Un po’ di freddo durante questa calda estate non guasta, soprattutto quando a descriverlo è Davide Brullo, uno tra gli ultimi visionari della poesia italiana, che strizza l’occhio al surrealismo e alla sperimentazione.
Nei primi testi di Abbecedario antartico (Raffaelli editore, 2017) si nota subito una frammentazione del discorso attraverso i versi, quasi siano stati ritagliati da un simbolico cubo di ghiaccio che rappresenta, allo stesso tempo, l’opera e la sua atmosfera, e la realtà che si desidera strutturare con il linguaggio.
Una realtà glaciale, quasi marmorea, ma qualcosa si scioglie attraverso questo dizionario desunto dal freddo, ed è la poesia, perché ritagliati da un continente antartico della lingua, i versi, una volta riassemblati ai fini dell’opera, operano fornendo nuove sinestesie, sempre coerenti con il tema scelto e con una ricerca della verità (dell’uomo, della vita, della storia, dell’universo).
Un esempio della procedura che utilizza il poeta è ben descritto da questa serie di versi: “disse di sentirsi in un velo / «nell’alveare dell’alba» scrisse quando / la sera lo costrinse a pensare / che neppure le parole sono umane / – poi si frantumò in quella cosa / che ha molti cuori”… Si può notare la particolarità di combinazione di questi sei versi, che offrono molteplici spunti di interpretazione: anche se fondamentalmente la poesia di Brullo non pone domande, si offre, si dona, in un metadialogo con il lettore e lo orienta verso alcuni interrogativi (“dove sta il cuore della realtà? dove sta la poesia?”), rispondendo subito con quel molti cuori, che sottende forse alle molte verità di ognuno, in molti luoghi e in molte epoche.
Ovviamente il lettore potrebbe essere spinto a rilevare altre interpretazioni, e in questo sta la sottigliezza di questa formatività, che rimane sempre aperta, grazie al fine lavoro di cucitura delle parole. Il lettore, nonostante alcune difficoltà poste dall’assemblaggio, viene spesso ri-orientato dall’opera: nei finali dei testi che compongono la raccolta (e non solo), Brullo usa riprendere il tema “glaciale” riutilizzandolo in modo concettuale per donare una coerenza di fondo a un discorso frammentato e difficile.
La raccolta dunque, che spinge con una versificazione disarticolata a una sorta di indagine su una meta-realtà e sulla poesia, attraverso i dispositivi linguistici e l’atmosfera che si vuole orientare, si presenta nuovamente integra, unita, anche grazie a una serie di messaggi, come in questi versi: “«ci spinge al freddo un desiderio / di assoluzione e di assoluto», «che cosa sa / il ghiacciaio della mia vita», ogni verbo nell’Artico si moltiplica / e un uomo è umanità”…
Sono un po’ degli indizi lasciati tra i ghiacci di questa ricostruzione linguistica e poetica, intravista o supervista da Brullo, che la selezione che vi apprestate a leggere non può però riportare del tutto.
Difatti la poesia, come la realtà, cerca «il Nord per orientare / la gola alla sassaia delle stelle / e raccontare nel petto una migrazione». Forse è la migrazione dei nostri cuori in qualcosa che significhi davvero che dovrebbe interessarci.

da Abbecedario antartico (Raffaelli editore, 2017)

IV
«attenti a dettare i nomi
perché il ghiacciaio li inghiotte
e ne modifica il destino –
una stele di neve – l’odore degli
abiti che furono il preludio
alla glaciazione – l’ala – il gusto
progredito tra le orche oppure
l’Ave che divampa» non credere
alla pace con cui il Nord
avviluppa i cieli – c’è una storia
e una ferocia anche mille secoli
sotto il ghiaccio – una parola che
ti turba quando con le lenzuola
costruisci un igloo per la fama dei figli

VII
l’uomo che fu prima di questo
bianco costellato da dita d’addio
è siderale – «per raffinare la morte
mi trascinarono nelle nevi –
elevati al quarto secolo gli avi
crepitano nel lancio e nei denti
“se sei qui è perché qualcuno ha ucciso
per te” disse – ma qui dove l’orca
cuce l’Artico al Novecento non esiste
espiazione – c’è la certezza»
anche se il continente è delicato
come una verità conclusa in una mano
una morte non ne sottrae un’altra

VIII
«egregia gioia che estingue le vene
verdi del coraggio nei ghiacci –
i fiori fulminei disorientano l’ora
della conquista – anche l’indole
e il fienile invernale delle ambizioni
è ammesso in un tempo bianco
quando l’ingiustizia era il vanto
dell’innocenza – i re ornavano
di leggi le rocce e il bisbiglio
aveva il valore di una nuvola»

XV
nel libro del Nord è benedetta
la spada d’angelo del rompighiaccio
«provvidenziale è chi disintegra
la beatitudine» è scritto come se
ottenere l’ottusità sia lo scopo
di chi sprofonda nel candore
dove il respiro si conferma
fuoco pietrificato
l’accusa è inesauribile
in un’alba i lupi consolidarono
il cerchio – e lei ancora conteggia
le virtù per visitare l’epicentro dell’etica –
«muore senza clamore chi ha vissuto»
disse – ma una frase non ha braccia
poi le bestie indietreggiarono risucchiate
nel freddo come i primi lembi del mattino

XVII
trovò le corna di renna – «simili
a un aratro trainato da angeli con le zampe»
scrisse sul diario degli Artici – e misurò
il palco con le leggi appena spianate
in un fiordo – e con la nascita gemellare –
e la luna che come un coltello rade
i secoli a un orfano – radica
tra gli anonimati – così profetizzò piogge
e un’eco di oche appariscenti per
il canone epico –
ogni verbo nell’Artico si moltiplica
e un uomo è umanità – uno sparo
che unisce genere e giudizio –

XXIII
Abbecedario antartico
di Antartide devi amare l’attacco
in anticipo – l’aria che non ha ricordi
e l’acqua che per poco non è un uomo –
l’orca è vera come un simbolo e dai suoi
denti sai localizzare le costellazioni
la neve ha sbriciolato il sole e la traccia
senza trattative con i vocaboli è angelica
anche uccidere qui è un gesto
esemplare come una pittura
dove la fame è un dio non si è soli –
tra le ombre l’aggressione santifica il debole
da una colonia di ghiacciai la balena
convocò una giungla – s’impara la dedica
e a trattare la luce come terra
per estrarre il regno dal gelo
gloria senza identità per il traditore
che indica l’astro nel male
e qualifica l’abbaglio nel bagliore
agli opposti del mondo dove l’angelo
fu sotterrato per rendere
innumerevole il lager degli iceberg
la violenza è candida – increata
«non un lamento ha vinto
il pudore delle nuvole a esigere i prati
per questo i creatori cadono
la pietra non resiste all’albero
che la spacca in un’epigrafe
ma la natura del freddo è stringere
quando credi in un dio che addenta»
è scritto nel diario antartico

Davide Brullo ha scritto, tra l’altro, i romanzi Il lupo (2009), Rinuncio (2014), Ingmar Bergman: la vita sessuale di Franz Kafka (2015). Ha pubblicato le raccolte poetiche Annali (2004), L’era del ferro (2007), Abbecedario antartico (2017). Ha tradotto i Salmi e curato l’antologia Maledetti italiani (2008). Ogni Natale, pubblica un libro costruito con i suoi figli, in ostinata latitanza editoriale. Spesso, i testi che dichiara ‘migliori’ sono obliati, oliati dall’assenza. Scrive sulle pagine culturali de il Giornale e su Linkiesta; è il direttore editoriale del quotidiano culturale on line Pangea (pangea.news).

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