Dalla prefazione di Elio Grasso

[…] Sia chiaro come non esista un mondo vegetale, dentro questo libro, ma l’intero fardello, promiscuo, recidivo, concupiscente, della carne umana, con ogni tipo di relazione, e a tutto lazionata. Si vede il rosso sanguigno scaturire da vene emerse alla luce, e ogni azione tecnica d’uso botanico viene incollata alle membra umane, alle argomentazioni cerebrali che concernono l’amore e gli ostacoli veri o presunti. Insomma la varia umanità, conosciuta dall’autrice, viene rivelata senza scorciatoie. Barbato stringe senza sosta l’emozione, le impedisce di alterare l’assetto della propria poesia: questa deve mantenersi orientata verso il faccia a faccia con il lettore. Poiché non si cerca assoluzione, cosa che nessun buon poeta dovrebbe fare. Non è possibile indagare per quali vincoli e anfratti Emilia sia giunta fino a quest’abbondanza di tormento creativo, e a dire il vero quel che importa è il risultato che legittima lo strano mondo di fertile scrittura. Se qualcosa si compie qui, è l’addentare la realtà umana a pieni morsi, anche quando non si tratta di polpa farinosa. Farlo pagina dopo pagina, senza esporre un pur minimo accadimento personale è qualcosa di inedito, tralascia l’attuale mitografia dell’ego e non fruga nei privati faldoni giornalieri, a tutto vantaggio della lingua e di quanto chiamiamo sostanza poetica. Un atteggiamento che allarga la profonda mania del poeta, facendola diventare esperienza umana, per gli umani dei villaggi, e capace di ampliare le facoltà percettive. Il “rigore di un assedio”, per Emilia Barbato, è legarsi alla propria lingua per poi lanciarla verso le porte prospicienti le strade. Per questo un discorso persuasivo spesso arriva a destinazione, se pur con avventata decisione. L’intero Capogatto può dare l’impressione di un piccolo impero psichico: al suo interno, i lacci e le propaggini si muovono replicandosi senza sosta, spingendo sogni a diventare modelli, arditamente evoluti per il mondo degli uomini e delle donne.

 

Da Capogatto (Puntoacapo, 2016)

Dalla sezione Bastìa

Quel modo di essere luoghi

Quello che dovremmo recuperare con cautela
è il nostro modo di essere luoghi,
di raccoglierci e languire riflettendo l’aggressiva
decadenza delle cose, delle case, dei muri,
il progressivo franare dei margini delle strade,
dovremmo ammettere di contenere
la popolazione stanca di una baia
e il fastidio della sua aria salmastra, la noia
dei rami, capire di essere la riva dove si ripetono
le acque tristi e la terra, la solitudine
del bastione di Spa House che resta nell’incuria
e nel romanzo di quell’uomo che amava soltanto i bambini.

 

Dalla sezione Capogatto

Maggio

settimana 1XXXIII
Non avevamo più parlato dopo il colpo di vento,
la polvere si era alzata dalla strada e ci era finita negli occhi.
Figlio mio, perché mi devi punire?
In silenzio per la voce lontanissima trattenevamo il respiro:
era rauca, la riconoscevamo, ci chiamava fra il rumore.
Mi hai chiamato e sono nato come volevi tu.
Negli occhi la polvere si raggrumava e diventava pietra,
non sopportavamo più il rimprovero di una ferita.
Quando fai questa smorfia sembri me da vecchio.
Quella voce ci consolava, eravamo muti ma dentro
la ripetevamo con le stesse parole raschiando la gola.
Hai una cosa nell’occhio, avvicinati che ci soffio su.
A ogni parola ci voltavamo per ritrovarla, ma si era alzata
davanti a noi, ci dava le spalle, chi cercavamo nel fondo.
Ora che ti ho liberato tornerai a parlarmi?
Allungavamo una mano per afferrarle i capelli
e la vedevamo cadere prima di averla sfiorata.
Smettila di fare il morto, mi stai facendo arrabbiare.
La sua ombra si muoveva sui nostri corpi fermi, rinchiusi
ma l’affanno del respiro tradiva tutta quell’apparenza.

Per convincerti, dispiega, tra rondoni
e papaveri, tredici miti settimane,
assiepati alle spighe d’orzo,
ai silenzi dei ruderi, misura
la produttività delle tue erbe
selvatiche, le tue farine mancate,
le semine e i concimi che hai omesso,
che loro avrebbero voluto.

settimana 2

Nelle acque del tempo diluisci questi pigmenti
finemente macinati, i minuti, le ore,
i giorni inoperosi, disegna
un paesaggio di brume,
cristalli opachi di galaverna,
che sia trasparente
l’urlo di queste tredici apparenti primavere,
risolvi quest’impressione di inattualità.

settimana 3

Spargi spore sulla pietra dura,
fanne giardini, perché diventino
paesaggi ideali in miniatura,
tredici isole perfette di tempo,
contempla nella totale incapacità di cogliere
il reale, lasciati percorrere dalla dolcezza
ineffabile di maggio, dalle sue arie miti,
dalla sua tenera tristezza.

settimana 4

Prendi una fitta infiorescenza,
il suo colore pallido, un profumo intenso
nel giardino segreto di tre fanciulle,
figlie della notte, produci,
da tredici coroncine fertili,
un distillato lenitivo, un olio essenziale,
calma la confusione dei pensieri,
i disturbi d’ansia, la paura delle spose.

settimana 5

Dimentica l’esuberanza con cui i pendii
si aprono a maggio, le cime sempreverdi delle querce,
allontanati dalle spine dei prugnoli,
dall’aquilegia che fa elegante
e misterioso il sottobosco,
perdi la lentezza delle tredici gocce di veleno
nei passi, i salti cristallini delle sorgenti
da cui imbarchi acque, il tempo che ti è appartenuto.

snodo–otto settimane

Quale greto manderà a memoria
il ricordo delle acque, i profili, le portate,
su quale sponda
i miei occhi ricominceranno a scorrere
come fiumi sui ciottoli,
di quale pianura traccerò
le anse, la pericolosità
di un nuovo meandro,
sei vecchio o saggio quando
i colpi che dovrebbero piegare
insegnano bellezza,
quando desideri restituirti ai luoghi.

Dalla sezione Via dei transiti

trascurabili bellezze

Le mura scrostate, le erbe alte,
lo sguardo che sferraglia sulle rotaie,
il sole improvvisa minime bellezze,
il sole fallisce
nella mia pupilla contratta,
si sgretola la piccola ferrovia,
sparisce, impara a disertare
le persone,
i luoghi
lasciati orfani,
vedi con quanto metodo
si abbatte l’abbandono?

 

Emilia Barbato è nata a Napoli nel 1971 e attualmente risiede a Milano. Laureata in Economia, ha pubblicato le raccolte di poesia Geografie di un Orlo (CSA Editrice, 2011), Memoriali Bianchi (Edizioni Smasher, 2014), Capogatto (Puntoacapo, 2016). I suoi testi sono apparsi in diverse antologie e sull‘Aperiodico ad Apparizione Aleatoria delle Edizioni del Foglio Clandestino.

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