Dalla prefazione di Gabriela Fantato

[…] La raccolta dà voce a un’esperienza umana fondamentale: la perdita di un caro, ma non vien messo a fuoco l’evento luttuoso in sé, bensì lo sguardo dell’autore si sofferma – a volte malinconico, altre con lucida consapevolezza – su ciò che resta dopo una perdita, sui segni della mancanza, enumerandoli nelle varie scene che ne declinano le sfumature, in questo senso è davvero un inventario dell’assenza e di ciò che resta. Tuttavia, l’elemento che  fortemente caratterizza questa raccolta è il suo indagare non il senso di vuoto interiore che si prova (con i risvolti psicologici che si potrebbero immaginare), ma ciò che vien nominata è la metamorfosi subita dal reale dopo la perdita. A volte i testi assumono anche il taglio scrupoloso e annoverativo da “inventario”, ma l’intenzione è sempre registrare la realtà trasformata dal dolore, marcata da un’assenza. Infatti è nella forma del taglio, della crepa o in quella di un’unghiata, uno strappo, un morso (tutti termini ricorrenti in questi versi) che si declina l’assenza, costituendo così un’ampia area semantica del dolore che si dà nei versi e diventa il segno caratterizzante le cose dopo la dipartita del padre. Poesia questa di Paoletti vivamente concreta, poiché è la realtà che parla in questi versi e si mostra in una scrittura che assume forma metonimica: non è la causa che viene detta ma l’effetto (non la perdita, l’assenza ma il taglio conseguente); inoltre, come si diceva, non l’animo del poeta ma il mondo intero porta i segni di un evento che lo ha stravolto, togliendo ordine e senso. la realtà vive e pulsa nella raccolta di Paoletti come un grande “corpo” vivente: è il corpo delle cose, la “carne del mondo”, direbbe il filosofo MerleauPonty, ad esser segnata da ciò che è accaduto: l’Io esiste ma solo in quanto registra, non è un Io al centro, dunque, ma gli oggetti (e ve ne sono molti in questo “inventario”!) che hanno inciso nella loro stessa forma l’alfabeto della perdita. […] Mi pare che Paoletti con questo suo bel libro scelga di lasciarci contemporaneamente sia un’indicazione in avanti, sia dirci che la realtà comunque procederà oltre noi e le nostre perdite, in un ciclo che si compie a parte l’uomo, oltre ogni antropocentrismo e oltre ogni psicologismo. […] Ecco, oltre il dolore, occorre continuare, rifondare i giorni a partire dai muri di casa, metafora del senso stesso dell’abitare il mondo, ma occorre anche sapere il proprio compito: scrivere, lasciare a testimone la poesia che coi suoi versi come “funghi semi e briciole”, rimane come “riserva” per la vita buia, come la sola via umana che possa, in parte, fondare ancora il senso della vita.

 

Da Breve inventario di un’assenza(Samuele editore, 2017)

 

Torneranno le giornate lunghe
le corse dei bambini,
la conta dei gradini da saltare.
Si faranno altri nidi sugli abeti
e l’estate non chiederà il permesso,
ma pioverà sole intorno
per far fiorire qualche cosa dentro,
un grumo, un fremito, un appiglio.

*

Tintinna qualcosa nella notte,
forse un grappolo di conchiglie
appeso alla grondaia.
la terra adesso si riposa
lasciandosi rimboccare la coperta
dal maestrale che ritorna
ad asciugare gli occhi e le lenzuola
dimenticate fuori.
Domani il rumore quotidiano
spingerà la vita un po’ più avanti.

*

La parola terra
ha un suono di radice,
di crosta bruna che si spacca
al sole quando le nuvole
hanno smesso di gridare
e l’aria preme ancora un poco
il suo bacio umido sul capo.

La parola terra ha il suono
di un padre che ritorna
dei passi sulle scale
di mani dure dove riposare.

*

il pane che chiedevi è pronto
ora sta sul tavolo di marmo
e vedo il fumo
le bruciature la farina scura
l’impronta leggera delle mani

nell’aria si perde l’odore buono
che sospende il tempo prima che
il coltello apra la crosta e il giorno
torni a premere la vita contro
gli oggetti che ci stanno intorno

*

Tutto si fa più leggero
adesso che le stagioni
voltano le carte mentre il gelo
si attarda tra le lenzuola
con uno sbadiglio
di gatto infastidito.
Ho trovato per sbaglio
la tua giacca verde
ma non c’erano caramelle
nelle tasche e mancava
il secondo bottone sul davanti.
la lascio appesa alla poltrona,
un’ala di falena
impolverata e persa
nella fuga.

*

Si cerca di essere minuscoli
per scivolare lungo le pareti
mentre si riempie troppo la caffettiera
e si numerano i giorni sull’agenda.
Di notte il buio si fa spazio
nel lato destro del letto
senza rumore, senza farci caso.

*

È tempo che il cemento
faccia presa
che il metallo scarnifichi la terra.
Tempo di issare
bianche le pareti, le porte,
posare vetri e lamine d’acciaio.
la casa già vive nel sudore
di chi segue
le tracce sulla carta.
Noi arriveremo dopo,
intorno ai muri.

A riempire le stanze
di parole.

 

Michele Paoletti (17 Luglio 1982) è nato e vive a Piombino (LI). Si è laureato in Statistica per l’economia presso l’Università degli Studi di Pisa e si occupa di teatro, per passione, da sempre. Ha vinto il Premio Astrolabio 2014, il Premio Borgognoni 2015 e il Premio Anna Savoia 2015 nella sezione Poesia Singola. Ha pubblicato le raccolte Breve inventario di un’assenza (Samuele Editore, 2017 – prefazione di Gabriela Fantato), Come fosse giovedì (puntoacapo Editrice, 2015 – postfazione di Mauro Ferrari) e la plaquette La luce dell’inganno con fotografie di Andrea Cesarini (puntoacapo Editrice, 2015 – Nota di Lella De Marchi). Suoi testi sono presenti nell’antologia iPoet (Lietocolle, 2016). Nel giugno 2018 ha collaborato alla realizzazione della mostra Tempo riflesso (fotografie di Sandro De Monaco, poesie di Michele Paoletti).

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