loro predecessori e, con la convinzione che i loro sogni si sarebbero comunque realizzati, avevano scritto alla Nasa dicendo che volevano mandare un messaggio nello spazio, e la Nasa aveva accettato. Diana mi mandò il testo del messaggio, tutto scritto a mano e pieno di colori. Il messaggio, rivolto agli abitanti di altri pianeti, terminava con delle domande:

Voi sognate?

Voi provate emozioni?

Vivete in pace?

Come comunicate?

Come siete?

Com’è il vostro pianeta?

Come vi siete evoluti?

La classe successiva, l’anno dopo, decise di andare in Inghilterra per parlare con J. K. Rowling, l’autrice di Harry Potter.
Questa è la storia dei bambini di Medellin. Prima o poi dovevo raccontarla. Non voglio fare particolari commenti. Devo dire solo che la parola “sogno” entrava spesso nel linguaggio sia dei bambini che dei loro insegnanti. E devo aggiungere (perché ormai i bambini di questa scuola sono parte di una tradizione che essi stessi hanno costruito, e alla cui base c’è che tutti i sogni, se si vuole, possono essere realizzati), devo aggiungere, appunto, che questi bambini hanno scritto una lettera rivolta al tavolo di negoziati tra governo e guerriglia che si tengono in Colombia, spiegando che le trattative di pace sono fallite perché non vi hanno partecipato i bambini, e che la pace è molto meglio della guerra.

da Pericolo
È evidente che l’uomo è un animale politico a un grado incomparabilmente più alto che non l’ape o qualsivoglia altro animale che viva secondo forme aggregate. In realtà, la natura non fa nulla invano; e solo l’uomo, fra tutti gli animali, ha la parola. Ora, mentre la voce serve semplicemente a indicare la gioia o il dolore e appartiene perciò anche agli altri animali (poiché la loro natura si spinge sino ad avvertire il piacere e la sofferenza, e a significarli agli altri), il discorso serve a definire e ad esprimere l’utile ed il dannoso e, di conseguenza, anche il giusto e l’ingiusto.
Aristotele

I
Certo quando tu ormai hai capito
che noi dell’occidente viviamo sulla morte quotidiana di migliaia nel
terzo mondo, e che ci sono guerre, morti per fame,
è una cosa che non riesco
a levarmi dalla testa, quando penso a queste cose dico,
non riesco a togliermi dalla testa l’idea che dovrei essere più felice,
che dovrei stare meglio, è possibile mi dico che noi viviamo nel mondo
privilegiato del mondo e non riusciamo a goderci la vita, e invece
stiamo lì attruppati a ingrassare come vermi,
in questo astruso mutismo, e l’unica soluzione è andare in palestra,
come diceva il sublime Henry Kane
“tutti quelli che non vanno in una palestra hanno la pancia”
una volta scopavo come un dio, adesso invece me ne sto muto, e solo,
[e vado in giro,
con una giacca dal collo di falsa pelliccia,
quando tu sai dove portano tutte queste strade sai bene che non puoi
[andare da nessuna parte, non è possibile portarsi nel ventre le stesse
lacerazioni, il contatto che [si attacca e si stacca,
brucia è rovente e ti provoca a intermittenza fitte, è meglio andare in
[palestra, la cosa peggiore è la seconda parte della tortura,
ripercorrere sapendo le sensazioni che verranno, le varie estasi
profonde, come un pozzo, l’acqua il cuscino e la speranza, correrle
dietro non volerla chiamare non pensarci; e vivere tutto come in un
grande pensiero, il pericolo;
tu senti il pericolo che si avvicina e si insedia nel tuo ventre, e poiché
sai perfettamente ormai cos’è esso è solo pericolo: non ha nulla di
avventuroso:
il dottore mi ha detto che devo masticare più lentamente i cibi;
ma ormai è troppo tardi;
tutte queste cose sono scritte sotto un segno invernale, torrenti di
pioggia nuvoloni neri ci sono cose che si devono scrivere d’estate,
altre d’inverno, e questo sono cose scritte d’inverno, la paura;
sono sensazioni che passano come nell’etere come nuvole che
trascorrono,
tu non puoi che raccoglierne un pezzo, il resto se ne
va; ma come puoi tu raccogliere tutta la tua paura,
e immagazzinarla, non è possibile,
la terza parte della tortura è la peggiore,
quando tu sai la paura e la sua ripetizione, e sei in grado di ripensare
anche alla seconda;
pericolo come un fumetto, non ti addentrare in queste cose lacerate,
violente, impara a trattenerti, ho
imparato:
un mio amico ha sempre mal di testa – come un fotoromanzo, io non
ho mai cercato invece di trattenere tutta la realtà in uno schema, per
questo non ho il mal di testa,
ed ora camminerò a lungo per i prati bagnati, con scarpe
impermeabili, ferree, la quarta parte della tortura
è il silenzio, la consapevolezza di te, e allora tu puoi confessare
perché nessuno te lo chiede, sei libero, il male è soltanto
tu sai che puoi debellarlo;
sei forte, uomo, e in fondo, tutto sommato, ho imparato a
masticare lentamente;
aveva quel pallore malsano che soltanto i preti e i rivoluzionari
hanno, e diceva; vedi come tutti potrebbero essere felici, mentre
tutti ballavano,
si vedeva che era molto teso, era pallido, aspettava
la riunione del prossimo comitato centrale dei chimici –
sono stato per circa tre fasi di tortura come lui, tra le margherite viola;
adesso il male è soltanto pericolo, ed è inverno – ho indumenti molto
caldi, piove, ho paura; dovrei fumare di meno ma non è possibile in
questi momenti,
ora è mattina presto andrò a compiere uno strano lavoro occidentale
tra poco –
imparo a lavarmi con l’acqua calda, e a non pensare troppo;
ho adesso la consapevolezza di essere guardato, adesso, cammino
sentendomi guardato, è inverno;
adesso è inverno, è bello, la primavera prossima sarà ancora inverno,
sarà bello;
II
ora devo rimettere a posto la casa, la poesia paga, la prosa no, ho
cominciato ad andare alle letture; la cosa peggiore è abbandonarsi alla
speranza, ricominciare a credere, essere preda dell’ansia del desiderio.
lei disse è stata una telefonata straziante
ci sono persone che vanno nel terzo mondo
a lucrare la differenza di livello di vita lì con pochi soldi tu sei un
signore o almeno un’amica mi consigliò una volta di andare lì e
comprarmi una donna mi disse che mi avrebbe fatto da moglie da amante
da domestica da schiava,
questo sonno è simile alla morte simile alla morte ed aspetto,
che venga qualche piccolo risentimento a svegliarmi,
qualcosa che faccia alitare la superficie dello specchio o un tremore
che faccia risentire le mie vertebre;
un segno di vita opaco come un fremito che lentamente mi
immetta nel circuito in cui io posso ridere e starnazzare
le mie budella si sfanno e decrescono enormemente e straripano e
allora
sento le mie budella come un tocco nel mio cervello,
sono contento che di me non sia rimasto altro che questo
encefalogramma
il segreto è questo scrivere questo solo dopo il sonno ora che
qualcuno ha telefonato ma il telefono era staccato;
sono contento che sia staccato il contatto ma dall’altra stanza
l’ho udito come uno sputo sul vetro, come
un ressentimento precoce l’ho udito nell’altra stanza il campanello
secondario come uno sputo nel silenzio che si posa sul vetro: ho lasciato
questo contatto acceso a cui non posso rispondere;
devo resistere alla tentazione di battere a macchina queste righe, devo
impedire che ciò si concretizzi non devo svegliarmi; devo impedire che il ghiacciolo
gocci sul vetro;
che la goccia si rompa sul vetro come una conflagrazione;
devo rimanere così a lungo ricordando la tortura;
ora lo posso dire la tortura ne sono uscito non ho risposto al telefono.
ora lo posso anche dire il ghiacciolo è esploso sul vetro ma io non l’ho
sentito; quest’inverno berrò vino rosso per scaldarmi, è inverno, ed
ora giro per questa città di assassini
con intorno al collo girato tre volte un collo di finta pelliccia: tutto
è molto
opaco come un rumore ed io
V
supponiamo che io stia dentro un racconto – un mio racconto – e lo
potessi cambiare – e lo potessi cambiare, e vivere una strana avventura,
e che potessi vivere la mia vita cambiandola, come in un racconto
supponiamo che io potessi cancellare un anno come si cancella una
frase
ripenso alla freddezza dell’esecuzione di quell’uomo si cacava
di paura,
al freddo balletto che gli hanno creato intorno si può fare una
cosa anche di un presidente
ero fiero di essere povero poi finalmente qualcuno mi ha aperto gli
occhi mi ha detto inutile che ti vanti tanto sei un rinunciatario
quello che mi frenava d’altronde era il fatto di doversi
identificare negli altri –
ieri ho visto i magistrati avevano la morte dipinta addosso – li ho
visti in una festa e alla fine abbiamo fraternizzato – al suono di una
poesia avevano la faccia di chi ha visto troppe volte la morte l’orrore
tentavano di ridere di sorridere mentre il loro volto era tutto una
stimmata
li ho trovati molto simpatici e soprattutto avevano l’aria preoccupata
essi volevano sentire le poesie d’altronde era un modo la poesia
ha funzionato
alla fine tutti parlavano come fosse l’ultima sera da
scapolo le loro donne poi se le sono tirate dietro
cameriere – una boccetta di vetriolo, disse la mia amica a chi le
diceva che aveva un bel volto –
d’altronde come fai tu a vivere con del vetriolo in pancia come
possono i tuoi mari sommersi far galleggiare sopra il vetriolo
come possono i tuoi occhi galleggiare
in un mare di vetriolo
Il vetriolo si compra in farmacia ma come fai tu a galleggiarci in
un mare
le onde del mare sono blu come l’inchiostro e si muovono in ricci
colorati
come la chiocciola dal guscio-silice essi si muovono onde
sono le onde del mare che si muovono dentro il tuo stomaco
forse pezzettini di vetro o il sorriso magistrale
l’aereo passa sopra uno sterminato mare di cadaveri
Ti ergi come una giraffa per guardarci sopra
e poiché faccio anch’io parte del mare di cadaveri
questa è la poesia un collo di giraffa pezzato muschiato
ancora odorante come un muschio naturale
per
guardare sopra il mare anche il proprio,
l’unica difesa è irrigidirsi trascurando tutto
XVII
quello che mi rende particolarmente arido e sterile – a me uomo – è
il fatto che alla mia morte non sarò mangiato. Cioè io porto dentro
me stesso il mio corpo – fino alla fine – e lo mangio io stesso, fino
alla consunzione;
io non trasmigro negli altri, e in questo senso sono solo.
ciò che mi caratterizza è che io posso uccidere senza essere
ucciso; tutti i vecchi sono degli assassini
tutto ciò produce stanchezza nell’uomo – questo procrastinare
indefinito della morte; – quando noi saremo divenuti immortali,
saremo divenuti sterili.
anche ingrassare i terreni ci è negato; i cimiteri – come si sa – sono
entità astratte, così come lo sono i fiori mortuari.
(anche la prossima guerra sarà sterile)

Carlo Bordini è nato a Roma, dove vive, nel 1938. Ha pubblicato numerosi libri di poesie, tutti raccolti nel volume I costruttori di vulcani – Tutte le poesie 1975-2010 (Luca Sossella Editore, Bologna 2010). Un’ampia selezione di testi si possono trovare sul suo sito (www.carlobordini.com). Ha curato, assieme a Antonio Veneziani, Ivana Nigris ed Enza Troianelli, l’antologia Dal fondo, la poesia dei marginali (Avagliano Editore, Roma 2007; postfazione di Roberto Roversi). Ha pubblicato anche: Non è un gioco – Appunti di viaggio sulla poesia in America Latina (Luca Sossella Editore, 2008). In prosa ha pubblicato: Manuale di autodistruzione (Fazi Editore, Roma 2004); Pezzi di ricambio (Empirìa, Roma 2003) e il romanzo Gustavo – una malattia mentale (Avagliano Editore, 2006). È tradotto in varie lingue.

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