A-mur

Scrivere come sai dimenticare,
scrivere e dimenticare.

Tenere un mondo intero sul palmo
e dopo soffiare.
[Pierluigi Cappello]

I
Lasciarsi in un bar è un gesto garbato:
tra estranei due estranei si dicono addio.
Arriva il momento annunciato del conto,
lui pronto si alza, dice «Lascia, faccio io».

II
Ora guardalo bene il tuo
Orfeo di spalle – Euridice
sbagliata, sei salva se guardata –,
quest’uomo che hai amato e più
non ti riguarda: non si volta e
non ti guarda una seconda volta.

III
Ci vogliono anni per seppellire
un nome, non farlo salire con
facili rime («È un
caso», «Ha un bel
naso», «Annaffia quel
vaso»). Poi a un tratto quel nome trabocca
dal fondo, ti sfonda le labbra
come una vecchia radice.

La bocca lo dice.

 

 

Ferragosto

Ieri è crollato
un ponte in cemento, crollate
le auto che ci viaggiavano
sopra e dentro crollato
chi ci viaggiava al momento.
Tra loro una giovane
coppia di fidanzati

di lì a poco si sarebbero spostati.

 

Irene Paganucci è nata nel 1988, vive a Lucca ed è dottoranda in “Sociologia, storia e cultura politica” presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Ha pubblicato la raccolta poetica Di questo legno storto che sono io (Marco Saya Edizioni, 2013), segnalata come opera d’esordio al concorso nazionale di poesia e narrativa “Guido Gozzano”. Suoi testi editi e inediti sono apparsi su riviste web e cartacee, come “L’Unità”, “Versante Ripido”, “La Balena Bianca”, “Atelier”, “L’EstroVerso”, “Leggendaria”. Per il Gruppo Teatro 4e48, ha scritto lo spettacolo Signore perbene – Viaggio nella poesia italiana al femminile. Ha tenuto seminari di poesia contemporanea presso alcuni licei e istituti italiani. Vincitrice dell’edizione 2016 del Premio Rimini, ha poi pubblicato la sua seconda raccolta Mentre si mettono a posto le cose (Raffaelli, 2016).

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