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Ci si incontra, io credo, dopo essersi a lungo sfiorati, attraversati come siamo dai luoghi in differita delle prossimità affettive ed intellettuali, degli intenti e delle pratiche comuni, quando le condizioni di necessità si realizzano a pieno, e più voci, distanti anch’esse tra loro, convergono in un segmento spaziale esatto e ci si materializza nei contorni, della parola come del volto, che im-mediati riemergono da una memoria comune, perché condivisa da altri. Così è avvenuto con Luigi Severi che in questi anni di incontri, festival e letture non avevo mai avuto il piacere di incontrare dal vivo, e che invece pochi giorni orsono per una miriade di piccoli accadimenti, mail pervenute seppur in ritardo e consigli di lettura di altri, ho finalmente conosciuto, per meglio dire riconosciuto, avendolo letto in passato, in particolar modo per i suoi interventi teorici dedicato all’opera di Giuliano Mesa.

Leggendo Sinopia (Anterem Edizioni, vincitore sez.inediti Premio Montano XXX), ultimo lavoro di Severi, ci si ritrova alle prese con una formazione di colore, con l’impasto materico e anticlassico di un Pontormo in cui le sostanze coloranti, legando con tuorli ed albumi, si aggrumano sfaldandosi e la ricerca del colore diviene il colore stesso, la sua figurazione, fatta di stesure progressive di ocre, biacca e cinabro, velature di parole esatte, risonanti in mille luoghi distanti un giorno, o cent’anni. Tante le direzioni del testo, le provenienze <<in un rapporto tra il fuori, come referente di un ascolto, e il dentro, come circuito di una voce scritta; correlazioni che accadono e scorrono, con una ricchezza lessicale raccolta da molteplici campi del sapere scientifico, storico, quotidiano>> scrive G.Bonacini nella post-fazione.

Ed è così che si scrive, o si dovrebbe fare, come ci si incontra, per infusione lenta, mentre ci si incolora, nel luogo inesatto dove l’opera converge, nella relazione di forze nascoste, sinopie che presto o tardi emergeranno, manifestandosi in opera compiuta “due linee lunghe, una spezzata:/la mitezza penetrante, / il vento” scrive lo stesso Severi. Vento che ricorre nel testo ( appare altrove, “ora scolpito/in un panneggio”) perenne ad unire i luoghi del poema, “velo per velo”, territori indefiniti della turbolenza (ma non infiniti, ricorda Bonacini) e i tempi lontani della giovinezza, dell’impaccio linguistico, dell’amore rivoltoso, con quelli razionali, confessionali, l’impasse dell’età matura, a disorientare il lettore-autore: “lancetta dei minuti/ferma a un passo dagli occhi”.

Il tutto nutrito da uno sguardo tattile, riverberato in suono che mai dona pace all’oggetto, come procedesse per grumi di senso irrisolto, per condensazioni di trame sonore, talvolta implosive, raggelanti, contenute nella forma del discorso, tal altre vorticanti tra <<cadute volontarie, mancamenti di fiato, vuoti cerebrali>> a ristabilire, a scanso di equivoci, la necessaria relazione tra l’autore, plurimo che compone il testo, e i lettori che ostinati lo ricompongono, ogni volta e continuamente “ da quel silenzio bianco, popolato a distanza, che rimane”.


Sei testi da “Sinopia”.

 
qui non viene più pioggia, diceva, la strada
finisce oltre il parcheggio, non c’è più nulla, qui, oltre a un
carrello, milioni di buste, un’adidas,
molta polvere a mulinare:
la spartizione, prima,
quando la raffica di perle, di bauli
giace dove
[Indica un punto] E qui
tieniti saldo: sei nella trama: ma
sarebbe questo il massimo che sai fare, la tua
città ecc. ideale? (brusio di sottofondo): Lungo il viale
(apostrofare chi passa: con soprannomi scherzosi:
farli fermare: poi inizia l’azione: l’importante
prima è rassicurare, carezze sopra il muso, odori cari:
soltanto poi, senza strafare / pistola abbattibuoi per mattazione
proiettile captivo, punta di ferro di cm. 6: distribuzione dei viveri
senza sopraffazione (incipit sogno uno:
more geometrico demonstrata: via
(vi si teorizza, qua: Politèia,
lancetta dei minuti
ferma a un passo dagli occhi
***
è questa la città, conclude indomito: poche pareti, esterne,
quattro pannelli, lustri alla luce del neon, cubi di cartongesso,
idrofugo insonorizzante
ultima generazione / conclude:
prospettiva perfetta, come la casa di Livia
(ci si cala, fare attenzione, dall’alto), tutto un rigore osseo
per ospitare
c’era prima una festa, si capisce
dalle tracce di uva, dalle carte
di pizza che un vento freddo enumera, a lato della
strada, da quel silenzio bianco, popolato a distanza, che rimane
***
una cosa stipata,
basti pensare all’occhio. Confronta
faccia a faccia
ci sono certi atlanti storici, dei progetti
di osservazione dall’alto
Leggo per esempio che:
la grammatica delle cose è molto semplice, è fatta per ripetere,
non per imparare, è fatta per
terminare contando, indietro
e avanti
***
tutte occasioni di buio, chiuso l’uscio,
fisso al più anfratto
botro dove non scorre,
sclavicolato, grasso, certe acque di corpo,
di gorgo che non scorre, sdrucendo
si incatrama – dente su dente – è fina
quella voce, nigra, sconfina a filo, sfida, strapunge,
chiedendo acqua, facendo capriccio, dal fondo fluido,
nodo di corsa, di aria,
nodo di fibra, nera,
nera dal nero,
fiata
 
***
vedi Ezechiele, dove dice, e poi ecco un vento
e una nube, e dentro questa nube
(prepara meglio il fondo, i diecimila, i mille
i tutti-insieme, i sommersi, gli
uguali – quando in serie, essere tutti uguali contro il taglio
per il rosso: cinabro o solfuro di mercurio – il cinabro abbrunisce
con il sole – soltanto per azione della luce –
macina, è materiale inerte, per malte, pure,
nettamente quarzose (vetro, ceramica, che lascia),
trito di quarzo, marca di fuoco, metamorfosi
in corso, svelto se hai gli occhi aperti (uno frontale)
ametista, gatteggiamento, iridescenze,
occhio di falco, occhio di tigre, avventurina, non
si dilata, stabile, nel pirex
puoi cuocere, vincere, senza più urlo, carni,
ossa da rodere, corpi di tordi, certi
crani da esposizione: ti osservano
dal fondo inalterato: respirano incompleti: ti rispondono
 
***
non era rimasto nessuno
così è uscito dalla stanza, ha salutato l’infermiere
dopo aver riposto nella bara con ordine la sua biancheria, aver investito
i suoi ultimi fondi pensione, a perdizione
da qualche parte filtra, in quel nero dove non si trova
(lacca di robbia, asfalto, blu d’oltremare: mescola
in furia, stendi senza tregua: stare),
questo è l’assedio immobile, premeditato / stop:
trattenere, rilasciare, trafiggere, credere sempre meno
fino all’ultima molecola che inspiri / crepa la guaina, poco,
crepa la guaina, in fondo, come si dice, al tubo: Schlauch
[Indica due punti] E qui, e qui – sotto pressione
corpo di vecchio e voce, per difendersi
è legno che brucia e in quell’attimo
forse sai (proprio alla fine) di guardare
(disegno che è una brutta imitazione):
la prima, finalmente, parola che dici
 
***
Luigi Severi ha scritto saggi sulla letteratura rinascimentale (tra cui una monografia) e novecentesca (tra cui l’e-book Sull’intellettuale dissidente, e-dizioni Biagio Cepollaro, 2007). Libri di poesia: Terza persona (Atelier, 2006), Specchio di imperfezione e Corona (La camera verde, 2013), Sinopia (Anterem; Premio Montano 2016).
*L’immagine di copertina : San Matteo Evangelista (Pontormo, 1526)

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